Bum ha i piedi bruciati –

di Dario Leone

recensione di Chiara Benedetto

bum piedi bruciati

Bum ha i piedi bruciati è un monologo teatrale su Giovanni Falcone diretto e interpretato dall’attore e regista lodigiano Dario Leone; è liberamente ispirato al libro di Luigi Garlando Per questo mi chiamo Giovanni e patrocinato dalla Fondazione Francesca e Giovanni Falcone.

Lo spettacolo è stato portato in scena all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles il 18 maggio, giorno dell 80esimo compleanno di Giovanni Falcone, la cui vita è qui raccontata da un commerciante palermitano di giocattoli, interpretato da Leone.

La narrazione parte da un orangotango di peluche di nome Bum, che dà il nome allo spettacolo.
Il primo regalo, nonché giocattolo preferito di suo figlio, che si chiama Giovanni ed è nato proprio nel giorno della strage di Capaci.
Bum ha una particolarità: ha i piedi bruciati.

Al termine del racconto, lo spettatore capirà il perché. Il fatto che il peluche abbia i piedi bruciati sottolinea infatti in qualche modo un legame con la mafia che affligge il territorio siciliano e che interessa anche il protagonista stesso, commerciante costretto da anni a pagare il pizzo.

Ho la fortuna di conoscere l’interprete, Dario, nella vita reale.

Una persona umile, amichevole, dalla battuta sempre pronta, che sul palcoscenico non perde quella verve e semplicità a me già nota.
Il suo simpatico personaggio, dal marcato accento siciliano, attraverso una serie di aneddoti perfettamente documentati racconta la storia di Giovanni (chiamato così, solamente per nome, durante tutto lo spettacolo) e la sua evoluzione come uomo e come professionista, fino al tragico epilogo che noi tutti conosciamo.

Mi ha particolarmente colpita la cura con cui sono state selezionate le vicende da raccontare, le immagini di repertorio, gli spezzoni dei telegiornali d’epoca.
La scenografia era semplicissima, composta da pochi elementi mobili, modesti ma essenziali
nella narrazione. Le proiezioni, le luci, i suoni sono stati i veri protagonisti della scenografia durante tutto lo spettacolo.

Meraviglioso l’accompagnamento della canzone “Li pirati a Palermu” di Rosa Balistrieri, suggestiva e sofferta come appunto alcuni momenti particolarmente toccanti del racconto.

Sembrava davvero di essere a Palermo, di vivere in prima persona gli eventi.

Nulla è stato lasciato al caso, un preciso filo conduttore è stato seguito fino all’ultimo, importante messaggio: Giovanni è stato un uomo straordinario, e non solo per il suo operato contro la mafia.

Difatti, si potrebbe pensare che un giudice implicato in un pool anti-mafia si limiti a fare semplicemente il suo lavoro, ne conosca i rischi e i limiti e debba accettarli senza riserva.
Ma in questo appassionante racconto Giovanni viene descritto diversamente: come un bambino curioso, leale e dalla spiccata intelligenza, il cui personaggio preferito era Zorro, non a caso sempre pronto a lottare per i più deboli.

Aveva sempre avuto un’attitudine al lavoro di squadra, mostrato già da ragazzino mentre giocava a pallone con Paolo (Borsellino) nel quartiere palermitano della Kalsa.
Giovanni voleva sempre essere in squadra con Paolo, perché con lui in squadra “si vinceva sempre”. E, una volta diventati grandi, lo hanno pienamente dimostrato.
La loro squadra ha vinto, anche se i loro attaccanti non ci sono più.

Il racconto non è stato mai banale, ha svelato dettagli e vicende ben note agli adulti dell’epoca, ma non a me che nel 1992 avevo solo 3 anni.

Ha mostrato un Giovanni Falcone caparbio, pronto a tutto pur di lottare per un ideale, ma anche innamorato della vita, della libertà, delle piccole cose come un bagno nel mare di Sicilia.
Ha evidenziato la sofferenza di un uomo costretto a vivere sotto scorta ogni singolo istante della sua vita, senza più libertà, nemmeno di andare al cinema o bere un caffè al bar.

Un uomo che ha rinunciato ad essere padre, che ha dovuto allontanare la sua prima moglie pur di non mettere in pericolo i suoi cari.
Ma ciò che più mi ha colpito è stata la messa in evidenza della più grande qualità di Giovanni, l’unica vera arma in grado di combattere la mafia: l’intelligenza.

Quell’intelligenza ed astuzia che gli hanno permesso di individuare il tallone d’Achille della mafia e far compiere passi da gigante alla lotta contro di essa grazie al “metodo Falcone”.
Quella mente brillante che tutto il mondo ci invidiava.

La conclusione del racconto alterna momenti di amarezza e di speranza nel futuro.
Il commerciante si mostra infatti amareggiato per la tragedia che ha posto fine alla vita di Giovanni, finanziata anche da egli stesso e da tutti coloro che pagavano il pizzo.
Ma si mostra anche fiero della sua coraggiosa scelta di ribellarsi alla mafia. Le minacce non sono mancate, questo gesto ha messo in pericolo lui e la sua famiglia, la quale però’ è ancora viva ed al suo fianco.

Ed il peluche Bum è apparso ai miei occhi come il simbolo di questa ribellione: è un superstite, ha i piedi bruciati, ma è ancora presente. La sua presenza è segno di fiducia nelle nuove generazioni, nella giustizia, nel coraggio degli uomini.

Questa alternanza di emozioni è stata il filo conduttore di tutto lo spettacolo: momenti di fortissima tensione emotiva, da pelle d’oca, intervallati da piacevoli aneddoti, brio, ironia e risate leggere. Un’equilibrio perfetto di sensazioni che ha pienamente meritato la standing ovation finale.
Uno spettacolo brioso e commovente che consiglio davvero a tutti, in particolar modo ai più giovani.
Dario con questa data a Bruxelles è già riuscito a portare il suo talento oltralpe, il mio augurio per lui è che possa continuare a diffonderlo dentro ed oltre i confini italiani e con esso il messaggio di speranza che Bum ha i piedi bruciati porta con sé.