Mamma Lucia: la grandezza della semplicità

Voce al mare

Articolo di Elvira Rossi

Mamma Lucia
Lucia Pisapia in Apicella, nata il 18 novembre1887 a Sant’Arcangelo, una frazione di Cava de’ Tirreni, e morta il 23 luglio 1982,  in Italia è nota come Mamma Lucia, mentre in Germania, dove è maggiormente conosciuta, viene ricordata come Mamma Luzia e Mutter der toten.

Lucia Pisapia frequentò solo le prime tre classi della scuola elementare per le modeste condizioni familiari e all’età di venticinque anni sposò Gennaro Apicella, un commerciante di frutta, e in seguito sarà costretta ad occuparsi da sola della sua attività a causa delle gravi ferite riportate dal marito durante la prima guerra mondiale.

Dopo l’8 settembre del ‘43, con lo sbarco degli alleati a Salerno, Cava de’ Tirreni fu interessata da violenti combattimenti tra le truppe tedesche e gli anglo americani, che cercavano di avanzare in direzione di Napoli.

Le battaglie coinvolsero la popolazione civile e numerose furono le vittime delle rappresaglie dei Tedeschi, che una volta costretti a ritirarsi lasciarono sul campo di battaglia i propri caduti.

Quando nell’area salernitana cessò la battaglia, il sonno di Lucia continuò a essere agitato dal ricordo dei soldati, che aveva osservato a uno a uno, tedeschi e anglo americani, tutti giovani dalla carnagione chiara o scura, dai capelli biondi o castani. Giovani che davanti la povera bottega di fruttivendola aveva visto sfilare per andare incontro alla morte.

Il dolore di Lucia divenne più acuto quando vide dei ragazzini prendere a calci un teschio come se fosse stato un pallone.

L’orrore della guerra aveva inaridito gli animi e alle misere salme in putrefazione, nascoste come lerciume da pochi centimetri di terra, non era riservata alcuna pietà. Le aree di battaglie erano disseminate di cadaveri, ma nessuno se ne curava e alla presenza fastidiosa delle spoglie era stata trovata una facile soluzione: evitare certe strade o volgere lo sguardo altrove.

Lucia Apicella a tale stratagemma si ribellò e con la naturalezza dei giusti scompaginò l’inerzia dell’opinione pubblica.

Il progetto di assicurare una sepoltura ai poveri defunti, abbandonati alle intemperie e agli animali randagi, prese corpo in seguito a un sogno che era la proiezione della sua angoscia.

Nel sogno sette croci rudimentali di legno conficcate in un campo si sollevarono contemporaneamente, lasciando che da ciascuna emergesse un soldato e i sette militari in un italiano stentato le chiesero di riportare le salme alle rispettive madri.

Da quel momento Lucia Apicella iniziò la ricerca dei cadaveri nei territori dove si erano svolti i combattimenti. In principio fu circondata dalla diffidenza, dai giudizi irridenti e dall’opposizione delle autorità locali e costretta a chiedere un permesso, lo ottenne e le fu concesso anche l’aiuto di due becchini, che presto fecero venir meno ogni collaborazione. Percorrere valli e monti alla ricerca dei morti era un compito al di fuori delle loro mansioni, una fatica immane e rischiosa per la presenza di ordigni inesplosi.

Lucia non si lasciò scoraggiare e continuò la ricerca da sola, con l’aiuto occasionale di una cugina e di qualche volontario. Spesso era accompagnata da una nipotina vestita di bianco. La bimba raccoglieva i fiori di campo e ne faceva un mazzolino da deporre accanto ai poveri morti.

Mamma Lucia
La donna scavava nella terra con le mani e a volte la natura le dava una mano, infatti con il dilavamento dei terreni, causato dalle piogge, molti corpi affioravano in superficie. In questi casi doveva intervenire presto, prima che i cani randagi e gli altri animali facessero scempio delle salme. Non di rado i contadini, proprietari dei campi dove avvenivano gli scavi, chiedevano un risarcimento per danni che la donna era costretta a pagare.

Lucia Apicella riesumava le salme e le raccoglieva in cimiteri improvvisati nei campi, ripuliva le povere ossa dai brandelli di carne e le lavava, riponendole poi amorevolmente in cassettine di zinco commissionate a un fabbro e per pagarle utilizzava tutte le proprie risorse e arrivò persino a vendere la lana dei materassi.

Molti le consigliavano di lasciar perdere, sostenendo che non valesse la pena sprecare tempo e denaro in un’operazione altamente rischiosa, ma lei incurante andava avanti e senza tregua si aggirava per i posti più scoscesi e malagevoli, a qualunque ora del giorno e con qualunque tempo.

A chi osservava se ne valesse la pena, rispondeva semplicemente: “Song’ tutt’ figl’ e mamma”.

La donna incominciò presto a essere chiamata Mamma Lucia.

L’obiettivo di Mamma Lucia era restituire le salme dei giovani alle madri e in maniera meticolosa raccoglieva e conservava gli oggetti personali e i documenti, che catalogava accuratamente, per favorire il riconoscimento del defunto.

I cadaveri appartenevano in prevalenza a soldati tedeschi e spesso le veniva chiesto: ‹‹Perché raccogliere le salme dei nemici?››

La risposta si ripeteva: ‹‹Song tutt’ figl’ e mamma, e mente murevano accisi, ‘a mamma nun’ a tenevano avvicino››.

Tali parole dense di amore materno non avevano nulla di convenzionale.

Mamma Lucia non faceva distinzione tra le salme, per lei erano ‹‹tutt’ figli e mamma››. Che fossero italiani, inglesi o tedeschi non le interessava affatto, i soldati erano giovani vittime di una guerra atroce e a ogni salma donava carezze, lacrime, preghiere con l’amore di una madre.

Dal 1944 al 1950 raccolse ben settecento corpi di giovani militari, morti nelle zone del Salernitano e smise quando sembrò che non ci fossero più corpi da recuperare.

Cessata la ricerca per i campi, si dedicò alla devozione e alla preghiera per i poveri morti.

Dapprima Mamma Lucia aveva portato le cassette nella propria abitazione, in una stanza destinata a tale uso e in un secondo tempo ottenne il permesso di trasferirle nella chiesa di Santa Maria della Pietà, detta anche di San Giacomo, la più antica di Borgo Scacciaventi di Cava.

Le cassette di zinco disposte ordinatamente furono trattate come delle reliquie sacre e la chiesetta diventò un vero e proprio sacrario e Mamma Lucia ne divenne la custode.

Con il tempo nessuno osò più definirla pazza e alcuni, vedendola passare, si commuovevano. Lei, che aveva scelto di essere madre di tutti i giovani caduti nel territorio cavese, si schermiva, non voleva ammirazione e tirava avanti per la propria strada.

La donna avvolta in una severa veste nera non faceva nessuna concessione alla femminilità, che si manifestava esclusivamente attraverso atteggiamenti e parole di amore materno. «Figl’ e mamme» e «bell’ e mamme», espressioni ricorrenti e familiari, ravvivavano ogni incontro.

La sua figura alta e solenne avvolta in una veste nera la rendeva inconfondibile e lo storico inglese, Hugh Pond, così la rappresenta nel libro, ‹‹Salerno-Operazione Avalanche››:

«A sessantaquattro anni, Mamma Lucia era ancora alta e diritta, nonostante tutto una vita di lavoro. I suoi occhi allora, come lo sono ancora oggi, erano neri e penetranti, e i suoi lineamenti si stagliavano aguzzi, col naso imperioso sotto la fronte alta. I capelli, appena toccati di grigio, erano severamente tirati indietro. Le mani portavano i segni di un lavoro consacrato, e nell’austero lungo vestito nero essa somigliava a una suora, mentre la pace del suo volto ricordava la figura di Michelangelo».

Mamma Lucia
Nel 1951 una legge della Repubblica Italiana istituì un Commissariato Generale alle dirette dipendenze del Ministero della Difesa e per assicurare una degna sepoltura ai caduti di guerra, militari e civili, di ogni nazionalità, furono creati cimiteri di guerra e stipulate convenzioni con i Paesi esteri ai quali restituire le salme dei soldati.

Un rappresentante del Commissariato Generale si recò da Mamma Lucia e le comunicò che le cassette con i resti dei defunti sarebbero state rimpatriate in Germania, come richiesto dalle autorità tedesche, oppure sarebbero state sepolte nei cimiteri di guerra predisposti in Italia.

Mamma Lucia trascorse la notte precedente al trasferimento delle cassette vegliando e pregando in chiesa per i giovani soldati, che considerava i propri figli.

Il mattino successivo giunsero dei carri sui quali furono riposte le cassette di zinco. La gente di Cava de’ Tirreni uscì dalle case a salutare le salme e a gettare fiori sui veicoli. Al passaggio del corteo funebre molti si inginocchiavano e pregavano.

E proprio in tali circostanze si acquistò piena consapevolezza dell’azione generosa di Mamma Lucia.

In Germania, al rientro delle salme dei soldati,  giornali e radio diedero molto rilievo all’opera di Mamma Lucia, che già prima di questa data aveva goduto di una certa notorietà, giacché alcune madri le avevano scritto, perché trovasse i resti dei propri figli.

Nel luglio del 1951 Mamma Lucia fu accolta in udienza privata dal Papa Pio XII e nello stesso anno si recò in Germania dove fu acclamata come “Mama Luzia” e Mutten der Toten”, che significa madre dei morti. Il Presidente Theodor Heuss la ricevette con tutti gli onori e le consegnò La Gran Croce d’oro, la massima onorificenza concessa dalla Repubblica Federale Tedesca, ma soprattutto tante madri di caduti di guerra le espressero la propria riconoscenza.

Il 2 giugno 1959 da Giovanni Gronchi, capo dello Stato, le fu conferita l’onorificenza della Commenda al merito della Repubblica Italiana.

Mamma Lucia conservò inalterata la propria umiltà e non si lasciò confondere dai riconoscimenti prestigiosi e quando nelle occasioni ufficiali veniva invitata a parlare, si limitava a una dichiarazione, sempre la stessa: ‹‹Mai più guerre››.

Lucia Apicella non affrontò mai discorsi di carattere politico. La politica non l’appassionava e non la convinceva, perché metteva gli uomini gli uni contro gli altri e per lei l’unico nemico era la guerra, che con violenza strappava i figli alle madri.

Con il suo fare dimesso era rassicurante, non generava apprensione, non alimentava scontri ideologici e a considerarla una donnetta stravagante erano stati in molti che con il tempo dovettero ricredersi.

Sarebbe sbagliato definire Lucia Apicella solo attraverso la semplicità e l’umiltà della sua condotta, giacché alla bonarietà e alla religiosità del suo atteggiamento si associavano delle doti straordinarie, che agivano in sordina, infatti la donna pur nella sua mitezza non si lasciava influenzare dai divieti e dai pareri avversi e, andando controcorrente, al comune sentire anteponeva in maniera discreta il primato della propria coscienza.

Mamma Lucia sapeva disobbedire senza enfasi e senza clamore, assumendo una innocenza disarmante, che lasciava pensierosi coloro che prima avevano disapprovato il suo impegno.

Nel gennaio del 1952 lo scrittore napoletano Giuseppe Marotta la conobbe durante una intervista e dietro la schiettezza dei modi di Mamma Lucia percepì una interiorità più complessa:

«Un che di ibrido c’era in lei, colpivano la sua indubbia umiltà e il suo taciuto ma probabile orgoglio, la sua disinvoltura, la sua innocenza di popolana e non so che giudizio, che talento di signora».

“Il giornale d’Italia”, marzo del 1952, riportò queste parole diffuse da un giornalista di Radio Stoccarda:

‹‹Un popolo che ha dato i natali a una donna come Mamma Lucia merita tutto il nostro amore, tutta la nostra gratitudine, tutto l’amore di cui siamo capaci››.

Quel popolo siamo noi, noi che abbiamo dimenticato, noi che ignoriamo l’esistenza di Lucia Apicella.

Alla gratitudine della Germania si contrappone la dimenticanza del nostro Paese.

In Italia il nome di Lucia Apicella si smarrisce nel nulla, mentre in Germania compare nei testi scolastici.

Un paradosso e un’ingiustizia a cui si dovrebbe porre rimedio.

In un momento storico, come il nostro, che oscilla in uno scontro perenne tra evoluzione e regressione, rendendo fluttuante il confine tra vittorie e sconfitte culturali, il nome di Lucia Apicella andrebbe svincolato dalle strettoie di una storia locale e la sua vicenda meriterebbe di essere additata come esempio universale di compassione e superamento di un odio che continua ad alimentare conflitti in varie parti del Pianeta.

Lucia Apicella ci impartisce una lezione di umanità e ci dimostra che ciascuno, ribellandosi alla indifferenza e traducendo in operatività l’inquietudine della propria coscienza, può contribuire in maniera pacifica a migliorare il mondo.

Viene da chiedersi come Mamma Lucia oggi reagirebbe di fronte a tante guerre.

Forse la vedremmo seduta su una spiaggia a piangere e pregare per i poveri morti, che numerosi giacciono in fondo al Mediterraneo e se potesse, li pescherebbe a uno a uno nel mare, come ha scavato nella terra portando alla luce le salme di tanti sventurati.

A lei non interesserebbe sapere se quei poveri corpi di uomini, donne, bambini siano fuggiti dalla guerra o dalla fame, siano profughi, migranti, clandestini, per lei sarebbero solo “figl’ e mamme”.