“Favola sarà lei!” Parte I

“Le origini della favola” di Mirella Morelli

La favola è un genere letterario della cultura di ogni paese, che trae origine dal piacere di raccontare una storia, piacere da sempre insito nell’animo dell’uomo.

Il termine, infatti, così come quello di “fiaba”, deriva dalla parola latina fabula, che indica appunto un “racconto”.

In principio è una storia che vola di bocca in bocca e si tramanda di padre in figlio, in quella che viene definita “trasmissione orale”: sembrerebbe nascere dal solo desiderio di intrattenimento, eppure non è così.

Se favola e fiaba nascono in maniera semplice e popolare – dall’umiltà di chi, non sapendo scrivere, usa come solo mezzo la propria voce e la propria fantasia per costruire un racconto fantastico – nel tempo i due termini andranno ad assumere significati diversi, catterizzandosi in maniera opposta, pur se nell’immaginario collettivo tendono ancora ad essere confusi.

La struttura e gli stessi protagonisti si rivelano assolutamente differenti, conservando in comune soltanto il fantastico.

Nel caso della fiaba, in special modo nella fiaba classica del passato, si tratta di un uomo o una donna e soprattutto di re, regine e principesse, alla cui vicenda si intrecciano spiriti benefici e malefici quali fate, streghe, demoni e via di seguito.

Narrazione pittosto lunga e dal linguaggio molto spesso elementare, ricca di elementi fantastici e meravigliosi, la fiaba non ha quasi mai un insegnamento da dare e il suo finale è sempre lieto.

Difatti ha inizio con un “C’era una volta…” e termina sempre con un “…e vissero felici e contenti”.

Tutto il contrario accade nella favola: struttura lineare e schema semplice, ha come protagonisti innanzi tutto gli animali, le cui vicende possono intrecciarsi o meno con quelle degli uomini, ma non necessariamente.

Il tempo e il luogo sono assolutamente indefiniti (una valle, un bosco, un villaggio… Un tempo, una volta, un bel giorno…).

Il finale raramente è lieto, anzi il debole soccombe al prepotente, può accadere che il  protagonista muoia, e via così, in un epilogo quasi sempre amaro.

Ma ciò che è necessario, e che fa davvero la differenza, è il contenuto: la favola non potrà mai prescindere da una morale o da un insegnamento, per velati o espliciti che siano, indispensabili alla conclusione e al senso della storia.

In quanto provvista di un intento etico o educativo, la favola è assolutamente lo specchio del suo tempo, di cui condanna i vizi e fustiga la dissolutezza.

Va da sé che la morale e l’intento contenuti varieranno nei secoli da cultura a cultura e sono destinati ad evolversi insieme alla società che rispecchia.

In questo senso possiamo affermare che la fiaba è assolutamente fuori dalla realtà e dal tempo mentre la favola, attraverso la scelta di una morale da portare all’evidenza, è sicuramente un racconto che sa di contemporaneità . Ma questo aspetto sarà ben comprensibile in seguito, quando si parlerà dei vari autori di favole e della loro preferenza per un certo argomento anziché di altri.

Le favole più antiche provengono dall’Egitto: la prima che si conosca è “La Storia dei due fratelli”, un componimento egizio del XIII secolo a.C. dal contenuto magico, i cui protagonisti sono le divinità Anubi e Bata; secondo alcuni, potrebbe essere una satira politica.

Egitto

In Occidente la favola è presente già nei primi testi greci noti a noi moderni, ma è soltanto con la leggendaria figura di Esopo che assume i connotati di un vero e proprio genere letterario.

Esopo era originario dell’Asia Minore e si dice fosse uno schiavo: questo per ribadire le origini umili e popolari delle favole, di cui si diceva pocanzi. Da quanto documentato, Esopo è colui che ha raccolto e sistemato nel VI secolo a.C. un vero patrimonio di favole tramandate oralmente, di cui molte di provenienza orientale.

I suoi protagonisti sono animali e talvolta piante; quasi mai esseri umani.

Tali animali o piante hanno caratteristiche e personalità fisse: il leone è sempre coraggioso e valoroso; l’asino sempre ignorante e incapace; la volpe furba; la formica laboriosa, e via così, fino a creare degli archetipi che rappresentano vizi e virtù dell’uomo: il trionfo dell’allegoria, che permette a ogni favola di dire e di rappresentare anche i potenti, ma senza alcun rischio.

Ogni favola si conclude, sempre, con una frase concisa ma significativa in cui si dà un vero e proprio insegnamento (dal che il detto moderno: “morale della favola” per indicare il succo di un discorso).

In sintesi, Esopo con il suo genere favolistico veicola un messaggio etico e sociale, dando perlopiù voce ai valori delle classi umili, che si contrappongono all’arroganza dei potenti.

favola

Il genere letterario favolistico nel mondo antico romano viene ripreso da Fedro, il quale traduce le favole greche e ne aggiunge altre nelle quali, alla stessa maniera di Esopo, mette in evidenza il rapporto tra umili e potenti con racconti che esaltano l’astuzia e la maestria, ma sempre dalla parte degli indigenti e degli schiavi.

Altre favole antichissime che si conoscono provengono dall’India: si fa risalire la tradizione orale della favola indiana al V secolo a. C.: tali favole hanno essenzialmente un contenuto avventuroso e magico.

Comunque in generale tutto l’Oriente vanta una tradizione favolistica di notevole importanza.

In origine si tratta di favole presenti all’interno dei poemi: molte di esse sono contenute nel “Mahabharata” (300 a.C.–300 d.C., una grande epopea dell’India di oltre centomila strofe), e nel “Ramayana” (200 a.C.–200 d.C., altra epopea in sette libri).

Ma è d’uopo riportare una diatriba sull’origine delle favole, e cioè se sia stato Esopo ad appropriarsi delle storie orientali o se invece gli autori orientali a “scopiazzarle” dal favolista greco.

In effetti le favole indiane sono antiche quanto quelle di Esopo, ma sono state “riscritte” e “fissate” nella maniera in cui le conosciamo molto più tardi. Qualcuno ha voluto far rilevare che i contenuti sono gli stessi, anzi, sembrerebbero più affini alla cultura indiana che a quella greca!

Il miscuglio di intento edificante e di umorismo, l’alternarsi di versi e prosa, ma soprattutto l’utilizzo di animali che possiedono sentimenti umani… ebbene questa commistione in India esiste da sempre, mentre tipica di noi occidentali è la netta distinzione tra uomini e animali, che diventa man mano più rigida con il passare dei secoli. In India, dove esiste la credenza nella trasmigrazione dell’anima, c’è un continuo ed eterno interscambio tra uomini ed altri esseri del creato, e ciò proprio per quella dottrina della metempsicosi che a tutt’oggi pervade e caratterizza il pensiero induista.

Chi sostiene questa tesi dell’originalità delle favole orientali cita fra le altre, all’interno del “Mahabharata” e delle molteplici storie che contiene, la favola del dialogo tra il Gange e l’Oceano:

“Caro sposo Oceano – disse la dea Gange – gli alberi si innalzano superbi nella loro posizione, e quando viene la mia piena si oppongono presuntuosi alla corrente: è proprio per questa loro resistenza che devono poi abbandonare la propria sede. La canna invece, se vede avvicinarsi la piena, la sa accogliere, e accetta di piegarsi. Così, quando la piena è passata, eccola di nuovo salda al suo posto. La canna sa riconoscere il tempo giusto, non è mai superba, sa accettare anche gli eventi negativi, non dispera mai e conosce l’umiltà. Ecco perché non viene trascinata via”.

Sembrerebbe, per questi sostenitori dell’Oriente, la stessa favola esopica dell’ulivo e della canna…

In conclusione, se nella cultura occidentale è diffusamente accettato che la favola quale genere letterario sia stata “inventata” da Esopo, altri sostengono, che la favola esopica con le caratteristiche finora descritte non sia altro che una trasposizione di storie rintracciate negli antichi poemi indiani.

A tal proposito, per chi voglia approfondire qusto concetto o semplicemente saperne di più sulle favole orientali, rimando al link:

http://www.spaziodi.it/magazine/n0709/vd.asp?id=2555

Senza soffermarci oltre su ciò, ricorderemo semplicemente le origini antichissime della favola e la sua diffusione in ogni cultura, con le identiche caratteristiche peculiari di racconto dall’ intento etico e sociale.

Non va però dimenticato che, nonostante l’origine popolare di cui si diceva, la favola ha richiamato da sempre anche l’attenzione di uomini di cultura. Costoro, se da un lato hanno raccolto e classificato le favole popolari già note, dall’altro ne hanno inventato di nuove.

Dalla fantasia e tradizione popolare, e dalla rielaborazione e perfezionamento dei letterati, è nato nel tempo un vero e proprio genere letterario, la c.d. favola moderna, non sempre adeguatamente nota se non ai suoi cultori. Ma di questa appropriazione del racconto popolare da parte della letteratura colta parleremo poi. Per adesso accontentiamoci di sottolinearne le radici nella tradizione orale dei popoli.

Con siffatte caratteristiche il genere letterario della favola attraversa il tempo, percorre tutto il Medioevo cristiano per arrivare all’età moderna.

Nel 17° secolo, il francese Jean De La Fontaine ne rinnova i fasti con finezza e leggerezza.

A partire dal 18° secolo cominciano a circolare in Germania, in Russia e in Italia numerose raccolte di favole nuove, proprio sulla scia dello scrittore francese e del suo esempio.

Infatti nel corso del Settecento e dell’Ottocento troviamo, in Italia, una folta schiera di favolisti: Tommaso Crudeli, Giambattista Casti, Lorenzo Pienotti.

Pochi, tuttavia, giungono alla notorietà del grande pubblico, al contrario di quanto accade per gli scrittori di fiabe.

Tra gli autori stessi, forse proprio per il successo che queste ultime riscuotono rispetto alle favole, nel corso dei secoli ci sarà un ritorno al miscuglio dei due generi, raccontando una storia che contiene elementi fiabeschi e insieme favolistici, mantenendo la sola regola del “racconto fantastico” e della meraviglia.

In questa rubrica si darà priorità a quegli autori che hanno scritto almeno una favola,  nel suo senso più puro, intendendo per purezza quel racconto che ha come maggiori protagonisti gli elementi del creato: animali e piante, eccezionalmente accompagnati da uno o più protagonisti umani, allo scopo di fornire uno spaccato della società in cui lo stesso autore vive, e dare un insegnamento etico.

Nel prossimo articolo, dunque, si inizierà con la “Favola” di J. Wolfgang Goethe, pubblicata nel 1795 e meglio nota come la “ Favola del Serpente Verde e della bella Lilia”.