“La moglie di Dante” di Marina Marazza
recensione di Sabrina Corti
La moglie di Dante è l’ultimo romanzo storico di Marina Marazza.
La grande intuizione di questa brava scrittrice è stata quella di narrare la storia dal punto di vista di di un personaggio “secondario”, collegato ad un più noto personaggio storico.
L’abbiamo già incontrata ne “L’ombra di Caterina”, la madre di Leonardo Da Vinci, o in “Miserere”, ove ha narrato superbamente della figlia della Monaca di Monza.
Nel suo romanzo, “La moglie di Dante”, l’autrice ci fa conoscere una donna di grande spessore: Gemma Donati.
Come ci dice la stessa autrice, Gemma è sempre stata messa sempre in secondo piano.
Dante e .. Beatrice.
Mai Dante e Gemma. Così come viene spontaneo dire “prosciutto e melone”, ma sappiamo bene che “prosciutto e michetta” è la coppia vincente (sicuramente la più saporita!)
Gemma e Beatrice
Gemma e Beatrice non potrebbero essere più diverse.
Beatrice è eterea, è la personificazione della grazia, si muove quasi in punta di piedi, è devota (quasi troppo), è perfetta in ogni suo agito è, non me ne vogliano gli estimatori del genere, un po’ insipidina.
E Dante, tutto preso dalle sue rime auliche, non può che innamorarsi poeticamente di una donna così: non gli pare vero che esista una fata come Beatrice, circondata da una luce quasi divina che lo ispira nei suoi sonetti e che lo porta all’elevazione della donna come ci hanno insegnato i poeti del Dolce stil novo.
Ma l’innamoramento di Dante finisce proprio lì: nelle sue rime.
Ricordiamoci che Dante a Beatrice non rivolse mai la parola.
Che ne sappiamo: magari questa benedetta Beatrice aveva la voce baritonale, o diceva sciocchezze, o faceva degli sgorbi al ricamo, o aveva l’alito cattivo. Sarebbe cambiato il corso della Divina Commedia se Dante avesse scoperto tutto ciò.
Poi rammentiamo ancora che Beatrice è morta giovanissima, ed è morta di parto (legata ad un marito – Simone de Bardi – che non doveva proprio essere un gentleman), e questo ha contribuito a renderla una semi-santa agli occhi di Dante.
Gemma è esattamente l’opposto di Beatrice.
Gemma è focosa, ha i capelli rosso fuoco, è pragmatica, è passionale e, urliamolo pure ai quattro venti, ha avuto una vita difficilissima proprio a causa di quel marito, il Dante nazionale, che ha scritto opere superbe ma, accipicchia!, che carattere ostinato!
Marina Marazza, che non lascia nulla al caso e si è documentata moltissimo sulla vita e sulle usanze del tempo, ci fornisce un quadro bellissimo di questa donna.
Gemma conosceva bene Beatrice (era stata persino alle sue nozze) e le due donne si parlavano, sapeva bene che Dante, di cui Gemma era innamorata, era follemente preso da questa donna e, siccome Gemma è viva e vivace, ne era gelosissima. Non vi dico il sospiro di sollievo che Gemma ha tirato quando ha saputo delle nozze di Beatrice con Simone de Bardi: pericolo scampato.
Gemma prende l’iniziativa
Strano a pensarsi ma, sembrerebbe proprio che fu Gemma a prendere l’iniziativa con Dante. Tra l’altro, la famiglia Donati avrebbe potuto ben aspirare ad un miglior marito per Gemma: Dante non era nobile, aveva perso la madre piccolissimo, benché la matrigna “Lapa” costituì sempre per lui un grande riferimento, non era neppure ricco (già all’epoca, poetare non era propriamente un mestiere arricchente) insomma non era, quel che si dice, “un buon partito”.
Ma Gemma non ci sta: lei vuole Dante.
Con l’aiuto di Guido Cavalcanti (si! proprio lui), grande amico di Dante, Gemma toglie Dante dal monastero in cui si era rinchiuso, in preda ad una crisi mistica, dopo la morte di Beatrice.
Insomma, Gemma aveva le idee chiare, probabilmente più di Dante, in fatto di amore e matrimonio.
Dante
Dante è narrato da sua moglie.
Dimentichiamoci un attimo del Dante poeta.
Gemma Donati ci rappresenta un Dante uomo, un Dante marito, un Dante politico.
Ed è bellissima questa rappresentazione perché ce lo rende più umano, più simile a noi, più vero.
Ci sono degli episodi che Marina Marazza ci narra, e che sono avvalorati da fonti storiche, davvero interessanti.
Innanzitutto Dante era un ottimo cavaliere, sembrerebbe che il suo nasino non propriamente francese sia frutto di una ferita di guerra. Quindi il nostro poeta era un uomo d’azione, fisicamente prestante, sapeva cavalcare e combattere.
Durante il battesimo del suo primogenito ruppe con un gesto violento il fonte battesimale perché il vecchio frate che stava battezzando il figlio di Dante e Gemma, fece cadere il piccolo nel fonte battesimale facendogli rischiare l’annegamento.
Dante è stato impegnato in politica, questo lo sappiamo, ma forse non tutti sanno che quando Dante fu nominato Priore nella città di Firenze egli, come tutti i Priori, dovette trascorrere due mesi – la durata del mandato – rinchiuso nella Torre della Castagna.
La “reclusione” era necessaria per evitare che le decisioni dei Priori venissero influenzate da pressioni esterne.
In questo periodo Dante, che era irreprensibile da un punto di vista giuridico e morale, condanna Guido Cavalcanti all’esilio.
A nulla valgono le implorazioni di Gemma: Dante non muta parere.
Come diremmo oggi “amici, amici e poi ti rubano la bici“
Guido Cavalcanti morirà proprio in conseguenza di febbri malariche contratte in esilio.
Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.
(Guido Cavalcanti)
Ma la vera natura di Gemma Donati si vede durante l’esilio di Dante.
Il 27 gennaio 1302 Dante viene condannato con la falsa accusa di interesse privato in atti pubblici a due anni di confino, ad una multa di 500 fiorini e alla esclusione perpetua dagli uffici pubblici. Successivamente la pena verrà commutata in pena di morte.
Dante, che era ostinato come un ariete, rifiutò di difendersi, perché secondo lui le accuse erano totalmente infondate e prese la condanna come un affronto personale reputandola una somma ingiustizia.
A quell’epoca Gemma e Dante avevano già tre figli.
A Firenze, ma non solo, la condanna all’esilio, oltre che la confisca dei beni e il pagamento di una pena pecuniaria, colpiva non solo il diretto interessato ma anche i figli i quali, al compimento del quattordicesimo anno di età, dovevano fare armi e bagagli e raggiungere fuori patria il padre colpevole.
Quindi: Dante viene cacciato da Firenze, non ha idea di dove andare e perciò, come la storia ci narra, vaga di corte in corte, e gli vengono confiscati tutti i beni. Ai debiti che egli aveva già contratto (si è detto che la famiglia di Dante non viveva nell’agio) si aggiunge la condanna pecuniaria.
E qui ecco Gemma che si mostra in tutto il suo carattere.
Gemma e i figli si rifugiano fuori Firenze dove, in un clima malsano e paludoso, porta avanti una famiglia senza l’aiuto e l’assistenza di un uomo, e senza denaro. Non è impresa facile ora, figuriamoci nel 1302! Eppure Gemma -una vedova bianca – ce la fa, e non solo. Riesce a farsi dare una sorta di rendita, convertita in grano, per consentirle almeno di produrre del pane e per poterlo barattare con altri beni: dopo qualche anno riuscirà a rientrare a Firenze e a tornare nella casa coniugale grazie all’aiuto economico della sua famiglia di origine.
(A proposito di pane, ho scoperto, leggendo questo romanzo, che il pane Toscano è senza sale perché nel 1100, in uno dei periodi di grande conflitto tra Firenze e Pisa, i pisani bloccarono ai fiorentini l’accesso alla via del sale: i fiorentini non si arresero e continuarono a panificare senza sale, e non smisero di farlo.)
Gemma cresce i figli facendo loro da madre e da padre ricordando figura di questo padre così inflessibile ma onesto, profondamente onesto.
Forse, con l’occhio moderno, potremmo dire, un po’ troppo inflessibile.
Sappiamo che Dante non tornò mai più a Firenze e morì a Ravenna dopo vent’anni di esilio.
Quello che tuttavia non sapevamo (o meglio, io non lo sapevo) è che Dante, in realtà, ebbe la possibilità di rientrare a Firenze due volte, pagando delle ammende e facendo una sorta di pubblico pentimento, ma che egli rifiutò.
Tornerò a Firenze ma…
non a qualunque costo
Gemma non comprende questa scelta: ne esce un Dante davvero cocciuto, un po’ presuntuoso che per non piegarsi ad una scusa pubblica costringe i figli alla sua stessa onta: l’esilio, la condanna a morte, la pena pecuniaria.
Gemma perderà tutti i suoi figli, che dovranno raggiungere il padre. Riuscirà a rivedere Dante, a Ravenna, e a ricongiungersi a lui.
Ma la sorte non ricompenserà in modo benevolo così tanti anni di sofferenza e distacco: Dante morirà a Ravenna poco dopo essere rientrato da Venezia.
Gemma gli sopravvivrà ancora per molti anni.
Infine.
Lei, lui e … l’altro
Se Dante era infatuato di Beatrice, Gemma, pur amando follemente il marito, subisce il fascino di suo cugino: Corso Donati.
Corso è l’antitesi di Dante: violento, di parte, impetuoso, irascibile e … belloccio. Insomma, un bel figlio di buona donna.
Corso Donati, figura storica realmente esistita è, come detto, il cugino di Gemma: non si sa se per il gusto di sfida di averla o la consapevolezza della ritrosia della donna, ma Corso rimase sempre fedele alla cugina sebbene non nutrisse grande stima per il marito, e la aiutò più volte, palesando sempre il suo amore per lei. Cercò in ogni modo di convincere Dante a scrivere una lettera di pubbliche scuse a chi lo aveva esiliato, ma sappiamo come andarono le cose.
Corso è un personaggio ambiguo, eppure affascinante: rappresenta un pochino il i cavaliere medievale sbruffone e violento eppure con un suo (discutibile) codice etico.
Gemma: una donna anacronistica. O forse no.
A pensare a questa donna che, sola, senza denaro, con un marito esiliato, la gogna pubblica e una prole da sfamare è comunque riuscita a vivere (non sopravvivere!) una vita lunga e piena, verrebbe da dire che Gemma Donati somiglia più ad una donna intraprendente dei giorni nostri che non ad una donna del suo tempo.
In realtà, la vita di Gemma Donati era la vita che accomunava la maggior parte delle donne di quel tempo.
I mariti erano spesso in guerra, o in carcere (non immaginiamoci neppure lontanamente un sistema giuridico come quelli moderni), se non addirittura morti: le donne dovevano accudire i figli, difendersi dagli attacchi di qualunque genere, far fronte alle necessità quotidiane, mettere insieme il pranzo con la cena. Non avevano tempo di abbattersi, di crogiolarsi in pensieri da psicanalisi: dovevano resistere e darsi da fare.
La donna del medioevo somiglia più a Gemma che a Beatrice, indubbiamente. Gemma è concreta e viva, Beatrice è l’idea di una donna totalmente inesistente che, probabilmente, nella realtà medievale non sarebbe sopravvissuta mezza giornata.
E Marina Marazza ce la rappresenta bene questa donna dell’alto medioevo, ci mostra tutte le sue forze e le sue debolezze: e lo fa talmente bene che Gemma Donati non può che avere tutta la nostra stima.
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SINOSSI
Gemma, la donna di cui Dante non scrisse mai. Che tempra deve aver avuto, questa fiorentina che nessuno ricorda? Sposa, per amore, un uomo sconsigliabile: non ricco, privo di potere politico e per di più poeta. Non si lascia sgomentare quando lui si trova sul fronte sbagliato, in una Firenze in cui la lotta aspra tra fazioni distrugge vite e patrimoni. Ne affronta il lungo esilio diventando una «vedova bianca» a trent’anni: dapprima deve gestire le difficoltà economiche, quattro figli che crescono, l’ostilità politica che monta intorno alla famiglia del «nemico» Alighieri; poi si vede confiscare tutti i beni e deve fuggire, incinta, dalla città per rifugiarsi con i ragazzi in una malsana palude.
E a ogni svolta del destino le si para davanti suo cugino Corso Donati, il barone bello come un san Michele, violento e seduttore ma anche protettivo e leale, che lei respinge ma da cui in realtà è attratta. E la rivale, l’angelicata Beatrice? Non è un suo problema. Perché è lei, sempre accanto a Dante, forte nella sventura e artefice delle sue fortune, la vera musa della sua vita. Una moglie lo sa benissimo. È solo la storia che lo ha dimenticato.
In un Trecento feroce e splendido di castelli, duelli e fazioni, di fede e scomuniche, Gemma è carne, sangue, intelligenza e passione. Ed è solo un errore del destino se Dante è diventato immortale e lei invisibile. Con questo romanzo Marina Marazza le restituisce una storia personale ricca di vicissitudini e la riporta alla vita nella dimensione che è sua: quella delle grandi eroine e delle grandi donne.
Titolo: La moglie di Dante
Autore: Marina Marazza
Editore: Solferino 2021