“La fine della madre” di Lucetta Scaraffia

recensione di Emma Fenu

madre

La fine della madre è un saggio che si interroga sul nuovo concetto di maternità e, di conseguenza, di femminilità nella società contemporanea.

Scritto da Lucetta Scaraffia, docente all’università della Sapienza e collaboratrice con la testata Avvenire, è edito da Neri Pozza nel 2017.

“Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta.

A farla breve, era quello un tempo così simile al nostro che alcune fra le voci più autorevoli, quelle che più strillavano, insistevano a giudicarlo, nel bene e nel male, solamente per superlativi.”

Charles Dickens, Una storia tra due città

Attraverso una articolata analisi storica, sociale e antropologica, l’autrice si propone di mettere in guardia il lettore contro le false conquiste della realtà odierna dove emancipazione fa troppo spesso rima con involuzione e dove la Donna ha dovuto adeguarsi a modelli maschili, snaturandosi.

Da dee madri a prostitute in vendita, da ventri sacri a uteri e ovuli mercificati: questo è il destino che, al pari di un romanzo distopico, spetta alle donne, ma non in un futuro apocalittico, nell’oggi che costruiamo.

Un primo e visibile cambiamento è in atto nel linguaggio.

Secondo la studiosa, l’uso di parafrasi quali “figlio di”, invece di “nato da”, e di “progetto genitoriale”, invece di “parentela”, sviliscono l’intensità del legame naturale e biologico che dovrebbe essere alla base della famiglia.

Precisa, inoltre, la Scaraffia:

“Ma certo la metamorfosi più grave l’ha subita il termine madre.

Un tempo madre era colei che partoriva, al di là della sua intenzione di allevare il figlio…”

Il femminismo ha generato figli deformi:

la liberalizzazione sessuale, l’uso della pillola anticoncezionale e l’aborto, lungi dall’essere mezzi di affrancamento della donna, la hanno resa asservita al dovere di essere infertile; costretta ad essere sempre disponibile al piacere maschile; la hanno esposta a bombardamenti ormonali che ne limitano la libido e che ne danneggiano la salute.

A questa già complessa situazione, ne è derivata la spregiudicata rivendicazione del diritto al figlio, ostentata soprattutto dalle coppie omosessuali che ricorrono all’utero in affitto.

L’autrice sottolinea che la madre surrogata non dovrebbe essere definita colei che cresce il bambino nel ventre, creando con esso un legame profondo, ma la proprietaria dell’ovulo.

Ecco lo scenario aberrante.

Donne costrette, per indigenza, a diventare operaie della procreazione e bambini destinati a chiedersi in eterno da dove provengano: il tutto per assecondare un delirio di onnipotenza che è hybris della legge naturale e sacra.

Aggiunge l’autrice:

Dal diritto d’aborto nascono diritti impossibili, come quello al figlio, o quello alla procreazione cosciente e responsabile: non sono diritti ma desideri, e non è neppure detto che, se realizzati, portino alla felicità“.

Un saggio così forte ed estremo, quale quello preso in esame, è da leggere per porsi sulla strada che dalla riflessione e dal dubbio conduce alla umile opinione personale.

Non è arricchente ascoltare solo l’eco di se stessi.

A seguire, porrò alcune domande al fine di stimolare il confronto costruttivo, nella consapevolezza che sto scrivendo una recensione, con i dovuti limiti che ad essa sono connaturati, non un saggio.

1. Ci sono studi medici, supportati da serie statistiche scientifiche, che stabiliscono una relazione fra l’infertilità femminile e l’uso di contraccettivi o il ricorso ad interruzioni volontarie di gravidanza?

2. La figura della madre è minacciata dall’esistenza di famiglie non tradizionali quali quelle omosessuali?

3. Concentrarsi sulla genitorialità dei gay attraverso la gravidanza surrogata non fa dimenticare che la maggior parte di coloro che vi ricorrono sono coppie eterosessuali?

4. Dal momento che l’infertilità non è problema del singolo, il 50% delle coppie in età giovane che affrontano l’iter della procreazione assistita devono risolvere problemi maschili.

Come si spiega, alla luce di ciò, l’infertilità dell’uomo che non fa uso di ormoni?

5. Se la maternità è un vincolo che si crea, a prescindere dal DNA, durante la gravidanza e durante il periodo successivo al parto,

perché le madri surrogate sono “vere” madri, mentre le madri da ovodonazione, che questo figlio lo vogliono crescere e amare, non sono altrettanto “vere”?

6. Non è forse pericoloso associare una pratica immorale e deprecabile come lo sfruttamento di donne indigenti, costrette a diventare incubatrici per sfamarsi,

con altri diritti quali la genitorialità consapevole e l’aborto?

Infine, un’ultima considerazione.

La fine della madre, a mio avviso, non è in atto né è scritta nel libro del destino.

Ci saranno madri finché ci saranno figli.

Ci saranno madri finché ci saranno donne.

Ci saranno madri finché le donne saranno consapevoli della propria capacità di generare bambini, idee, progetti, legami.

Ci saranno madri finché le donne ricorderanno il senso profondo dell’accoglienza dell’altro;
perché una donna può partorire da sola, erede di antiche dee e figlia di Eva, ma non può clonarsi: deve fare spazio dentro di sé al seme, concependo con l’uomo, in divina e miracolosa parità.

Al di là delle modalità, tutti veniamo da un ovulo e da uno spermatozoo dentro una pancia.

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Sinossi

Un nuovo diritto non previsto né codificato da alcuna legge si è prepotentemente affacciato, nel nostro tempo, sulla scena: il diritto al figlio.

Per molti è un semplice passo in avanti sul piano della libertà individuale, reso possibile dall’inarrestabile progresso delle tecnoscienze.

Per l’autrice di queste pagine è il segno di una trasformazione antropologica di vasta portata in cui sono in questione i punti nevralgici della condizione umana, a cominciare dalla generazione.

Nulla più delle modificazioni linguistiche e giuridiche è in grado di mostrare la profondità di questa trasformazione.

In molti paesi i termini stessi di «madre» e «padre» vengono cancellati;

la frase «nato da…» viene sostituita da «figlio di..»;

la «parentela» sparisce e si affermano nuovi termini sessualmente neutri, quali «genitorialità», «progetto genitoriale» ecc.

Infine, una nuova formula giuridica, il contratto di affitto dell’utero, rende giuridicamente disponibile ciò che in tutte le legislazioni occidentali è sempre stato giudicato indisponibile: il corpo umano.

Il risultato è che la scena della generazione muta radicalmente.

Comprende ora, oltre ai due genitori, i donatori o la donna che affitta l’utero, i medici addetti alle operazioni necessarie, le istituzioni che mediano i rapporti fra i cosiddetti «donatori» con gli aspiranti genitori; i legali, indispensabili per definire la «proprietà» del bambino e l’eventuale anonimato del donatore.

Un teatro in cui scompare un’unica figura: la madre, quale detentrice unica, secondo Lucetta Scaraffia, di quella capacità di procreare che da sempre gli uomini hanno invidiato alle donne.

Titolo: La fine della madre
Autore: Lucetta Scaraffia
Edizione: Neri Pozza, 2017