“Il racconto incompiuto”
di Rita Vecchi

 

Si alzava sempre troppo presto, ma senza alcun sforzo: il suo corpo aveva sviluppato dei bioritmi precisi, per cui, verso le 4:30, ogni mattina, il suo cervello emergeva in fretta da un sonno leggerissimo e breve, che comunque le risultava sufficiente.

Quattro mesi prima, aveva iniziato ad abbozzare una specie di racconto che l’ossessionava: aveva in mente luoghi, tempi, personaggi, trama.
Era così coinvolta da quella narrazione che, anche quando aveva riposto i suoi fogli, si ritrovava a pensare allo sviluppo della vicenda durante le varie occupazioni della giornata.
Le pagine s’infittivano di parole e, più scriveva, più rimaneva affascinata dallo sviluppo della narrazione. Quello che avrebbe dovuto essere un racconto breve, a mano a mano, stava assumendo le caratteristiche di un vero e proprio romanzo.

Sul quaderno, il racconto era arrivato alle ultime battute. Avvincente la trama, convincenti i dialoghi, accurati i particolari: ogni rilettura la convinceva sulla bontà del suo lavoro, al punto che, a volte pensava di spedirlo, una volta concluso, a qualche editore, anche se… già sapeva che avrebbe scatenato le rimostranze dei suoi familiari, da sempre contrari alla sua passione letteraria.
A parte questa amara consapevolezza tutti gli elementi del suo romanzo la soddisfacevano. Ma il finale? Mancava.

Lasciare la storia sospesa? Oh, no! Come lettrice onnivora e appassionata, detestava da sempre le narrazioni ambigue, soprattutto arrivata all’ultima parola di un libro. Tutto sommato, possedeva una mente semplice, lineare, “scientifica”, dove i fatti erano tra loro interconnessi da una rigorosa relazione di causa-effetto… L’indeterminato, l’indefinito aleggiavano comunque nella sua anima: ma questo era un altro discorso, che non poteva sottrarle energie per il “finale”!

Fine di marzo: stagione degli inizi, non delle conclusioni. Eppure, lei era ancora lì, bloccata.
I suoi risvegli diventarono sempre più precoci. Quel mattino, umido e piovoso, accese il camino. In pochi minuti, un bel fuoco crepitò, gradevole e rassicurante.
Aprì il quaderno per stendere la tanto ricercata fase conclusiva: durante la notte, le parole si presentarono, nette, preziose, perfette per il suo intento.
Scrisse, emozionata e commossa.

L’auto era pronta dalla sera successiva, in giardino: così non avrebbe nemmeno dovuto aprire il portoncino metallico della rimessa, rischiando di fare troppo rumore. Aveva preparato tutto, accurata e fredda, quasi indifferente, come se “il fatto” riguardasse qualcun altro.
Lei accurata, fredda, indifferente? Oddio, cosa le stava capitando? Non si sarebbe mai definita mediante quegli aggettivi, lei, così esasperatamente emotiva, coinvolta e partecipe… in tutte le circostanze. Eppure… Eppure.

In un attimo afferrò i tre quaderni, traboccanti di parole, intrecciate in una storia stupenda. Le sue parole… che ricordò, ad una ad una. Mentalmente le accarezzò, come fiori, come figli, come pelle amata.
Fu un attimo: aprì lo sportello del caminetto e scagliò i tre quaderni fra le fiamme.
Uscì di casa in fretta, piangendo, ma non troppo.

Prima di salire in auto, notò, nel cielo chiaro del primo mattino, uno sbuffo di fumo azzurro, che esalava dal camino: il profumo e il colore delle sue parole, del suo romanzo senza fine.
Mise in moto l’auto e partì.
«Non ho saputo concludere un romanzo, ma ora ho deciso d’iniziare la mia vita!»

 

 

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