“Clotilde, una suora fuori dagli schemi”
di Vania Lauri
Negli anni in cui ho conosciuto suor Clotilde frequentavo suo nipote, un giovane un po’ tenebroso, con un cespuglio di riccioli neri e setosi dallo sguardo intenso, che poi sarebbe diventato mio marito.
Ritorno con un’aurea di soffusa nostalgia al nostro primo incontro.
“Facciamo una gita a Verona oggi, andiamo a trovare mia zia suora. Secondo me ti piacerà”. Così esordì il mio fidanzato, una domenica assolata di molti anni fa.
Dopo un paio d’ore d’auto da Padova, ci trovammo nella piazza delle Erbe a cercarla tra bancarelle ricolme, voci petulanti degli ambulanti e tante persone che curiosavano tra le merci esposte. Mentre sbirciavamo tra la folla, vidi all’improvviso e un po’ allibita una suora che, per venirci incontro, alzava le ingombranti vesti nere per superare con un balzo un muretto in cemento che ci separava.
Immediatamente dopo, accorciate le distanze, due occhi ridenti di un azzurro screziato di nocciola e un sorriso di quelli che partono dal cuore, unite alla scenetta precedente, mi avevano definitivamente conquistato.
Dopo le dovute presentazioni Suor Clotilde ci ha fatto da cicerone tra le bellezze di Verona dimostrando conoscenza e competenza artistica. Mi ha colpito la passione e la vivace eloquenza con cui ci trasmetteva anche curiosità e aneddoti sulla storia della città.
In successivi incontri ho capito che la molteplicità dei suoi interessi: teatro, arte, lettura… cozzava con le rigide regole dell’ Ordine. Ha sicuramente dovuto mediare con fatica la sua esuberanza con il servizio religioso, forse anche attraverso qualche crisi di vocazione, a cui però non mi ha mai accennato.
E’ stata per molto tempo una brava maestra elementare, abilissima sceneggiatrice di recital studenteschi e amatissima dai suoi alunni che, ormai adulti, tornano a trovarla per invitarla fuori in pizzeria; buona scusa per metterla al corrente sulle proprie scelte di vita. E magari per chiederle qualche preghiera ai piani alti per la risoluzione di desideri personali. Pare che le sue invocazioni abbiano un’ottima ascendenza sulle faccende di cuori infranti e solitari. Almeno così affermano i suoi ex allievi.
Instancabile lavoratrice e portentosa fucina di idee e di creatività, nelle sue rare visite e nell’intenso chiacchiericcio telefonico ci scambiamo pareri su libri letti, viaggi intrapresi, consigli di cucito, su fatti di famiglia, certe di trovare un appoggio reciproco.
Mi ha fatto dono di splendide tovaglie che ha ricamato a punto croce e di due deliziosi quadretti, da lei realizzati, per annunciare la nascita delle mie figlie, come simbolo dell’amore che nutre per noi.
Negli ultimi anni ha prestato servizio in una casa del suo Ordine che accoglieva ragazze madri extracomunitarie in situazioni di disagio. Un giorno una giovane donna africana ha affogato la figlioletta di pochi mesi nella vasca da bagno. Questo fatto, insieme alle indagini giudiziarie che ne sono conseguite, l’ha minata interiormente, inducendola a lasciare il lavoro e a condurre una vita più ritirata.
Ora con i suoi ottantaquattro anni e con il covid che imperversa, vive quasi esclusivamente nella bella Casa
Madre sui colli di Verona, allietando il convento con feste improvvisate, travestimenti e drammatizzazioni
teatrali che le consorelle apprezzano moltissimo. Solgono ripetere: “Dove c’è suor Clotilde c’è gioia”.