“Dee, sante e puttane”

a cura di Elvira Rossi

puttane

Dee, sante e puttane: un evento ideato da Emma Fenu, ricca di una creatività che non conosce né pause né freni, e che ha trovato la complicità in cinque donne: Elisabetta Calabrese, Federica Flocco, Luciana Pennino, Alessia Pizzi, Elvira Rossi.

Intervenute, ciascuna con la propria singolarità, in un concerto di note che hanno saputo armonizzarsi fino a comporre un coro.

puttane

 

Un canto, che pur echeggiando le leggende del passato, risuona nel presente, per demistificare un ordine fondato sulla disparità di genere.

Nei vari interventi sono stati analizzati archetipi della cultura patriarcale, per scardinare false credenze, che profondamente interiorizzate riescono ancora oggi a esercitare un controllo sulla coscienza di uomini e donne.

Da tempi immemorabili le differenze biologiche sono state strumentalizzate suscitando stereotipi, che attraverso l’esercizio della violenza hanno garantito la sopravvivenza di un sistema androcentrico.

La concezione di una sessualità femminile finalizzata alla procreazione e al piacere degli uomini ha inquadrato le donne in categorie:

vergini, madri, puttane.

Peraltro valori fondamentali, che attengono alla sfera emotiva e sentimentale, per essere stati associati al femminile, a loro volta hanno subito una sorta di declassamento a vantaggio di atteggiamenti improntati alla forza, alla competizione, al dominio, che riconosciuti come tratti del maschile marcano una condizione esistenziale caratterizzata da divisioni e disarmonie.

La complementarità di genere, che vive all’interno di ogni soggetto, si è tradotta in una polarizzazione del maschile e femminile, riconoscibili in una gerarchia di differente valore.

La sottomissione femminile è la più antica, la più estesa nel tempo e nello spazio, la più difficile da rimuovere, perché le donne sono state addottrinate da un pensiero che ha normalizzato la superiorità maschile.

Gli uomini hanno preso il sopravvento e la mente femminile è stata soggiogata da una visione maschile.

La psiche plasmata dalle distorsioni di una cultura millenaria ha soffocato nelle donne l’istinto aggressivo, abbassando la capacità di difesa e costruzione della propria identità.

Senza essere inferiori, le donne hanno rischiato di apparire tali, perché non hanno saputo proteggere se stesse dalle prevaricazioni.

Se è difficile evadere da uno spazio fisico, è molto più arduo liberarsi da una schiavitù interiore costruita da una rete potente di tabù e pregiudizi, rimasti a lungo indiscussi.

Nelle donne si nasconde una quota di un deficit aggressivo, che non raramente si manifesta nella tendenza a cercare protezione e a lasciarsi guidare.

Metà umanità sottomessa dall’altra metà ha accettato la sudditanza. I diritti umani e civili sono stati declinati al maschile e al femminile.

La complicità deve essere definitivamente interrotta e l’equilibrio ristabilito.

Le donne, che hanno osato trasgredire le convenzioni di un codice non scritto, sono state isolate.

Sebbene modificazioni significative abbiano determinato la crisi del sistema patriarcale, la parità si configura come un obiettivo non ancora raggiunto.

Il 19 maggio alla libreria iocisto di Napoli la discussione sui miti antichi e moderni non è stata un esercizio di dialettica, ma una occasione per interrogarsi, riflettere sul percorso storico che ha spinto donne e uomini a vivere in una condizione di conflitto fondato sulla asimmetria dei ruoli.

 

puttane
Si è voluto tracciare una sorta di percorso che dalla sacralità della Dea Madre, attraverso varie tappe, è giunto all’attuale realtà, che oscilla tra le resistenze della tradizione e una volontà di trasformazione.

I miti, pur trasfigurando la storia in favole ricche di fascino, non le sono affatto estranei, raccontano ed evocano la struttura primordiale delle società e le trasformazioni del pensiero.

Sono una testimonianza di un’epoca lontana e indefinita, quando non esistevano disuguaglianze e a dominare era la Grande Madre, che racchiudeva il mistero dell’esistenza.

Il potere della grande Madre era immenso e da lei dipendeva il rinnovamento della vita umana, della Terra e persino del Cosmo.

La Grande Dea simboleggia il potere ambivalente dell’inconscio, l’impulso primordiale che genera e distrugge.

È la forza che supera i limiti della ragione.

Il depotenziamento della prospettiva femminile ha avuto inizio già prima delle affermazioni delle religioni monoteiste, che nella donna hanno riconosciuto l’origine del peccato, in perfetta analogia con la visione maschile che reputava la donna un elemento di disturbo per l’ordine sociale.

Dalla sacralizzazione del femminile alla sua demonizzazione il passo è stato breve.

Lilith personaggio biblico sarebbe la prima donna della creazione. È l’archetipo della donna che non si piega al predominio dell’uomo.

Demonizzata e censurata subisce una condanna senza riserve, come netto era stato il suo rifiuto di soggiacere ad Adamo.

Lilith è descritta come una figura negativa che asseconda i propri impulsi, mentre in realtà si dimostra capace di pensare e non lascia che siano gli altri a decidere della sua esistenza.

Il tentativo di cancellare la memoria di Lilith, la cui forza era temuta, è paragonabile all’azione degli uomini che, incapaci di vivere un rapporto sano con le donne, le uccidono.

L’energia di Lilth non è spenta, simile alla luna nera aspetta di risorgere dall’oscurità.

A Lilith, emblema di corruzione, viene contrapposta Eva, che non ha messo in discussione il suo ruolo di moglie e madre.

Tuttavia quasi a giustificare il dominio dell’uomo è stata associata al peccato e condannata per un atto trasgressivo, che ha consentito l’accesso alla conoscenza del bene e del male.

Il femminile sacro sarà definitivamente oscurato dalla diffusione del Cristianesimo, che ha rinsaldato il modello della santa e della prostituta.

Le categorie sociali e morali sono costrutti artificiali, che disconoscono la complessità dell’essere umano e tentano di confinarla in un sistema immobile di relazioni.

A costituire una sintesi tra Eva e Maria Vergine si inserisce Maria Maddalena, a cui Emma Fenu ha dedicato un pregevole saggio: «Nero rosso di donna – L’ambiguità della femminilità».

 

puttane
Sulla immagine convenzionale della Maddalena, frutto dell’oscurantismo medioevale, sono stati proiettati vari simboli della cultura patriarcale.

Maddalena donna dalle doti straordinarie, rompendo gli schemi della società giudaica, non sfugge alla condanna di un codice maschile che altera la sua identità, la discrimina e poi la riammette come esempio di conversione per i peccatori.

Emma Fenu nel suo attento lavoro di ricerca dipana il filo rosso che tra passato e presente tiene unite le donne, sempre più protagoniste della storia personale e sociale.

Se i miti più antichi ricordano come le donne fossero all’origine, la storia parla di un processo di delegittimazione del ruolo femminile ma anche di una volontà inarrestabile di emancipazione.

Nell’età arcaica dell’antica Grecia la rimozione dell’energia trasgressiva e trasformativa delle donne era un fatto acquisito, tanto da considerare logico che non avessero alcuna influenza sulla vita della polis.

L’antica categorizzazione di madri e prostitute si riflette nella scissione di alcune feste: le Adonie, che celebravano l’amore licenzioso, vedevano la presenza delle prostitute in situazioni di promiscuità, mentre le Tesmoforie in onore di Demetra, istitutrice dell’agricoltura e del matrimonio, erano riservate alle donne libere e sposate.

La misogenia del mondo greco trova una cruda espressione nei versi satirici di Semonide, che cataloga le donne in classi accostandole a dieci specie animali.

Per estrema generosità il poeta salva unicamente la donna ape, laboriosa e fedele alla famiglia.

Solo nell’età ellenistica sarà possibile assistere ad alcuni barlumi di evoluzione, che però riguarderanno le donne delle classi privilegiate.

E tale condizione non sorprende, perché la dipendenza economica ha sempre rallentato il processo di autonomia delle donne.

Nell’età moderna l’ancestrale dicotomia tra moglie e puttana si ricompone in Filomena Marturano, la protagonista di una impareggiabile commedia di Eduardo De Filippo.

L’animo di Filumena era stata profanato ma non corrotto dalla durezza della vita, che nell’adolescenza l’aveva avviata sulla strada della prostituzione.

Conformismo e anticonformismo, sottomissione e ribellione convivono in Filumena, che come Iside è consapevole del potere femminile, al quale ricorre soprattutto per difendere da uno stato di illegittimità i propri figli, nati da tre relazioni differenti.

Una religiosità ingenua e un senso innato di protezione materna riscattano Filumena, mettendo a nudo la poliedricità dell’animo umano che mal si concilia con la rigidità di paradigmi moralistici.
Alla fine dell’evento del 19 maggio è risultato molto interessante menzionare, quasi a voler trarre delle conclusioni e a sottoscrivere una sorta d’impegno, la Convenzione di Istanbul tesa a prevenire e contrastare la discriminazione di genere.

Tale Convenzione vincola i Paesi, che l’hanno ratificata, all’attuazione pratica dei princìpi fondamentali mediante provvedimenti a tutela delle donne.

In Italia solo di recente la frequenza drammatica dei femminicidi ha diretto l’attenzione verso i Centri di antiviolenza, che andrebbero potenziati, per rendere ancora più incisiva una funzione svolta essenzialmente da volontari.

Se interventi legislativi e istituzionali risultano indispensabili per affermare la parità di genere, la forma di risanamento più efficace e duratura può essere solo affidata a una rivoluzione culturale, che metta seriamente in discussione le separazioni arbitrarie di una società discriminante.

Abbiamo viaggiato tra gli archetipi, per svelare il carattere ingannevole di immagini che con prepotenza si sono impadronite dell’inconscio collettivo.

Uscire dalla barbarie delle violenze fisiche e psicologiche sulle donne è la premessa imprescindibile per realizzare un nuovo Umanesimo.