“Les premières choses mais les oiseaux” di Cathie Barreau

Recensione di Ilaria Biondi

uccelli

Cathie Barreau è una talentuosa voce femminile della letteratura francese ultra-contemporaine, la cui scrittura evocativa e vibrante risuona nelle pagine dei suoi romanzi e nelle opere che raccolgono le sue esperienze come scrittrice in residenza all’interno di un carcere e di un ospedale psichiatrico. La recensione di “Les premières choses mais les oiseaux” inaugura un miniciclo dedicato ai suoi scritti.

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“ Ma in fondo le margherite

non importavano, né il Fratellino:

io mi sentivo uccello.”

(da Quando ero uccello, K. Mansfield)

Sono nata.

Il mio cuore di bambina scodinzola spensierato per le strade e le stanze delle mie ore d’infanzia.

La voce d’ambra e velluto dell’abbraccio di mamma e papà, al di fuori del quale c’è solo gelo, e paura, per me.

I loro bisbigli tiepidi, che mi adagiano lievi sul dondolare lento del sonno.

Il capogiro di fronde, che mi rinchiude in una stretta umida,  profumata di terra e castagne.

Il volo d’organza del mare, che si dischiude ai miei occhi per la prima volta.

Il grembo fiorito del giardino, dove sgambetto felice.

Libellule. Nuvole velate. Gocce precipitose, che saltellano sul mio sorriso di pochi anni.

Li sento, gli uccelli. Il cielo disfatto sembra avvolgerli e nasconderli, ma loro sono lì. E mi parlano, gli uccelli…

La loro voce s’intreccia a quella della mia mamma. La rondine fanciulla. Il merlo chiassoso.

Poi l’ombra della luna diventa fragile, sfrangiata e scura.

Le lacrime di vetro della mamma.

Le sue braccia vogliono strapparmi al vuoto che mi afferra.

Divento una minuscola cosa, che naviga smarrita, randagia.

Nel limbo sottile che barcolla tra i lidi della vita viva e il crinale appannato di una morte quieta, che mi reclama a sé.

Dove sono gli uccelli, i miei uccelli?

Mi hanno forse abbandonata?

Fuggo. Nel vuoto.

Il torpore m’invade…

Divengo ali di libellula.

Sono morta.

Cascate traboccanti. Coralli che guizzano dalle acque ritrose di un lago.

Foreste immense di luce. Alberi grondanti di frutti purpurei.

Un polveroso e vorticoso brulichio di animali, volti, braccia, mani, capelli, colori, urla, onde, ciottoli, schiuma d’oceano, vesti svolazzanti, sole, gocce, brezza.

S’aggrappa il mio occhio stupito all’immensa scia delle oche, che veleggiano intrepide nel cielo infinito, di bianco e silenzio.

Eccoli, gli uccelli, i miei uccelli!

Svaporo, dimentica della mia vita e della mia morte, sull’orlo del mare.

In attesa che una nuova luce mi trascini e mi accolga…

Sono rinata.

Erba irsuta tra le pietre sfondate di muri scrollati.

Camelie soffocate.

Radici sradicate.

Foglie secche e scricchiolanti.

I libri amputati della mamma.

Le pagine sbrindellate.

Orizzonte bucato.

Stanze sbriciolate.

Tutto si frantuma e sperde.

Uccelli, dove siete?

Non riconosco più.

Non ritrovo più.

Nulla. Nessuno.

La nebbia a est, il sole fiammante a sud ricoprono col loro velo di preghiera il corpo muto di due tortorelle.

Morte.

A cui porgo il palmo della mia mano.

Dov’è la mia casa?

I prati scomposti.

I binari sconquassati.

Le fabbriche crollate.

I boschi abbattuti.

Soffia il caos nelle vene del mio respiro.

Ma gli uccelli…

Un passero. Le tortorelle. Un batticoda.

Sorvegliano, muti e discreti, il mio passo incerto.

Un pettirosso mi segue.

Si posa sulla mia spalla.

Il vento che mi soffia dentro cerca le loro invisibili orme.

Rovisto fra foglie e rami scarniti.

Sgorgo dal fondo grumoso delle frasche, a cercare l’azzurro e il verde, sopra di me.

Canta, pettirosso!

Il mio abbraccio alla quercia.

Il fresco che mi bagna la pelle.

La pianura a perdita d’occhio.

L’acqua della palude.

La mia voce che comincia a salmodiare parole taciute e sconosciute.

Tutte le parole che mi porto appresso.

Vegliate, uccelli, sulla mia infanzia nata, morta e rinata ai piedi di una grande quercia…

La parola evocativa e danzante di Cathie Barreau ci trasporta in un universo dove il tempo è acerbo, la vita una scheggia di colori e ombre, che si scompone e ricompone in una notte senza sonno.

Una scrittura che, con passo adornato di grazia, travalica il confine della prosa, per carezzare il lembo scintillante della poesia.

Visioni oniriche e squarci di surrealtà.

Volti, scorci naturali, angoli urbani, creature, oggetti, sfumature, aromi appiccicati al sogno e al nucleo primordiale della precoscienza infantile.

Fotogrammi che seguono, inseguono e restituiscono sulla carta il susseguirsi delle sensazioni e delle percezioni antiche che rimangono incrostate sul fondo dell’Io più remoto.

Istantanee di giorni, ore, istanti.

Gonfie di stupore, sfiorate dalla nostalgia, carezzate dal pianto, screziate dal dolore, ricucite dal bagliore del ritorno.

La forma del frammento traduce con straordinaria efficacia (anche visiva) questo paesaggio interiore mosaicale.

“Vide dedans mon corps et lassitude flottante, libellule rêvée dans le creux du ciel, dans le creux du ventre, des lumiere très fortes venues m’aspirer vers le fond de la terre, craquement douloureux et réveil immobile seule;”[1]

Le immagini si rincorrono, sfilano l’una dopo l’altra, quasi concitate.

E si dispongono in una catena di frasi che fa un uso parsimonioso della punteggiatura, a riprodurre il flusso acceso dei pensieri, intrecciati e sovrapposti gli uni agli altri.

Il periodare, ora di secca brevità richiamante il verso poetico, ora più lungo e disteso a ricoprire lo spazio della pagina, rinuncia volontariamente all’uso del punto fermo finale.

Le pagine, come tante finestre, si socchiudono, ma non vengono mai sprangate, per lasciare che il vento delle emozioni e il respiro dei veli scuri e delle luci continuino a circolare, senza sosta.

In un ciclo eterno.

Vita. Morte. Rinascita.

Ove l’anima si sgomitola, sulle ali trasparenti degli uccelli. Dei suoi uccelli tutelari.

NOTE

[1] “ Vuoto dentro il mio corpo e fluttuante stanchezza, libellula sognata nel cavo del cielo, nel cavo del ventre, luci abbaglianti venute per aspirarmi verso il fondo della terra, scricchiolio doloroso e risveglio immobile, da sola;” (Traduzione mia)

SINOSSI

Le prime cose che ho visto quando sono nata.

Le prime cose che ho visto quando sono morta.

Le prime cose che vedo quando rinasco.

Sentieri d’infanzia, ritratto di un mondo sognato eppur universale. Questo è ciò che l’autrice ci rivela e ci insegna a vedere, attraverso la sua parola evocativa e potente.

Titolo: Les premières choses mais les oiseaux
Autore: Cathie Barreau
Genere: narrativa
Editore: Laurence Teper
Anno edizione: 2009
Pagine: 78

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