“Le donne, i vicoli, i silenzi”
di Lucia Scerrato
Recensione di Maria Lucia Ferlisi
La guerra è terminata da poco, tutti devono rimboccarsi le maniche e ricostruire, la vita, le case, se stessi. Le donne del romanzo di Lucia Scerrato lo sanno bene.
Le donne sono forti, sanno come fare, si archivia il dolore, lo si cela dentro al cuore, lo si combatte con i silenzi, perché la vita deve andare avanti.
Ma i ricordi riaffiorano, sempre, possono essere dolci e leggeri, profumati e delicati, ma non sempre è così.
Un ricordo può anche essere amaro, “agro e pungente”. Allora lo celi dentro al cuore, e preferisci il silenzio, al ricordo, che a volte può essere devastante, non solo per te, ma anche per chi l’ascolta.
Zia Lala incanta i nipoti con le sue storie dal sapore buono. Sono storie di donne che lei ha incontrato nel suo cammino, in quei vicoli stretti che portano alla casa dove è andata a vivere da sposata.
Donne forti e semplici come la terra aspra e avara della campagna dove vivono. Donne che hanno lottato, che hanno vissuto con poco, ma sempre a testa alta, ed apprezzando quel poco che il paese offriva loro.
Donne come lei, come Pinuccia, come Luigina, come Virginia… Donne che hanno conosciuto il dolore, ma sono sopravvissute, ognuna a modo suo.
“Di che odore era carico quel posto? Mi fermavo a respirarlo a occhi chiusi e a pieni polmoni: pungente e acre ma caro e familiare…chissà di cosa e di chi era rimasto a ricordo: del vino e dell’olio conservato nelle botti e nei boccioni lì dietro quelle porte malandate?
Dei vecchi mobili accatastati nel buio, coperti da tappeti ormai scuriti e da arazzi resi indecifrabili dal pesante strato di polvere? Dei cavalli e dei loro stallieri che anni e anni fa rimanevano a dormire tutti insieme lì, su quell’acciottolato bianco e lucido dall’usura?”
I vicoli stretti e ripidi nascondono meglio i silenzi delle frequenti emicranie di zia Lala. Già, lei era così, allegra e dolce, ma da un momento all’altro, i silenzi la rapivano a tutti, figlia, marito, nipoti e Pinuccia.
Restava sola, chiusa in camera per giorni interi. Lo sapevano tutti in paese ed erano abituati a questo. Zia Lala non l’avevano mai vista andare in giro in città da sola, mai. Era sempre con qualcuno, la figlia o il marito, ma mai sola.
Non andava alle feste e nemmeno a trovare la amiche, ma era felice di ospitare chiunque, apriva la porta di casa e offriva loro i biscotti, profumati di anice, ed il profumo invadeva il salotto.
Nessuno sapeva del suo passato, dei suoi silenzi, forse solo la balia del marito: Pinuccia. I ricordi a volte uccidono, allora meglio lasciarli fluttuare nel dimenticatoio della mente.
“Nessuno sembrava poterti aiutare, forse tu stessa non volevi essere aiutata; nemmeno zio riusciva a penetrare quel tuo silenzio. Sì, proprio silenzio: era tutto e solo silenzio intorno a te.
Lo zio ti portava una camomilla la sera, prima che ti coricassi; passavate un po’ di tempo insieme nella penombra a condividere il respiro e la solitudine, ti coccolava con gli occhi, aspettava che finissi di bere e poi andava a dormire in una delle stanze accanto. Ti voleva bene, capiva e ti rispettava.”
Zia Lala era una donna elegante, bella, dolce, ma le sue mani, come i suoi silenzi, nascondono un infanzia difficile, di lavoro pesante, di bucato con l’acqua gelida. Poco importa, lei è sempre magica, perché nessuno sa raccontare le storie come lei. Storie di donne, ma anche di dame, re e regine e di cavalli, ma anche di polenta sfrigolata nella padella unta di olio buono, croccante fuori e morbida dentro.
“Ogni tanto riposava gli occhi stanchi, si toglieva gli occhiali, guardava il cielo, si immergeva in chissà quali pensieri, tirava un sospiro e poi ricominciava.
Era bella zia Lala: alta, elegante con un che di austero. Il suo viso era illuminato da una pelle bianchissima che contrastava con penetranti occhi neri; un’ampia fronte spaziosa e una bella bocca incorniciavano un naso importante che le conferiva un aspetto aristocratico.”
Si era innamorata Zia Lala, di Attilio, un ragazzo che aveva studiato a Roma, non adatto a lei, ragazzina di campagna. Lala non ha paura, sfida la famiglia per quell’amore.
Nel silenzio dell’alba prende la sua gonna buona, la camicetta ricamata, le scarpe più belle e lascia senza rimpianti la famiglia, attraversa quei vicoli ripidi e stretti e bui, per arrivare da lui, in quella grande casa e formare una famiglia, sua, con il suo grande e unico amore.
I ricordi scivolano lievi e delicati, uno dopo l’altro, ed anche il lettore rimane incantato per le parole di Lala. Sono come carezze sui ricordi che s’intrecciano leggere come le note musicali.
Shhhhh, silenzio, ci accovacciamo nella poltrona di velluto verde con le frange, insieme con Maria Teresa e la cuginetta per ascoltare le storie, ma anche il suo grande segreto, quello che la distrugge con le frequenti emicranie.
Adesso possiamo ascoltare anche noi il segreto antico di Zia Lala, e vivere con lei la rinascita del cuore e della vita.
Lucia Scerrato con questo romanzo “Le donne, i vicoli, i silenzi”, da prova di grande sensibilità letteraria, la sua scrittura somiglia alla narrazione, leggera delicata, e ovattata.
Riga dopo riga, restiamo affascinate dalla grazia con cui scrive. Il tono familiare ci mette a proprio agio, come se ti facesse entrare nel suo salotto buono per accoglierti con eleganza.
Lucia apre il suo romanzo e ci accoglie come una madre fa con i suoi figli, come una zia o una nonna fa con i nipoti.
Uno stile elegante e scorrevole, una trama delicata e familiare, un ritmo leggero e lieve. Nel leggerlo mi sono lasciata trascinare dai profumi e dalle perfette descrizioni dei personaggi che ti sembrano che ti siedano accanto per raccontarti la propria vita e aprirti il cuore, come si fa con le amiche.
Un romanzo dolce come i biscotti all’anice, buono come la polenta fritta, forte come le storie delle donne che ci narra.
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