MADRI, MOSTRI E MACCHINE- Rosi Braidotti, a cura di Anna Maria Crispino
Recensione di Veronica Sicari
Madri, mostri e macchine è una raccolta di saggi di Rosi Braidotti, edita da Castelvecchi Editore il 30 settembre 2021.
Rosi Braidotti è una filosofa italiana, esponente di punta del Post-umanesimo, femminista dichiarata, nonché docente universitaria.
Per dieci anni (dal 1995 al 2005) ha ricoperto il ruolo di Direttrice fondatrice della Scuola olandese di ricerca in Women’s studies.
Nelle sue opere mescola ai temi classici della filosofia tutto ciò che proviene dalla cultura pop: film, fumetti, romanzi, quali espressioni della cultura contingente e, in quanto tali, non prescindibili nelle riflessioni accademiche.
Di cosa tratta?
Madri, mostri e macchine edito per la prima volta nel 1996, appare in questa nuova edizione in una veste ampliata.
La stessa Braidotti, nella prefazione, racconta il clima culturale nel quale l’opera era stata originariamente concepita:
“All’epoca, nel 1996, ero molto impegnata nel grande lavoro istituzionale di creazione del programma di studi femministi all’Università di Utrecht, e delle reti femministe europee annesse.
Ma mi sentivo anche completamente immersa nell’esplosione dell’ondata di cyber-femminismo che iniziava proprio in quegli anni. Questo movimento inneggiava alla nascente tecnologia digitale, pur non risparmiandole le critiche”.
Il movimento cyber-femminista nacque dallo sforzo di talune femministe di teorizzare il discorso attorno all’emersione del nuovo cyberspazio e delle nuove tecnologie in genere.
Molte pensatrici si ponevano in maniera critica a questo nuovo luogo di confronto ed incontro umano, temendo una marginalizzazione delle donne; altre, tra le quali Donna Haraway, al contrario ritenevano che le donne, le femministe, non avrebbero dovuto porsi nei confronti di internet e delle nuove tecnologie in maniera critica, esortandole piuttosto a prendere spazi all’interno di queste nuove piazze, tenuto altresì contro delle implicazioni tecnico-scientifiche sui corpi.
Posizionandosi in questo secondo filone, Rosi Braidotti mostra interesse per i processi tecnologici, auspicandone la partecipazione femminile, individuando nuovi terreni di lotta e spazio per il movimento femminista:
“Ciò che mi colpiva invece nelle nuove tecnologie era il loro potenziale trasformativo, per non dire trasgressivo, cioè la loro capacità di affrontare il patriarcato sul suo stesso terreno vincente. Cioè il terreno di un capitalismo in piena evoluzione neoliberale, appoggiato su trasformazioni tecnologiche epocali.
Lo stesso sistema che Deleuze e Guattari stavano analizzando nel senso di una rottura dai parametri precedenti dell’analisi marxista classica.
Il che non significava negare l’esistenza di ineguaglianze e fratture sociali, ma di capire che accanto a esse stava sviluppandosi un altro sistema di produzione post-industriale.
Stava nascendo un capitalismo non-dialettico e non- binario – un sistema rizomatico, nomade e schizofrenico che lasciava proliferare molteplici mercati paralleli, fondati sulla scissione fondamentale tra economia reale ed economia finanziaria.
Le tecnologie – che moltiplicavano su scala globale la de-materializzazione del capitale – finivano anche per rottamare la dialettica della differenza”.
Tuttavia, l’entusiasmo sulle nuove tecnologie e le potenzialità di internet iniziarono a franare con l’inizio degli anni 2000, quando le conseguenze del nuovo capitalismo generarono nuovi e pesanti effetti sociali ed economici, come la crisi economica del 2008.
Nacque dunque la necessità – impellente ed inderogabile – di interrogarsi in relazione al rapporto intercorrente tra tecnologie e corpi.
Nei saggi contenuti in “Madri, mostri, macchine”, Braidotti si occupa proprio di tracciare le linee guida in tal senso. Con un linguaggio proprio dell’Accademia, Braidotti individua e descrive i punti di congiuntura tra l’immaginario mostruoso così come costruito nel corso dei secoli e la costruzione del corpo femminile.
Mostri e donne condividono il medesimo sguardo alienante da chi, per secoli, ha detenuto il privilegio del sapere: sono considerati Altro rispetto alla norma, altro dall’uomo.
Per dimostrare tale assunto, Braidotti mescola alle discipline ed elaborazioni filosofiche, elementi della cultura pop: e così, la filmografia e la letteratura di fantascienza, soprattutto quella sorta a far data dal cyber punk, offrono spunti di riflessione sul mondo multiforme ed in continuo cambiamento nel quale ci troviamo a vivere.
Nella fantascienza trova rappresentazione l’immaginario mostruoso che da sempre ha attraversato l’elaborazione scientifica e immaginifica: quella che vede il corpo della donna come mostruoso.
Ciò che di innovativo avviene è la fusione tra l’immaginario dell’Altro (donna e mostro) e la scienza e la tecnica: film come Alien o altri ci mostrano alieni e mostri, metà macchine e metà esseri umani, che sovvertono l’ordine del mondo, e cercano di scansare dal piedistallo il Soggetto dominante.
La madre e il mostro
In tali rappresentazioni il mostro, sia esso proveniente da un altro pianeta o sorto da una delirante commistione tra corpo e tecnologia, assolve per lo più la funzione primigenia e fondamentale dell’organismo femminile, quella procreativa.
La madre resta sempre, nell’immaginario collettivo, nonché per una certa elaborazione psicanalitica e prima ancora filosofica, la rappresentazione più immediata della mostruosità.
I corpi di donna capaci di generare la vita, per un certo periodo storico considerati in grado addirittura di condizionare la nascita di esseri dall’aspetto mostruoso e dunque altro-da-umano, hanno sin da sempre stimolato la fantasia di studiosi e letterati.
Tra l’altro, la teratologia (ossia lo studio dei mostri) ha avuto modo di indicare come Altro non soltanto chi veniva al mondo con deformità fisiche rispetto ai corpi considerati all’interno della norma, ma anche corpi semplicemente diversi per etnia, colore della pelle, cultura, ponendo dunque una base scientifica alle teorie razziste.
“Alla fine del XVIII secolo il corpo materno sembra essere in una situazione strutturalmente analoga a quella del mostro della tradizione classica: è intrappolato in una profonda contraddizione che lo spacca dall’interno.
Il corpo di una donna gravida è contemporaneamente un filtro protettivo e un conduttore, o almeno un recettore molto sensibile, di impressioni, traumi ed emozioni. Esso è allo stesso tempo un corpo “naturale” e un corpo in qualche modo “elettrico”.
Passa comunque qui una insidiosa assimilazione della donna incinta a un soggetto instabile e potenzialmente malato, vulnerabile alle emozioni incontrollate.
Questo meccanismo di prossimità e repulsione, di familiarità ed estraneità esemplificata dal mostro trova la sua analogia più prossima in fenomeni
come il sessismo e il razzismo.
La donna, l’ebreo oppure il nero e l’omosessuale sono certamente “differenti” dalla figurazione della soggettività umana basata sulla mascolinità, l’essere di razza bianca, l’eterosessualità e i valori cristiani che dominano il nostro pensiero scientifico. Eppure, essi sono essenziali per questo postulato, vi sono legati per negazione e, per questa ragione, sono strutturalmente necessari al sostegno della concezione dominante della soggettività. Il vero nemico, dunque, è interno: lei/lui è ai margini ma abita il cuore della questione”.
Braidotti sottolinea, dunque, come le teorie dell’alterità che investono il “mostro” siano alla base del razzismo e del sessismo e della smania di controllo del corpo femminile.
Come sottolinea Crispino, nella postfazione alla raccolta, Braidotti si inserisce a pieno nella pratica femminista della valorizzazione del lavoro altrui:
“Un altro elemento che si percepisce con forza in questi scritti è che Braidotti appare in ogni momento consapevole di non essere sola: la sua scrittura è intessuta di rimandi, espliciti e impliciti, alla presenza – meglio, alla prossimità – di molte altre e di alcuni altri.
La sua voce e il procedere del suo pensiero sono inconfondibilmente suoi ma nel suo definirsi intellettuale femminista c’è il riferimento a un corpus di riflessioni prodotte non da un’entità astratta e impersonale, ma a un insieme di donne in carne e ossa, note o conosciute attraverso quella specialissima relazione che è la lettura, che in modi diversi e collocazioni differenti stanno lavorando allo stesso progetto attraverso una pluralità di discorsi”.
Perchè leggere Madri, Mostri e Macchine?
Nonostante il linguaggio utilizzato dalla filosofa non sia di immediata fruizione, vale la pena affrontare la lettura di Madri, Mostri e Macchine: in una realtà sempre più pervasa da un immaginario apocalittico e mostruoso, appare forse necessario incamminarsi verso prospettive alternative, per superare la dicotomia tra ciò che è norma, e dunque normale, accettabile e degno, e ciò che è Altro, e quindi mostruoso, disgustoso, da tenere ai margini.
Link d’acquisto
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Sinossi
Disastri nucleari, biotecnologie, fecondazione assistita, cinema e letteratura di fantascienza punteggiano la costellazione di idee madri, mostri e macchine.
Nell’universo scientifico e nell’immaginario culturale il corpo gravido e quello mostruoso si mescolano, restituendo una visione della corporeità femminile come qualcosa di affascinante e mortalmente temibile.
Il fenomeno, che privilegia il deviante, il mutante e l’ibrido, sfida così le versioni più convenzionali dell’umano e riafferma il caposaldo del femminismo: la “differenza” come urgenza politica e filosofica.