“La tripa, il capote, la capa” di Gabriella Raimondi
recensione di Serena Pontoriero
“La tripa, il capote, la capa” è il terzo romanzo di Gabriella Raimondi. Ambientato a Cuba, esso intreccia storie individuali e attuali alla storia del Paese. Tra passato e presente, si parte alla scoperta di una Cuba rimasta fuori dal tempo, sospesa fra una Storia ormai lontana e un presente che si fatica ad accogliere.
“Era la storia che si sovrapponeva alla Storia.”
Arianna e Dario, amici inseparabili, partono per un viaggio a Cuba in cerca di risposte. Arianna, agronoma, ha trovato un messaggio segreto posto fra le foglie di tabacco di un vecchio sigaro; Dario, abbandonato dal padre, cerca di ritrovare il fratello, Giampaolo, partito da solo in Sud America.
“Perché un sigaro con un messaggio era finito nella scatola e messo in commercio?”
Cercando risposte alle loro domande, Arianna e Dario visiteranno quasi tutta l’isola, fra viaggi in autobus sovraffollati, tramonti mozzafiato, mojito e negozi vuoti, il tutto ritmato dal respiro di Cuba. Fra indolenza, riservatezza e ritmi caraibici, i due faranno incontri inaspettati.
“Il profumo speziato delle pietanze si mescolò con il tramonto viola facendo sì che anche gli odori prendessero colore”.
I due amici, seguendo gli indizi, incontreranno una famiglia cubana composta di sole donne, in cui la Storia cubana si materializza. La nonna ha vissuto la Rivoluzione partecipando alla guerriglia capitanata da Che Guevara; la mamma, Beatriz, sembra esser sospesa fra il passato raccontatole dall’anziana e un progresso che tarda ad arrivare, relegandola in una sorta di impossibilità di azione; la nipote, una ragazzina di 16 anni, è rivolta verso un presente consumista e appariscente.
“Dario quindi abbracciò Vanda, Paloma e Beatriz, raccogliendo in un’unica stretta la donne di tre generazioni”
Le abbondanti descrizioni dei personaggi e dei luoghi rompono un po’ il ritmo di una storia molto interessante che va a scovare le origini di un enigma lungo mezzo secolo.
“Non avevo ancora diciott’anni quando anch’io mi unii ai barbudos. Quello fu solo l’inizio. E alcuni inizi cominciano piano piano, per poi evolversi rapidamente”.
Questo è il caso anche del romanzo “La tripa, il capote, la capa”, il cui svolgimento va in un crescendo di suspence fino all’epilogo, il capitolo più riuscito.
L’espediente trovato dall’autrice per concludere il romanzo è molto fine: la Storia è conclusa eppure spetta al lettore immaginare la conclusione della storia.
“Certi incendi sembrano spenti, ma il terreno è ancora caldo e basta poco per riaccendere il fuoco”.
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Sinossi
Una raffinata tripa racchiusa in un capote compatto e insieme arrotolati in una morbida capa sono gli elementi fondamentali per la preparazione di un buon sigaro. Arianna lo sa bene. Lei è una giovane agronoma e la sua passione per il tabacco è una sorta di tradizione di famiglia. In un mercatino di Barcellona trova e compra una scatola di sigari cubani datata 1958. La sua innata curiosità e il profumo di quei sigari ancora così intenso dopo più di cinquant’anni la spingono ad analizzarne uno per studiarne la mescola. Durante l’analisi, tra le foglie arrotolate, Arianna scopre qualcosa di sorprendente: una minuscola velina ingiallita con poche parole appena leggibili. Da L’Avana a Bartolomè Masò, passando per Trinidad e Santa Clara, Arianna seguirà delle tracce per trovare il destinatario del messaggio, attraversando mezzo secolo di Storia cubana, dalla fine del regime di Batista e la nascita della Repubblica Socialista di Fidel Castro, sino a oggi. Riuscirà a ricostruire un appassionante intreccio di vite, segreti e sentimenti che inaspettatamente coinvolgeranno la vita dei due amici che si uniscono a lei nella ricerca.
Bello, credo che lo leggerò
Ciao Katia, sì poi dimmi cosa ne pensi 😉