“Il soffio delle stagioni” di Maria Cristina Sferra

Recensione di Mirella Morelli

Il soffio delle stagioni

Copertina della silloge

S. Agostino, ne Le Confessoni, chiedendosi cosa fosse il tempo così si rispondeva:

Se nessuno m’interroga lo so; se volessi spiegarlo a chi mi interroga, non lo so”

E, cos’è il tempo, vien da chiederselo con dolce malinconia ad ogni verso della silloge “Il soffio delle stagioni”, dove Maria Cristina Sferra – con due poesie per ciascun mese dell’anno – ne sottolinea lo scorrere in maniera personalissima eppure antica.

Mi piace iniziare a raccontarvene citando i versi seguenti, che associano all’impalpabililità e all’invisibilità del tempo qualcosa, al contrario, di molto reale: le stoffe.
Un paragone originale ma assolutamente calzante:

Le stagioni sono scampoli

di lana, di lino, di seta e di cotone.”

Vien da pensare a un frammento di inverno chiuso nei gomitoli, poi a una primavera sgualcita, ariosa e profumata di lino, ancora a una estate languida come la seta e infine un autunno dai mille colori simili a t-shirt di cotone.

Ho pensato. Ho pensato con dolcezza,  dopo ogni poesia di questa silloge, dove alcuni versi ci ricordano che

I nostri pensieri tessono

le stoffe delle stagioni”.

Tessendo la tela del nostro personale e umanissimo arazzo il tempo scorre: ogni poesia de “Il soffio delle stagioni” ce lo rammenta, sancendo coi suoi colori su tela la nostra finitudine:

I giorni sono fogli

del libro della vita.

Ne è passato un altro.

Sfogliamo la nostra storia

e la possiamo leggere

una e una volta soltanto.”

Con la tematica del tempo, ne “Il soffio delle stagioni” Maria Cristina Sferra si avvicina a qualcosa di molto caro ai poeti e ai letterati del secolo appena passato, inserendosi in un vero solco di riflessioni già tracciate nel corso dell’intero Novecento.

Possiamo partire, per esempio, da Ungaretti, con la percezione dello scorrere del tempo tra passato e presente, o con il rapporto tra finitezza dell’uomo e senso dell’assoluto, al di sopra dei quali va a confluire tutta la riflessione sulla condizione dell’essere umano.

Per poi giungere fino a Freud e a Joyce, o ancora a Pirandello e Svevo, nei quali il tempo abbraccia la coscienza e acquista un connotato dicotomico – tra Scienza e Fisica in particolare.

Insomma, da un lato l’incubo-tempo, ossia l’impossibilità o incapacità di vivere senza la certezza degli orologi in quella che viene definita la “cronocrazia”; dall’altro, la qualità assolutamente non mensurale del tempo stesso, che spesso solo i poeti riescono a cogliere: l’attimo fuggevole e unico, il tempo perfetto, il momento ossimoricamente eterno, il tempo adeguato (il “kairós” dei greci, ossia un tempo giusto e opportuno), con il suo scorrere tumultuoso e giammai lineare e costante.

E’ con questi pensieri che ho letto più volte “Il soffio delle stagioni”, le poesie di Maria Cristina Sferra lievi proprio come semi di un soffione che si allontanano nello spazio, chiedendomi dunque qual è il tempo di cui la poetessa ci racconta.. Quale il suo assillo, quale il suo cruccio o il suo sospiro.

L’alba

Il mattino è in grembo alla notte.

Poso le membra stanche sul letto lilla

e già la luce si sta dipanando

nel cielo a oriente.

Il giorno vuole nascere.”

In questi versi la Poetessa sembra subirne lo scorrere, lento o precipitoso che sia ma comunque ineluttabile perchè indipendente dalla nostra resistenza. Lo si avverte, lo si coglie, e a nulla varrebbe contrastarlo.

Dunque tempo mensurale, scandito nella sua cronologicità: “il giorno vuole nascere”, e di certo non sarà la nostra paura dei giorni che fuggono a fermarlo.

L’ossimoro del tempo come successione sempre uguale di istanti tutti identici, come ci dice la fisica, in contrasto con la percezione del nostro tempo finito, con la nostra paura che ad ogni istante stia via via terminando.

Il suo fluire non è anche il tempo della coscienza, come diceva Henry Bergson? Non è, per Maria Cristina Sferra come per gli artisti del secolo passato, un flusso continuo di istanti che si compenetrano sempre, e perciò non separabili?

Ebbene sì, anche ne “Il soffio delle stagioni” il tempo oscilla tra la constatazione di un tempo cronologico vessante, e la sensibilità di istanti fluidi vissuti nel calore delle emozioni e degli affetti:

Il tempo si assottiglia

come le pagine rimaste

di un anno che volge al termine.

Ogni respiro è prezioso.”

(Da “Tempo sottile”)

O ancora, quegli stessi istanti fluidi vissuti nel calore delle emozioni e degli affetti, che annullano e sconfiggono ciò che è ormai passato:

Mille abbracci sono i nostri.

Ti copro di baci infantili

per non dimenticare il tempo trascorso.”

(da “Mille abbracci”)

Infine una poesia che, proprio nella sua scarna ruvidezza, tutto dice:

Ho lasciato pezzi di me

lungo la strada della vita.

Pezzi di anima e di corpo.

Altre cose.”

(Da “Altre cose”)

Che il nostro umano sentire propenda per un freddo e scientifico tempo cronologico, o al contrario per un flusso emozionale di istanti mai mensuralmente uguali, la silloge “Il soffio delle stagioni” di Cristina Sferra è lenitiva nella sua delicatezza, e lascia in bocca una voglia di consolazione che spinge a ricominciarne da capo la lettura.

E, istante dopo istante, ad abbandonarsi allo scorrere del tempo insieme alle pagine.

Nome libro: Il soffio delle stagioni
Autore: Maria Cristina Sferra
Genere: poesia
Editore: Selfpublishing
Anno pubblicazione: 2016

 

Quarta di copertina:

Ventiquattro poesie più una, quella che apre la silloge, le dona il titolo e ne rivela il senso profondo. Brevi componimenti evocativi da assaporare con lentezza, cullati dalle parole, centellinando i versi come un dolce nettare, per lasciarsi trasportare sul dolce vento delle emozioni.

Il soffio delle stagioni

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