“Storia di un corpo”, Daniel Pennac
Recensione di Elisabetta Corti
“Mia cara Lison”. Così il protagonista di questo romanzo si rivolge spesso a sua figlia, la cara Lison, a cui lascia in eredità una serie di quaderni.
Un diario, dite voi? Sì. Ma anche no. Non un diario che, giorno per giorno, racconta le vicende di un ragazzo diventato uomo.
Un diario del corpo.
E quel che il notaio ti consegna è davvero uno strano regalo: niente meno che il mio corpo! Non il mio corpo in carne e ossa, ma il diario che di esso ho tenuto all’insaputa di tutti nell’arco nella mia vita.
Iniziato a 12 anni, dopo una brutta esperienza nei boyscout, ecco che il padre di Lison comincia a descrivere il proprio corpo.
E non solo nella sua fisicità, ma attraverso tutti i sensi, le emozioni, le reazioni ad altri corpi.
Tramite il corpo, ecco scoprire i genitori, il fratello Dodo, la tata Violette. Le loro voci, i profumi a loro legati, vicende di altri corpi.
E poi il collegio, la guerra, l’uscita dall’adolescenza.
La storia di quest’uomo si srotola agli eventi, ma solo attraverso il corpo. Cadono anche tutti i tabù: sul sesso, sulle produzioni corporali, sulle ferite aperte.
Non c’è spazio per i segreti in questo diario, perché il corpo parla e vuole essere ascoltato.
Giorno dopo giorno, ecco notare i cambiamenti, il mutare delle sensazioni.
Ecco arrivare altri personaggi, con i loro corpi, con altri dettagli da raccontare.
Ecco il provare nuove emozioni, scoprire che non sappiamo ancora nulla del nostro corpo, svelare nuovi percorsi di un labirinto.
In effetti stamattina ho proprio versato. Sarebbe più giusto dire che il corpo ha versato tutte le lacrime accumulate dalla mente nel corso di quest’inverosimile carneficina. La quantità di sé che viene eliminata con le lacrime! Piangendo si fa molta più acqua che pisciando, ci si pulisce infinitamente meglio che tuffandosi nel lago più puro, si posa il fardello dello spirito sul marciapiede del binario d’arrivo. Una volta che l’anima si è liquefatta, si può celebrare il ricongiungimento con il corpo. Stanotte il mio dormirà bene. Ho pianto di sollievo, credo.
Insieme all’autore, il lettore si trova a provare diverse emozioni. Dalla risata esilarante, alla tristezza. Dalla gioia di un evento particolare, alla rabbia di un altro.
E come la vita, questo libro scorre a volte veloce, frenetico di sapere e scoprire, altre più lentamente, nella routine della ripetizione quotidiana.
La scelta di descrivere una vita attraverso il corpo è geniale, e Pennac si prende dei rischi non da poco.
La struttura del libro, infatti, lo rende a volte ripetitivo e un po’ lento. Questo soprattutto nella prima parte, che però rispecchia gli eventi di quel momento (la giovinezza e la scoperta del sesso, in particolare).
Inoltre, vi sono delle descrizioni molto dettagliate della fisicità. Insomma, in alcuni punti è un diario strettamente legato al corpo, anche se, va sottolineato, questo avviene solo in alcuni episodi, e non nell’intera narrazione.
Ci pasciamo in segreto dei miasmi che in pubblico tratteniamo. Un simile doppio gioco vale anche per i nostri pensieri e questa doppiezza è il Leitmotiv della nostra vita. Tornati ciascuno a casa propria, la mia giocatrice di tennis e io ci godremo, ciascuno per sé, uno di quei lunghi peti che faremo giungere fino alle narici grazie all’onda che con consumata scienza sappiamo imprimere alle lenzuola
Personalmente, terminata la lettura, ho ritenuto che quelle parti fossero essenziali alla buona riuscita del libro, che diversamente sarebbe risultato troppo formale, mancante di quella famigliarità che il protagonista ci trasmette, pagina dopo pagina.
Il diario ci porta, lentamente ma rigorosamente, verso la fine. La fine, che equivale alla morte, in questo caso preceduta dalla vecchiaia e dal lento logorarsi di quel corpo, una volta così energico.
Eccolo, il vero inizio della vecchiaia. Questa rottura spontanea. Unghie, capelli, denti, femore, la nostra carcassa si sbriciola. La banchina si stacca dal polo, zitta zitta, senza l’urlo dei ghiacci che rende spaventosa la notte polare. Invecchiare significa assistere a questo disgelo
Ci prepariamo a dire addio a quest’uomo, di cui abbiamo conosciuto tutto sulla sua vita e il suo corpo, ma di cui non sapremo mai il nome.
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