“Il portone rosso” di Alessandra Piccinini
Recensione di Elvira Rossi
“Il portone rosso” di Alessandra Piccinini – Le Mezzelane Casa editrice.
“Il portone rosso”, titolo del libro, che si ripropone nella relativa immagine della copertina, scaturisce da una memoria legata all’infanzia di Ludovica che rivive il momento in cui prende coscienza del proprio essere.
La voce narrante è affidata alla protagonista della storia che disegna un percorso di crescita ricco di asperità, che attengono sia alla sfera lavorativa che sentimentale.
La scelta “dell’io narrante” e una certa immedesimazione della scrittrice nel personaggio principale lasciano supporre che una dose di biografismo non sia del tutto estranea alla costruzione del romanzo, che tradisce le competenze professionali della scrittrice.
Nell’intreccio, quando il presente incontra il passato, la narrazione, a tratti, diventa più tortuosa prima di riprendere un ritmo narrativo scorrevole e coinvolgente.
I momenti di retrospezione, che rendono complessa la struttura narrativa, sono tesi a definire il percorso evolutivo di Ludovica che, passando attraverso errori, incertezze, momenti di infelicità ed esaltazione, insegue la propria realizzazione.
Ogni esperienza negativa o positiva rappresenta un passo verso un progresso che pone al centro una irrinunciabile libertà.
È significativo che alcuni capitoli si chiudano con un pensiero sulla libertà.
La concezione di libertà nell’età giovanile appare confusa e contraddittoria e coincide soprattutto con la volontà di espandere le energie vitali in tutte le direzioni anche quelle più insidiose.
Conformismo e anticonformismo vivono in un perenne conflitto che alla fine si risolve in una pacificazione transitoria, perché la vita con la sua mutevolezza impone la riformulazione di nuovi equilibri.
L’adolescente Ludovica ama sorprendere, cerca ammirazione e amore.
Alla estrosità dell’abbigliamento, che si presta a una facile valutazione negativa, si contrappone una straordinaria serietà nello studio.
La narratrice attraverso i suoi personaggi insinua dubbi sui luoghi comuni dimostrando che l’apparenza può essere mendace.
Ludovica ragazza, e poi donna spregiudicata, sa riconoscere il senso del limite e si ferma quando è sul punto di precipitare.
Alla bellezza di un film, che con i suoi eroi negativi l’aveva stregata, antepone la bellezza della vita.
Comprende presto che la vita è ben diversa da un film, dove tutto può essere programmato e dominato.
La giovane donna ricerca e va incontro alla imprevedibilità degli eventi ma si oppone al loro potere.
Dalla idea di diventare brutta trarrà la forza di allontanarsi da una realtà malsana che avrebbe offuscato la sua immagine.
“Io volevo il massimo, desideravo essere felice con tutta me stessa. Volevo anche essere bella e fare solo le cose che mi piacevano, niente più sacrifici. Allo stesso tempo volevo che tutto fosse naturale, senza sforzo, senza compromessi.”
Ludovica anche quando sarà una donna adulta si lascerà guidare da un senso estetico che va oltre le forme esteriori.
Ama piacere e piacersi.
Nella vita della donna c’è spazio solo per esperienze e persone che abbiano la capacità di rapirla e affascinarla.
La mediocrità non le appartiene.
Ama la pienezza della vita e dalla bellezza trae una sorta di energia.
La bellezza la travolge, la bellezza la salva.
Vita, libertà, bellezza creano un connubio inscindibile.
Affascinata dalla bellezza di un corpo o di una mente rischia di subirla, ma alla fine a trionfare è sempre il fascino della libertà, la cui assenza impoverirebbe e deturperebbe il suo essere.
Ludovica non resiste alla seduzione dell’intelletto.
L’effetto seduttivo delle parole si trasforma in attrazione fino alla passione.
E se l’artefice delle parole è abile, Ludovica ne fa le spese.
Si lascia incantare da parole avvincenti e calde nella stretta di in un abbraccio che rischia di essere distruttivo.
Ha bisogno di stimoli molto forti e spesso è attratta da uomini che si rivelano sbagliati e quando l’impulso emozionale prende il sopravvento, il senso critico tarda ad avere voce.
Ludovica per la sua storia si rende simile alle altre donne, quando lascia che a prevalere sia l’anima di sognatrice che appanna e confonde gli eventi.
Appare speciale, quando riconoscendo l’abbaglio ritrova una forza rigeneratrice che le consente di allontanarsi da sembianze ingannevoli.
Ludovica ha due mondi da combattere, uno vive fuori di lei ed è costituito da interessi, corruzione, falsità, l’altro dimora dentro di lei ed è popolato dalle sue fragilità, da quel bisogno spasmodico di sperimentare il nuovo e l’inafferrabile.
L’inclinazione ad accogliere la vita senza fermarsi di fronte all’ignoto, l’irrequietezza del temperamento, la paura della noia spingono la donna verso labirinti intricati.
La rassicurante calma quotidiana e la certezza degli affetti, quando limitano spazio vitale e creatività, da Ludovica sono respinte. E lo dimostra quando con una dose di sofferenza lascia un uomo che pur garantendole una stabilità la imprigiona nella ripetitività e nella prevedibilità delle giornate.
“Sapevo che il giorno dopo avrebbe trovato donne mille volte più belle di me che non aspettavano altro, ma per me l’alternativa era morire, e io volevo vivere. Volevo vivere libera.”
La conflittualità, che è proprio dell’essere umano, in Ludovica si drammatizza e la ricerca dell’equilibrio interiore è animata da un incessante dinamismo suggerito dalla esuberanza di un animo incline alle esperienze inconsuete.
Pretende di capire quello che le accade, anche se non sempre riesce a darsi delle risposte certe, come quando rifiuta di vivere l’amore passionale per un uomo dal quale è ricambiata con altrettanta intensità.
“Probabilmente perché volevo che G restasse per sempre e, si sa, solo ciò che è incompiuto resta per sempre”.
L’atteggiamento contraddittorio nasconde il sottile timore che l’intensità di un sentimento sarebbe stata logorata dalla banale quotidianità.
L’amore non consumato si avvia a una straordinaria metamorfosi, che lo trasforma in un’amicizia duratura e tenace, sulla quale Ludovica potrà sempre contare.
Il romanzo sembra essere costruito da tante storie, momenti di vita personale, che talvolta si incrociano altre volte si separano.
Un ampio spazio è concesso a una relazione tormentata che, nata da un contatto virtuale, travolge Ludovica.
A questo punto l’autrice muta la prospettiva della narrazione e lascia che S., prima di essere visto dallo sguardo della protagonista, si sveli direttamente attraverso le conversazioni che si svolgono sulla chat.
L’uomo la coinvolge in disquisizioni cerebrali e inconcludenti, che la confondono e minano la sua sicurezza, creando le premesse per un rapporto di dipendenza.
Gli incontri, o che siano a distanza o che siano ravvicinati, a volte la stimolano e la lusingano, altre volte la disorientano e la spingono a dubitare del proprio valore.
I dubbi, che andranno a stratificarsi in una costante oscillazione, a poco a poco la condurranno in direzione della verità.
La giovane donna avrà bisogno di molto tempo prima di riconoscersi come complice e vittima di una manipolazione.
L’aver fallito la mette di fronte alle proprie debolezze e le consente di conoscere meglio sé stessa.
Ludovica non potrà essere mai del tutto al riparo dal dolore e dagli abusi, ma dalle proprie vicissitudini apprende che è sbagliato donare amore a chi la fa sentire una nullità.
La fiducia nelle proprie risorse deve essere un punto fermo.
Nella narrazione descrizione e introspezione sono due punti di forza.
Si alternano, interagiscono, s’incontrano, ma a prevalere è l’introspezione.
Le descrizioni minuziose e accurate partono sempre da dettagli di carattere fisico per poi andare più in profondità e in particolare sono dirette ai personaggi maschili con i quali a vario titolo entra in relazione.
Alla osservazione rivolta verso l’esterno si associa un lavoro di scavo interiore che porta alla luce elementi distintivi della personalità di Ludovica.
Nel contesto professionale, nel quale l’aspetto emozionale esercita su di lei una pressione più lieve, Ludovica appare critica e severa nei propri confronti:
“Mancavo, però, di intelligenza sociale e non ero in grado di adeguarmi alle situazioni, sicché manipolarmi e sottrarmi soldi non era poi così difficile.”
Con lucidità riconosce la competizione e lo sfruttamento e agisce con realismo adattandosi alle situazioni o ribellandosi quando individua alternative.
Nella parte conclusiva del romanzo ritorna un motivo caro all’autrice, il contrasto tra l’essere e l’apparire.
L’ultima tessera che completa la rete narrativa sorprende il lettore trasferendolo nel mondo della perversione sessuale, dove Ludovica, spinta dal desiderio di strappare la maschera di perbenismo a qualcuno di cui aveva percepito la doppiezza, irrompe per un breve transito.
“Il portone rosso” di Alessandra Piccinini è un romanzo complesso che attraverso una scrittura impeccabile narra l’evoluzione di una donna e ci invita a riflettere sulle difficoltà che accompagnano la conquista di un equilibrio interiore.
Sinossi
Ludovica ha trascorso buona parte della sua vita a sfidare le sue paure, ritrovandosi spesso in situazioni estreme o ambigue. Intuito, lucidità, una non comune capacità di analisi e una certa dose di fortuna l’hanno sempre salvata da strade senza ritorno. Un eccesso di prudenza l’ha portata a troncare sul nascere la sua relazione con G. Oggi è un attraente avvocato di successo, le piace apparire, si sente vicina alla realizzazione e la sensazione di vuoto che ha da sempre le sembra sotto controllo. Ma quando i violenti terremoti del 2016 devastano l’entroterra marchigiano, anche la vita di Ludovica viene scossa nel profondo. Incontra S., e tra i due nasce un’affinità intensa. Da subito, però, qualcosa non quadra. S. si rivela instabile e mostra segnali sempre più evidenti di delirio. Ludovica ne è attratta e non vuole allontanarlo. Mentre lei si interroga su cosa le stia accadendo, gli eventi precipitano.