Cassandra di Christa Wolf

Voce al sogno

recensione di Tiziana Tixi

cassandra wolf

 

Cassandra è un romanzo di Christa Wolf scritto nel 1983 e riedito da Edizioni e/o nel 2018.

Di cosa tratta Cassandra?

Cassandra, figlia di Ecuba e Priamo, veggente e sacerdotessa di Apollo, è stata condotta a Micene da Agamennone come prigioniera di guerra.

Davanti alla Porta dei Leoni, ella attende che il suo destino si compia per mano di Clitennestra. Siede sul carro, dentro una cesta di vimini. Sopra di lei il cielo di Micene.
Terso, smaltato come quello di Troia ma vuoto. Vuoto come Cassandra che, ormai in limine vitae, lascia che i ricordi corrano a briglia sciolta, quasi febbrili.
Nell’arco di un tramonto, si affastellano nella memoria personaggi ed eventi che hanno segnato la sua esistenza e inciso sulla fine della sua città.

Fin dall’infanzia, Cassandra è la più interessata alla politica tra i numerosi figli di Priamo.

Cresce affascinata dalla figura paterna, il cui odore di pulito si mescola a quello esotico evocato da nomi di principi, di re e terre lontane con cui Troia intrattiene scambi commerciali. La piccola è sempre in ascolto; presta l’orecchio alle voci del cortile interno, coglie brandelli dei discorsi degli anziani. È per questo, più che per la nascita, che si sente troiana.

Il profondo senso di appartenenza alla stirpe la porta a rivendicare una voce e uno sguardo autonomi per servire la sua città e il suo re-padre. Sì, Priamo discute con la figlia prediletta di affari di Stato ma ella non può sedere in Consiglio.

Eppure Cassandra reclama un ruolo, una forma di potere. Vuole parlare con la propria voce al mondo maschile ed essere ascoltata. Ma, perché sia ascoltata, la voce deve avere un timbro autorevole.

Ella è una principessa ma è pur sempre una donna; i privilegi di cui gode non bastano ad abbattere la barriera che si frappone tra la sua condizione femminile e il desiderio di esercitare un’influenza sugli uomini.

Ma a una donna che, nel furor profetico, dia voce tonante alla silenziosa voce di un dio, a quella donna è dato parlare. Ed è dato essere ascoltata. Che parli alle masse, che parli agli ultimi, che parli a chi è oppresso dal peso degli affanni. E che parli al Palazzo. È il suo uffizio che lo richiede.

Cassandra trova così nel sacerdozio la via maestra per uscire dalle strettoie di genere e imporre la sua voce sul brusio maschile. Una carriera, la sua, fondata sull’esclusione della sorella Polissena. La loro rivalità trascende il vincolo di sangue e si rivela il sordo scontro tra due donne che si contendono una carica pubblica.

Sconfitta, Polissena userà l’arma della seduzione per ridurre in suo potere gli uomini di potere, in un gioco al
massacro contro sé stessa.

Cassandra, dunque. È lei la prescelta ma la sua vittoria è frutto di un dubbio intreccio di sogni premonitori, predilezione paterna e meditata decisione materna.

L’altro privilegio che ella brama e ottiene è la veggenza. Non si cura di chi la avverte che nessuno la crederà; ciò che conta è il dono e il potere che ne deriva. Sarà poi il tempo a darle ragione; dimostrerà di dire il vero e tutti dovranno prestarle fede.

Cassandra è un romanzo strutturato sull’antitesi veggenza-cecità.

“Perché volli a tutti i costi il dono della veggenza?” È una domanda che la donna si pone per ben due volte mentre attende la morte. E vi si percepisce una nota di rammarico. Sì, perché quella grazia tanto desiderata si rivela uno spietato aguzzino. Cassandra vede l’impostura diffondersi come veleno nel Palazzo; vede la corruzione dei nuovi tempi che non rispettano più nemmeno i morti; vede la cecità di un intero popolo.

“Se fossimo formiche: l’intero popolo cieco si precipita nei fossati, annega, forma i ponti per i pochi sopravvissuti che sono il seme del nuovo popolo. Simili a formiche andiamo dentro ogni fuoco. Ogni acqua. Ogni fiume di sangue. Solo per non dover vedere. Cosa? Noi.”

Schiacciata da questa brutale rivelazione, Cassandra si rifugia nella pazzia; essa la protegge dal dolore, altrimenti insopportabile, causato dalle pulsioni della vita e della morte in lotta nella sua anima spenta.

Cassandra è l’unica a vedere il vero in una società abituata a vedere solo finzione. Perfino gli oracoli dicono il falso, su commissione dei membri del Palazzo, divini quasi quanto gli dèi. Troia non sarà mai espugnata; il nemico sarà battuto e la città sarà liberata dai suoi ordigni di morte. Questo gli dèi di Palazzo assicurano per bocca degli àuguri.

Tale instrumentum regni conserva la cecità delle masse. Ma Cassandra non legge nelle viscere delle vittime sacrificali, bensì nei segni dei tempi e su ciò che essi annunciano vorrebbe illuminare la gente. Troia non vincerà mai una guerra fondata su una menzogna ordita dal Palazzo.

Questa è la cruda verità che ella è la sola a vedere e che vorrebbe gridare. Si trova così scissa tra la fedeltà alla stirpe e la necessità di dissonanza. È difficile estirpare le radici, ma quando esse cominciano a diffondere linfa infetta, l’estrazione, pur dolorosa, è necessaria.

Sempre più sgomenta, ella vede mutare l’ordine interno del Palazzo; vede il disfacimento della tradizione troiana incarnata da Priamo, ormai cieca e sorda marionetta nelle mani di Eumelo, il vero monarca assoluto.

Cassandra non è più disposta a tacere e obbedire. Una voce a lei estranea comincia a parlare da lei, contro la sua stessa volontà di adeguarsi al Palazzo e contro il Palazzo. E grida no. No a Eumelo, che ha innalzato muri e ridotto Troia a una città di spettri. E dice no a Priamo, aprendo una voragine insanabile che la allontana dall’adorato padre.

Cassandra realizza la propria pienezza nel grembo delle comunità femminili dissidenti dello Scamandro. Donne che tra morire, come Pentesilea, e uccidere, come Clitennestra, praticano una terza via: vivere. Donne libere, in armonia tra loro e con il Tutto e grate di godere del più alto privilegio: portare una striscia di futuro nel buio che si annida in ogni presente.

Cassandra dice no anche a Enea. Lo ama ma non lo seguirà. Non può e non vuole vederlo diventare un eroe. Quello con Enea è un rapporto povero di fisicità, costruito invece su timidi gesti, su una comunicazione telepatica empatica, fatta di non detti e metafore.

Perché leggere Cassandra?

Con una scelta brusca, quasi crudele ai nostri occhi accecati dal fulgore del mito, la Wolf ne smaschera le finzioni e in Cassandra sono gli uomini a prendere il posto degli dèi, è la Storia a prevalere sugli eroi.

Il mito, dunque, è finzione. Su una finzione è scoppiata una guerra durata dieci anni. Cassandra vede che la bella Elena è solo una maschera ideologica dietro la quale si cela una lotta sanguinosa per il dominio nell’Ellesponto.

Vede scelte politiche scellerate quale reale presagio della rovina della città e, per sincero amore verso Troia, si scaglia contro chi quell’amore lo millanta soltanto, mosso da opportunismo. Ma non è creduta. Per effetto della maledizione di Apollo? O forse perché la sua voce autentica suona cacofonica rispetto alle allocuzioni trionfalistiche del partito del re?

Cassandra è la storia del risveglio di una donna che, a fatica, apre gli occhi e smette di credere nel valore profetico dei sogni e negli dèi. Diventa incredula per poi tornare a credere.

Ma è una fede tutta nuova, quella conquistata da Cassandra. Una fede razionale nella propria facoltà di giudizio. La veggenza non è un dono divino ma l’umana capacità critica di vedere la nuda, reale figura degli eventi. Tutti possono essere veggenti e tutti i veggenti sarebbero creduti se le loro parole non urtassero i muri di una cultura fondata sul silenzio e sull’oppressione.

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Sinossi

Cassandra, la veggente figlia di Ecuba e Priamo, racconta il tramonto e la rovina della sua città e si affollano alla memoria la traversata dell’Egeo in tempesta, l’arrivo a Troia delle Amazzoni, i delitti di Achille la bestia, la rottura con il padre Priamo accecato dal meccanismo inarrestabile della guerra, la vita delle comunità femminili sulle rive dello Scamandro, l’amore con Enea.

Titolo: Cassandra
Autore: Christa Wolf
Edizione: Edizioni e/o, 2021