Shosha di Isaac Bashevis Singer

Voce all’altrove

Recensione di Cynthia Collu

Shosha

Shosha è un romanzo di Isaac Bashevis Singer edito nel 1978 e riedito più volte.

Definire l’indefinibile è impresa ardua, così come il poter spiegare lo straniamento che mi ha lasciato questo romanzo.
Mi è piaciuto? Sì. Moltissimo.
Ma per quanto da giorni ci pensi, non riesco a individuarne il motivo vero.
Certo, è un gran romanzo, che si potrebbe tranquillamente allineare a quelli di classica tradizione: la storia, i personaggi, le descrizioni vivide, le puzze, i colori, i dialoghi, le molte dotte digressioni, sono tutti elementi importanti eppure non essenziali, dato che molti altri romanzi le possiedono senza tuttavia avermi regalato questo stato di attesa felice o infelice, non saprei.
Forse, mi ha solo lasciato addosso tanta malinconia. E, a ben pensarci, credo che proprio la malinconia sia la vera protagonista del romanzo.

Molti ebrei si sono ribellati al nazismo e hanno imbracciato il fucile, tantissimi altri si sono rifugiati per tempo in paesi lontani, fuggendo la minaccia di Hitler. Ma la maggior parte dei personaggi di Singer viene presentata come soggiogata dalla malia del Destino.

Una fascinazione dolente e perversa che ha il nome di Rassegnazione; peggio, di attesa della Morte o volontà suicida.

“Se sentissi d’aver ancora la forza di ricominciare” dice Celia ad Arele, il protagonista, “non rimarrei qui un giorno di più. Vado avanti solo per forza d’inerzia, o chiamatela come volete. Sono malata.
Non voglio andare in terra straniera. Voglio morire a casa mia. Cosa può farmi ancora Hitler? Non ricordo chi abbia detto che un cadavere è onnipotente, non ha paura di nessuno.
Non mi suicido perché la morte è troppo importante per assumersela tutta d’un colpo. Coloro che si suicidano vogliono sfuggire alla morte una volta per tutte. Ma coloro che non sono tanto codardi imparano a goderne il gusto.”
L’attesa, quindi. L’attesa di un destino ineluttabile al quale non si può né si vuole sottrarsi.
Anche Haiml, il compagno di Celia, teme di più “la seccatura del viaggio che non la persecuzione dei nazisti.
”Persino i gentili (i non ebrei) non sfuggono a questa fascinazione. L’americana Betty, attrice insoddisfatta, non desidera altro che incontrare la Morte. “Sam è morto improvvisamente, di schianto” dice ad Arele. “Ho sofferto molto, ma l’ho invidiato. Per la gente come me la morte è un processo lungo. Cominciamo a morire esattamente quando iniziamo a maturare.”
E così via, tutti gli altri personaggi, anche la piccola, infantile, dolcissima Shosha, sembrano non anelare ad altro che a varcare l’Ultima Soglia, come se solo la Morte possa dare un senso di compiutezza alla vita.
Personaggi, gli ebrei di Singer, che paiono rassegnati da sempre a essere considerati carne da macello.
Eppure non risultano perdenti, hanno piuttosto una loro dignità che li rende tragici, simili a quelli delle tragedie greche, dove è inutile opporsi al volere degli dei. In questo secondo me sta la loro grandezza e la loro dignitosa malinconia. qui il finale di un film dove ritrovo la stessa atmosfera del libro.
Le ultime domande che si pongono i sopravvissuti tredici anni dopo:
“Cosa ne pensi, Tsutsik, esiste da qualche parte una risposta o no?” “No, nessuna risposta”
E allora, che cosa sto aspettando?” mi fanno venire in mente una delle canzoni più belle di tutti i tempi, una canzone che pone domande ma che non trova, non troverà mai risposte.

 

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Sinossi

Shosha è la compagna di giochi del piccolo Aaron Greidinger, figlio del rabbino della via Krochmalna, a Varsavia.
A Shosha, che lo ascolta con la meravigliosa stupefazione dei semplici, Aaron racconta storie fantastiche, fiabe, storie d’amore che non oserebbe raccontare a nessun altro.
Ma l’incanto si spezza. La prima guerra mondiale è alle porte, il padre di Aaron è costretto a lasciare la città.
Tornato a Varsavia ormai adulto e deciso a diventare scrittore, Aaron si getta nella vita febbrile della capitale, frequentando i circoli artistici, partecipando ai fermenti politici e inseguendo le promesse d’amore di molte donne.
E sarà proprio una di queste, per capriccio, a trascinare Aaron nei luoghi della sua infanzia, in via Krochmalna, nel ghetto.
Shosha può essere letto in molti modi: come la parabola dell’ebreo sradicato, come la storia di un’educazione sentimentale, come il viaggio iniziatico di un artista, ma forse il modo più giusto è proposto dallo stesso autore. Alla domanda “Che storia è quella narrata in Shosha?” Singer rispose: “Una storia d’amore”.

 

 

Titolo: Shosha
Autore: Isaac Bashevis Singer
Edizione: TEA, 2014