Palestina al habiba! di Beatrice Tauro
Voce al mare
Recensione di Elvira Rossi
Palestina al habiba!-storia di una cooperante in Terra Santa è un libro di Beatrice Tauro -prefazione di Eliana Iorfida- edito da Masciulli nel 2021.
Di cosa tratta Palestina al habiba! ?
Palestina al habiba! di Beatrice Tauro nasce dall’incontro, prima virtuale e poi reale, dell’autrice con una giovane donna, Pina Belmonte, che ha vissuto una straordinaria esperienza come cooperante in Medio Oriente. A suscitare un forte legame tra le due donne è l’amore per la Palestina.
Palestina al habiba, Palestina amata.
Si può amare in maniera intensa una Terra lontana?
Assolutamente sì!
Se si conosce la sua storia, non si può non amare la Palestina, non ci si può non sentire palestinese, come dichiara Pina Belmonte di origine calabrese, che non ha mai smesso di interessarsi della Terra Santa da quando, alla maturità, presentò una tesina sulla guerra arabo-israeliana del 1948.
E dall’attrazione per un’area geografica, tanto suggestiva quanto martoriata, deriva il desiderio di partire, non già come turista, ma come cooperante, per portare un aiuto concreto a una popolazione sottoposta a infinite tribolazioni.
Beatrice Tauro raccoglie i ricordi e le emozioni di Pina Belmonte e li trasferisce in una narrazione in prima persona e in virtù della potenza dell’immedesimazione la scrittrice diventa, lei stessa, la protagonista di un viaggio che esprime voglia di conoscere e donarsi con generosità all’altro.
L’attività assistenziale iniziata in un centro per anziani, a Taybeh, un villaggio palestinese della Cisgiordania, in seguito si svolgerà a Gerusalemme in una struttura di sostegno per disabili.
La donna, non nuova alle esperienze di volontariato, si scontra con la contraddizione di una città sacra che, mentre accoglie i pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo, mette in atto ogni strategia di persecuzione, per allontanare i palestinesi dalla Terra dove sono nati.
Leggendo Palestina al habiba! si percorrono i selciati millenari di una Terra ricca di storia e spiritualità, e se il suono delle campane e la voce del muezzin invitano alla preghiera e alla pacifica convivenza dei popoli, la presenza assidua dei soldati israeliani, a presidio dei territori occupati, ricorda che la pace è ancora lontana.
“I luoghi sacri sono tanti, ma Dio non c’è.
Dio non è più a Gerusalemme. Se n’è andato.
Così come l’essere umano.
Uomini di guerra hanno preso il sopravvento facendo guerre e opprimendo gli altri.”
(Michel Sabbah, Patriarca emerito di Gerusalemme)
La protagonista, superata l’ansia della fase iniziale, con determinazione affronta fatica e rinunce e si addentra in una umanità sofferente, che la ripaga con manifestazioni di affetto e riconoscenza.
Nelle strutture dove opera, la possibilità di incontro è ampia.
Rapporti di stima e solidarietà la rassicurano, alleviano il peso della lontananza e non di rado incontri occasionali si trasformano in amicizie, che le consentono di entrare nelle case dei Palestinesi, conoscerne la cultura e apprezzarne la disposizione all’accoglienza.
Numerosi episodi, che ingentiliscono e rendono attraente la narrazione, attestano la profonda gratitudine dei palestinesi nei confronti di chi dimostra di essere dalla loro parte.
Lo sguardo della narratrice nel mettere a fuoco le vicende personali incontra il territorio, la gente, la storia della Palestina, tanto da tratteggiare un itinerario di viaggio nel tempo e nello spazio.
Palestina al habiba! ci introduce nei quartieri di Gerusalemme con il pulsare delle diverse anime di una storia antica e quando si attraversa la Porta di Damasco, a Gerusalemme Est, si entra nella città vecchia, con i siti storici di maggior rilievo per le tre religioni monoteiste. Il quartiere arabo, il più controllato dalle forze militari, per la frequenza degli scontri è il simbolo di una occupazione senza fine da parte dello Stato d’Israele e di una tenace resistenza da parte palestinese.
La narratrice, negli spostamenti da Gerusalemme verso città della Cisgiordania, verifica l’umiliazione e le difficoltà dei palestinesi, che pur vivendo nella propria Terra devono sottostare a continui controlli.
Ai check-point dipendono dall’umore dei soldati israeliani e un dettaglio che susciti un sospetto può diventare una ragione seria per essere fermati, maltrattati e magari arrestati. I palestinesi vivono in una perenne incertezza e qualunque progetto può essere scomposto, in maniera inattesa, da chi possiede il controllo della loro esistenza.
Una intera generazione di palestinesi può solo immaginare la libertà, senza averla mai conosciuta.
Notevole è la diseguaglianza tra israeliani e palestinesi, che nei territori occupati stentano persino ad accedere ai servizi sanitari, in quanto non sempre riescono a ottenere il permesso per raggiungere i luoghi di cura.
La cooperante non possiede una verità da dimostrare se non quella esibita dalle vicende reali e in lei, spettatrice attenta, sentiamo sofferenza e rabbia per la costante profanazione dei diritti umani.
“Allora, continuo a chiedermi, perché l’ostinazione della potenza occupante a mettere all’angolo questo popolo, perché la politica della segregazione, della distruzione continua nei confronti di una popolazione inerme, e perché non provare invece a costruire quella pace di cui proprio questa terra si è fatta portavoce per secoli nei secoli?”
Sebbene sappia quanto sia difficile arrivare a un accordo tra lo Stato d’Israele e i palestinesi, intravede segni di speranza nella gente comune, ebrei, cristiani, musulmani, che negli ospedali e altri luoghi di lavoro, uno accanto all’altro, collaborano per il bene comune.
La speranza viene da giovani israeliani, maschi e femmine, che chiamati a prestare servizio di leva obbligatorio, in dissenso con la politica di aggressione dello Stato, oppongono un netto rifiuto.
La speranza si coglie nelle donne cristiane, ebree, musulmane, che hanno dato vita al movimento: Women Wage Peace, lo stesso che nel 2016 organizzò la Marcia della Speranza, portando la protesta dinanzi alle sedi istituzionali di Gerusalemme.
“La luce sta sorgendo dall’oriente
Fino alla preghiera delle madri per la pace.”
(dalla Preghiera delle madri di Yael Deckelbaum )
Perché leggere Palestina al habiba! ?
Palestina al habiba! è un libro per tutte le stagioni, lo si può leggere sotto l’ombrellone o in piena solitudine, perché in poco più di cento pagine ha il potere di trattare una pluralità di temi seri in uno stile di scrittura, gradevole e impeccabile, che per la chiarezza espressiva riesce a comunicare con immediatezza fatti ed emozioni.
Chi conosce la questione palestinese ritrova molti caratteri già noti, considerati, però, da una prospettiva di una giovane donna, che mettendo da parte le dispute politiche si lascia guidare dai sentimenti di umanità e giustizia, valori universali che non possono ammettere la negazione della libertà, individuale e collettiva, di un Popolo.
Chi si aspettasse una querelle di carattere politico resterebbe deluso, ma la moderazione dei giudizi e l’assenza di polemica mettono ancora più in risalto il dramma, che ha alterato la normale quotidianità dei palestinesi.
A imporsi è l’evidenza dei fatti e la cooperante, priva di posizioni preconcette e aperta al dialogo interreligioso offre la propria testimonianza, affinché la Palestina non sia dimenticata.
Chi finora si fosse interessato poco alla questione palestinese, avrà modo di conoscerla meglio e di certo sarà affascinato dalle descrizioni che rimandano a atmosfere coinvolgenti, piene di silenzi, suoni sacri, voci profane. Accostamenti, che senza confondersi, rivendicano di conservare ciascuna la propria unicità, in una realtà complessa dalle comuni radici.
In Palestina al habiba! di Beatrice Tauro, la parola letteraria svolge una funzione ad ampio raggio, diventa specchio di un’epoca, racconta l’anima della gente comune che subisce gli effetti devastanti del dominio delle grandi potenze, che decidono il destino dei popoli. È la storia vista dal basso, la storia della gente comune che non possiede armi, se non quella del coraggio per resistere sognando la libertà.
La giovane conosce la strada che porta alla pace. La pace è nel dialogo e non è un caso che i proventi che derivano dalla vendita del libro siano stati destinati alla Associazione Aiuto Bambini Betlemme che sostiene il “Caritas Baby Hospital” di Betlemme, che rappresenta un esempio concreto di superamento delle barriere, giacché vi lavorano operatori di religione diversa, è aperto a tutti ed è un punto di riferimento importante per i palestinesi.
A impreziosire il libro è la prefazione della scrittrice Eliana Iorfida, che con la sua raffinata e acuta scrittura, rafforza l’idea che di Palestina si debba parlare, per mettere a nudo un progetto di colonizzazione sostenuto con arroganza da Israele, che ignorando le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non ha posto mai termine alla sua politica d’insediamento nei territori palestinesi.
Ogni capitolo, in esergo, ci regala momenti di intensa poesia nel riportare versi o micro sequenze di scrittori illustri, che hanno lasciato tracce importanti nella memoria storica della cultura palestinese.
Una forza militare può spianare villaggi, abbattere oliveti, innalzare muri, calpestare diritti, è però impossibile sradicare dalla coscienza la memoria storica e il senso di appartenenza, che rendono risoluta la resistenza di un Popolo offeso.
“Noi non siamo un ramo tagliato via dall’albero della nostra nazione.
Siamo i guardiani dei suoi sogni e i portatori del suo puro fuoco.”
Samīh al Qāsim
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Sinossi
Un viaggio indimenticabile, fra i vicoli della città vecchia di Gerusalemme, i suoi tetti, la Damascus Gate, oppure nei musei che omaggiano la storia e la cultura del popolo palestinese.
Un viaggio nella consapevolezza delle profonde ingiustizie che questa popolazione si trova a vivere in regime di occupazione. Ma soprattutto un viaggio nella consapevolezza che solo il dialogo potrà permettere di superare le distanze e avvicinare i due popoli, portandoli alfine a vivere in pace.
Titolo: Palestina al habiba!
Autore: Beatrice Tauro
Edizione: Masciulli Edizioni, 2021