Jhumpa Lahiri e i labirinti

della scrittura e della femminilità

A cura di Emma Fenu

 

Sul palco del teatro Odeon, nel cuore di Firenze, mi sono recata, il 23 settembre, per ascoltare le parole di Jhumpa Lahiri, scrittrice statunitense nata a Londra e di origini indiane, che molto stimo, in accordo con la critica.

Cito, in questa sede, alcune sue opere: La moglie, In altre parole, Il vestito dei libri e Dove mi trovo, quest’ultimo edito da Guanda nel 2018 e scritto in italiano.

Alla sua sinistra Pierluigi Battista, giornalista, conduttore televisivo e scrittore; alla sua destra Lunetta Savino, attrice attiva per i diritti delle donne in Se non ora quando?.

Al centro Lei.
Si muove con eleganza, parla con flemma, misura le sillabe in carati, raramente abbassa le palpebre sulle iridi di pietra d’oriente, sorride ironica e ribatte con disarmante pessimismo.

Ma è la musica che si sprigiona fra il detto e il non detto a mantenere viva l’attenzione in platea.

Ci si confronta e si parla, non fossilizzandosi su una pubblicazione, ma esprimendosi con sincerità sull’atto dello scrivere.

Per Jhumpa Lahiri scrivere è soffrire, è partecipare senza partecipare, accettando l’isolamento.

Nel suo caso, la scelta dell’italiano, ossia di un idioma appreso, è una ulteriore forma per scomparire e negarsi, difendendosi dall’arma stessa che si impugna.

Come il passero solitario, lo scrittore deve mettere in conto una vita di rinuncia, alla ricerca spasmodica di ombre che lo proteggano da ciò che alla moltitudine dà la vita, ossia il sole.

Dissertare sull’ultimo libro, dopo le letture (e gli interessanti interventi) di Lunetta Savino è naturale, fluido, necessario, oserei dire.

Lahiri

Dove mi trovo è una storia complessa, che immette con garbo in un vortice di tematiche, riflessioni e contraddizioni; dall’invito iniziale passa allo schiaffo per poi consolare in una carezza.

Qui mi concentrerò sul tema del rapporto fra una donna, nella condizione di figlia adulta, e la propria madre.

La dicotomia di tale relazione viscerale si manifesta anche nel registro linguistico adottato da Jhumpa Lahiri: una presenza troppo invadente crea insofferenza, mentre un atteggiamento distaccato scava vuoti.

Tale altalena di emozioni è il preludio all’iter iniziatico che porta all’età adulta, quando l’equilibrio sancito con la madre si inverte e rovescia rispetto all’infanzia.

Liberatasi dalle aspettative che la genitrice ha su di lei, che generano delusione nella prima e frustrazione nella seconda, la figlia scoprirà la propria essenza femminile osservando, con dolore e stupore, la madre rimpicciolirsi, fisicamente e metaforicamente,  per permetterle di crescere e nuotare nel mare della vita.

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Sinossi

Sgomento ed esuberanza, radicamento ed estraneità: i temi di Jhumpa Lahiri in questo libro raggiungono un vertice.

La donna al centro della storia oscilla tra immobilità e movimento, tra la ricerca di identificazione con un luogo e il rifiuto, allo stesso tempo, di creare legami permanenti.

La città in cui abita, e che la incanta, è lo sfondo vivo delle sue giornate, quasi un interlocutore privilegiato: i marciapiedi intorno a casa, i giardini, i ponti, le piazze, le strade, i negozi, i bar, la piscina che la accoglie e le stazioni che ogni tanto la portano più lontano, a trovare la madre, immersa in una solitudine senza rimedio dopo la morte precoce del padre.

E poi ci sono i colleghi di lavoro in mezzo ai quali non riesce ad ambientarsi, le amiche, gli amici, e «lui», un’ombra che la conforta e la turba.

Fino al momento del passaggio.

Nell’arco di un anno e nel susseguirsi delle stagioni, la donna arriverà a un «risveglio», in un giorno di mare e di sole pieno che le farà sentire con forza il calore della vita, del sangue.

Questo è il primo romanzo di Jhumpa Lahiri scritto in italiano, con il desiderio di oltrepassare un confine e di innestarsi in una nuova lingua letteraria, andando sempre più al largo.

Titolo: Dove mi trovo
Autore: Jhumpa Lahiri
Edizione: Guanda, 2018

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