Gaza Writes Back-
Racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina
a cura di Refaat Alareer
Recensione di Elvira Rossi
Gaza Writes Back- Racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina è un libro a cura di Refaat Alareer edito da Lorusso nel 2015.
Di cosa tratta GAZA WRITES BACK?
Un piccolo libro.
Una copertina grigia interrotta dal rosso del rettangolo che racchiude il titolo.
Gaza scrive per non dimenticare:
“Gaza writes back perché scrivere è un obbligo nazionale, un dovere verso l’umanità, e una responsabilità morale” (Refaat Alareer)
A scrivere sono ragazze e ragazzi palestinesi che hanno tra i venti e i trent’anni e frequentano un corso di scrittura creativa tenuto da Refaat Alareer, che ha curato il libro.
Ad accomunare i giovani intellettuali è la determinazione a lottare per la propria Terra attraverso la scrittura.
Nella prefazione lo stesso Refaat Alareer parla di narrativa di contrattacco finalizzata a spezzare l’isolamento culturale, nel quale lo Stato di Israele cerca di trattenerli.
Il libro è stato scritto in inglese per raggiungere un gran numero di lettori e successivamente tradotto in italiano.
Molti di questi scrittori esordienti sono anche blogger e attraverso i social sono impegnati a diffondere la conoscenza del proprio Paese.
Il racconto interpreta l’esigenza vitale di non abbandonare il passato alla mercé di chi vorrebbe cancellarlo.
La scrittura coincide con un atto di libertà.
La scrittura pronuncia una rivolta senza sangue.
La scrittura affida alla eternità la propria storia.
La scrittura assume l’efficacia di un’arma.
Li si vorrebbe ridurre al silenzio e invece loro parlano.
Li si vorrebbe ridurre all’isolamento e invece loro lo abbattono.
Li si vorrebbe dispersi per fiaccare la loro resistenza e spegnere la loro identità e invece in qualunque parte del mondo si trovino, si raccolgono in uno spazio virtuale di reale aggregazione per sentirsi parte della stessa comunità.
I giovani di Gaza desiderano che il mondo li ascolti e si interroghi sulla sorte del popolo palestinese.
Non idealizzano se stessi, sanno che possono anche uccidere, vendicarsi, odiare.
“L’occupazione è il male. Certo, ruba e danneggia, ma insegna anche alla gente l’odio e, peggio, la sfiducia.”(Refaat Alareer)
Tuttavia non si riconoscono come terroristi, non si rifugiano nel ruolo di vittime e non invocano la pietà.
Convinti di subire una ingiustizia vogliono essere proprio loro, con la loro voce e la loro penna, a rappresentare aspetti taciuti di una realtà complessa di cui sono i protagonisti principali e che spesso viene travisata dalle fonti ufficiali di informazione.
I giovani autori confidano nel valore dirompente della parola che al pari di un esplosivo interrompe il silenzio:
“I narratori sono una minaccia.
Essi minacciano i campioni del controllo,
spaventano gli usurpatori del diritto alla libertà dell’animo umano.”
(Chinua Achebe)
Non si limitano a confermare una tendenza comune a tutti gli scrittoti palestinesi, che attraverso la letteratura mirano a rafforzare la memoria collettiva.
Essi operano scelte tematiche e stilistiche decisamente più radicali e abbattono ogni cortina atta a mimetizzare il desiderio di usare il racconto come una forma di resistenza politica.
La singolarità del libro è proprio nella omissione di schermi, artifici retorici, reticenze che potrebbero appannare la durezza di una esistenza che si vuole rappresentare senza veli.
Tale premessa non deve ingannare.
Perché leggere GAZA WRITES BACK?
Il libro, pur ispirandosi agli avvenimenti accaduti tra dicembre 2008 e gennaio 2009 quando una offensiva militare definita “Operazione piombo fuso” fu suscitata dagli Israeliani contro Gaza, non assume il carattere di semplice testimonianza, infatti presenta tutte le caratteristiche di un’opera narrativa.
I racconti non restano imprigionati in uno spazio circoscritto, ritraggono l’irrazionalità del potere umano che non vuole cedere il passo ai diritti e alla giustizia.
Perdendo i caratteri della pura autobiografia si elevano a momenti esemplari di vita dove il dolore e la violenza dominanti risuonano come un monito, un avvertimento per la deriva di un mondo moderno che perde la memoria del passato e ne ripete le pagine peggiori.
Le narrazioni si tingono di grigio e di rosso.
Il grigio è il colore desolante della polvere e delle macerie che hanno coperto i villaggi distrutti.
Il rosso è il colore del sangue versato dai morti.
A tratti spunta il verde degli olivi secolari di cui i Palestinesi sono andati e vanno fieri.
Olivi abbattuti dai bulldozer degli Israeliani.
Olivi sopravvissuti in piccoli appezzamenti di terreno.
Olivi trapiantati che vanno a sostituire le piante sradicate.
Sembrerebbe che gli olivi, sia da parte israeliana che palestinese, siano stati assunti a simbolo di una Terra:
“Tra i Palestinesi e la loro Terra c’è un legame indistruttibile. Sradicando le piante e tagliando le piante in continuazione, Israele prova a spezzare quel legame e a imporre le sue regole di disperazione sui Palestinesi. Ripiantando i loro alberi ancora e ancora, i Palestinesi rifiutano le regole d’Israele.” (Sarah Alì)
Morte e devastazione sono i temi principali dei racconti.
“La morte era diventata una cosa normale, una esperienza quotidiana” (Tasmin Hamouda)
In un momento qualsiasi di una qualunque giornata la morte arriva inattesa, feroce, rapida, colpisce a caso.
Nelle case di Gaza nessuno può sentirsi al riparo.
I bambini, tanti bambini, inermi, innocenti compaiono tra le righe e poi scompaiono in maniera fulminea.
E se la sorte decide di risparmiarli, ritornano sulla scena mutilati nel corpo e devastati nell’animo.
Bambini che giocano a pallone nel cortile sono dilaniati dallo scoppio di un ordigno:
“ Arti amputati. Cicatrici in volto. Andature zoppicanti. Il nostro quartiere era stato fatto a pezzi in una frazione di secondo. Non ci sarebbero più state partite: mai più gol. Niente sorrisi.”(Rawan Yaghi)
Un bambino attratto da un canarino lo insegue:
“ È un canarino!” gridò Ghassan. “ L’ho visto prima io” disse. “ Te lo prendo se aspetti qui” aggiunse. Il canarino volò nei cespugli sul margine del vicino insediamento ebraico. Ci fu solo uno sparo. Suo fratello e il canarino furono messi a tacere per sempre, davanti ai suoi occhi.” (Nour Al-Sousi)
Tra le macerie appare un libro a brandelli come il bimbo che lo stava leggendo:
“Intanto attraverso un buco tra le rovine vedeva il piccolo corpo di Jihad che giaceva serenamente, con la mano bruciata che si estendeva immobile sul suo libro a brandelli.” (Mohammed Suliman)
Accanto ai bambini spuntano madri straziate dal dolore:
“Diventava sempre più pallida man mano che soffriva per quel figlio perduto.”
Le armi falciano il cordone ombelicale che unisce i figli alle madri.
Di fronte alle scene efferate di incomprensibile brutalità è inevitabile chiedersi come il mondo possa restare a guardare senza reagire.
E come sia possibile che non si riesca a porre fine a un’azione che presenta tutti i caratteri del genocidio.
Chi e che cosa impedisce a questa Terra di trovare la propria pace?
Si fa memoria di antichi genocidi e non ci si avvede di quelli che si stanno consumando nella contemporaneità.
Da questo libro proviene un grido di allarme contro la barbarie umana.
L’imbarbarimento si esprime nell’esercizio quotidiano di una violenza che rischia di generare altra violenza.
L’imbarbarimento vive anche nell’indifferenza delle nazioni e delle grandi potenze.
Nel silenzio dell’indifferenza si spande la voce di Refaat Alareer, Hanan Habashi, Mohammed Suliman, Rawan Yaghi, Nour Al Sousi, Sarah Alì, Sameeha Elwan, Nour El-Borno, Jehan Alfarra, Yousef Aljamal, Wafaa Abu Al-Qomboz, Tasnim Hamouda, Elham Hilles, Shahd Awadallah, Aya Rabah.
Gli autori di “Gaza writes back” meritano di essere citati singolarmente.
Il libro suggerisce una sensazione di forte continuità, tanto che si prova la sensazione di leggere i capitoli di un romanzo.
La volontà di rivolta convive con la perizia letteraria.
Una struttura narrativa impeccabile associata a un linguaggio fluido e incisivo coinvolge il lettore emotivamente e lo introduce in uno spazio esistenziale dove la morte si intreccia con la vita.
La conclusione di ogni singola storia è abilmente preparata, mai anticipata e mai scontata.
Una scelta stilistica condivisa da tutti gli autori è nella presenza di parti dialogate, che intervenendo nei momenti di massima tensione riproducono fedelmente la drammaticità delle azioni.
I paesaggi reali e immaginari, le atmosfere turbate, l’ansia dei personaggi portano le tracce di uno stato di perenne inquietudine, che è il riflesso di una occupazione senza fine.
Una tragedia dall’epilogo non ancora scritto.
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Sinossi
Gaza Writes Back” è una raccolta di ventitré racconti, tanti quanti i giorni dell’operazione Piombo Fuso dell’occupazione israeliana a Gaza, di quindici giovani palestinesi della striscia di Gaza..Una generazione tra i venti e i trent’anni che ha scoperto la scrittura e i social media, in particolare attraverso la lingua inglese, come strumento di resistenza per far arrivare la propria voce senza filtri né censure.
Titolo: Gaza Writes Back – Racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina
Autore:; cura di Refaat Alareer
Edizione: Lorusso Editore, 2015