Vita e pensiero di Grazia Deledda
a cura di
Carolina Colombi– Valentina Dragoni – Maria Lucia Ferlisi e Giulia La Face
Eccoci arrivate al consueto appuntamento del lunedì con I classici dellaLetteratura.
Oggi vi parleremo di GRAZIA COSIMA DELEDDA una piccola letterata sarda, caparbia, testarda tanto da arrivare al Nobel sfidando tutte le critiche ed i pregiudizi nei suoi confronti.
Deledda amava la cultura, voleva emergere, voleva guadagnarsi da vivere con i suoi scritti, ma su di lei incombeva pesante come un macigno il giudizio sempre negativo che era una “illetterata”, in quanto aveva frequentato la scuola soltanto fino alla quarta, per proseguire da autodidatta, in quanto le donne erano escluse dal proseguimento dello studio, non solo nella società sarda.
Deledda
Deledda sfidò la società sarda ed anche quella romana ed arrivò al Nobel; ma anche a Stoccolma dovette subire l’umiliazione di non essere stata elogiata, come meritava, al ritiro del premio, fu invitata sul palco con un semplice “bella signora”.
Anche la nostra letteratura non è mai stata benevola nei suoi confronti ed è sempre apparsa in secondo piano nelle antologie degli studenti italiani.
Per questo abbiamo deciso di approfondire lo studio della Deledda in questa rubrica, una donna che ha saputo parlare degli oppressi e del mondo arcaico e mitico della Sardegna con parole vere, riuscendo a coniugare la lingua italiana con quella sarda.
Il nostro auspicio è di allargare le vostre ed anche le nostre conoscenze di Grazia Cosima Deledda, premio Nobel del 1926.
Ferlisi Maria Lucia
Vita e pensiero
di
Grazia Deledda
La Sardegna, isola aspra e di ancestrale bellezza, archetipo di tutti i luoghi, è una terra senza tempo dove si consumano i drammi raccontati da Grazia Deledda. Ed è in questo contesto geografico che la Sardegna assume il ruolo di protagonista nell’attività letteraria della scrittrice.
Tutte le sue opere, infatti, sono pregne dell’atmosfera magica e sospesa che qui si respira, e dove la Deledda vede la luce nel 1871.
La sua produzione letteraria è ampia, intensa, tale da renderla un’autrice prolifica e completa.
Ha inizio da giovinetta e prosegue per tutta la sua vita, soprattutto da autodidatta: in quanto femmina, le è preclusa un’istruzione superiore.
Sono molteplici le tematiche che ricorrono nelle sue opere: un’etica patriarcale del mondo sardo, la presenza del Fato che governa l’esistenza umana, preda di forze superiori, nelle quali le fragili vite degli uomini sono come “canne al vento”.
A questi temi si intrecciano poi altri argomenti, tutti ugualmente intensi, quale la forza della passione, il senso del peccato e il bisogno dell’espiazione, in una concezione vagamente religiosa della vita. Il tutto permeato da un’atmosfera colma di affetti intensi e selvaggi.
Deledda
Nel particolare, la discussione narrativa cara alla Deledda, e su cui si sofferma in tutta la sua opera è quella della vita vera: forti vicende d’amore, di dolore e di morte, su cui alita la percezione del peccato e della colpa, oltre che la consapevolezza dell’ineluttabilità. Con vigore affiora poi la Pietas, intesa come partecipazione compassionevole verso tutto ciò che è mortale, sentimenti misericordiosi che inducono al perdono e alla riabilitazione: esprimendoli, la Deledda fa di sè anche una grande donna.
E’ con queste premesse, che nella prosa della Deledda affiora la crisi dell’esistenza, nata con la cultura di fine ‘800, la quale riponeva fiducia nel progresso e nella difesa della libertà civili. Aspetto questo che l’autrice prende in considerazione e la avvicina al Decadentismo. Anche se per certi aspetti potrebbe essere inquadrata nel Verismo, in virtù anche dell’apprezzamento di Luigi Capuana che la esorta a proseguire nel cammino intrapreso.
Ma dal verismo la scrittrice si contraddistingue per dei richiami ben precisi: la natura lirica e autobiografica della propria ispirazione, motivo per cui le sue rappresentazioni ambientali diventano trasfigurazioni di memoria. Inoltre, a differenza del Verga e del Capuana, nella Deledda non c’è oggettività, ma insita nella sua letteratura, c’è una rappresentazione soggettiva della realtà.
Quindi, la sua formazione culturale, pur assumendo un carattere assai personale, la si può collocare a cavallo tra Decadentismo e Verismo.
Se un grande come Capuana l’apprezza, i suoi conterranei però non la comprendono; le dimostrano antipatia, convinti, che attraverso le sue descrizioni la Deledda abbia raccontato di una Sardegna arretrata. E come loro, anche alcuni critici avanzano riserve sull’operato narrativo della Deledda.
Ma a contrapporsi ai giudizi negativi, occorre ricordare che la sua è una scrittura già moderna, la quale ben si adatta alla cinematografia. Dai suoi romanzi infatti, viene tratto il film Cenere, con Eleonora Duse, anche se la pellicola non è stata portata a compimento a causa dell’approssimarsi della guerra.
Scrittura cinematografica dunque, quella della Deledda, dalle cui opere verranno tratte altre pellicole, ma sia l’ambiente sia i personaggi di cui si parla non appaiono fittizi, ma autentici, raccontati con penna fluida, tanto che il lettore, attraverso la narrazione, può visualizzare gli eventi.
Deledda
La caratteristica più saliente e comune ai personaggi descritti è soprattutto lo smarrimento delle coscienze, perplesse e ottenebrate, oltre che completamente animate dalla consapevolezza dell’inevitabile fatalità, la quale aleggia sulla natura dell’uomo, lacerata tra bene e male.
Perché la natura umana è luogo di ansie e pulsioni, predestinazione e libero arbitrio, di impulsi proibiti che arrecano angosce. Ed è portando alla luce l’errore e la colpa, che l’uomo prende coscienza del Male.
Negli anni, a cavallo tra ‘800 e ‘900, la scrittrice concentra i suoi studi su Tolstoj, fino a concepire un libro di racconti dedicato all’autore d’oltre cortina. E dal suo interesse per i romanzieri russi, si avverte nella sua prosa, l’influenza di Tolstoj e di Dostoevskij.
Si dedica inoltre alla traduzione di Eugeniè Grandet di Honorè de Balzac, raggiungendo infine, nel 1926, l’importante riconoscimento del Premio Nobel per la Letteratura.
Con Elias Portolu, pubblicato nel 1903, il cui tema dominante è il dramma spirituale, insieme a quello del rimorso e dell’espiazione, la Deledda si avvia a una fortunata serie di romanzi, novelle e opere teatrali.
Anche in Canne al vento, la sua opera più nota, il tema di fondo è l’espiazione di una colpa segreta. Mentre nel romanzo La madre pone l’accento su sentimenti forti, i quali ruotano intorno al tema della corruzione e del pentimento.
Che dire infine delle figure femminili nelle opere di Grazia Deledda? Le donne e la psicologia femminile sono tracciate dall’autrice con mano sapiente e fine abilità; accomunate da elementi che le rendono “personaggi”, superiori alle figure maschili, perché dispensatrici di forza e vigore, oltre che di vita.
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