Goliarda Sapienza e l’Arte della gioia

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a cura di Patrizia Bove

 

GOLIARDA SAPIENZA

 

Goliarda Sapienza, scrittrice praticamente sconosciuta fino alla metà degli anni Novanta, oggi è considerata tra le maggiori autrici letterarie italiane del Novecento.

Nel 1996, anno della sua morte, praticamente non esisteva più neanche una pagina che si potesse leggere di lei. Nessuna delle sue opere- pubblicate senza successo tra il 1967 e il 1987- era reperibile, men che meno “L’Arte della gioia”, il romanzo che ha decretato la sua fama e che è stato un vero e proprio caso editoriale.

Scritto tra il 1967 e il 1976 e rifiutato per anni dalle principali case editrici italiane, “L’Arte della gioia”, nella sua versione completa, viene pubblicato solo nel 1998, dopo che la sua autrice è morta già da due anni.

La pubblicazione, in poche copie stampate da Stampa Alternativa, una piccola casa editrice, è dovuta all’impegno e alla caparbietà di Angelo Pellegrino, l’ultimo compagno di Goliarda, la persona che maggiormente ha creduto in lei e nelle sue capacità di scrittrice.

Ma anche questa pubblicazione non ebbe fortuna e bisogna aspettare soltanto il 2005, quando il romanzo diventa in Francia un vero e proprio caso editoriale, perché esso possa ottenere un significativo
riconoscimento anche in Italia.

Nel 2008 viene pubblicato da Einaudi e, da quell’anno, la fama di questo libro cresce a dismisura, tanto che oggi risultano ben nove traduzioni de L’Arte della gioia e l‘interesse verso Goliarda Sapienza cresce in maniera esponenziale.

Angelo Pellegrino nel suo libro Ritratto di Goliarda Sapienza afferma che

«Goliarda abita tutte le sue opere» nel senso che ella è riuscita a trasferire per intero la sua persona nelle pagine dei suoilibri. Certo, questa condizione è comune a molte scrittrici e scrittori ma, nel caso di Modesta- la protagonista de L’arte della gioia, l’identificazione con la sua creatrice è evidente.

Ma chi era Goliarda Sapienza?

Figlia di Giuseppe Sapienza, avvocato, e di Maria Giudice, sindacalista e prima dirigente donna della Camera del lavoro di Torino, Goliarda nasce a Catania il 10 maggio del 1924.

La sua è un’infanzia fuori dal comune. Ultima di dieci figli, nati da precedenti relazioni dei suoi genitori (tre dell’uno e sette dell’altra), vedovi entrambi e già quarantenni, Goliarda deve il suo nome al fratello Goliardo, affogato in mare tre anni prima della sua nascita, presumibilmente ucciso dalla mafia negli anni Venti quando i genitori, che dirigevano il giornale “Unione” partecipavano attivamente alle lotte per l’espropriazione delle terre in Sicilia contro la mafia, che difendeva gli interessi dei proprietari terrieri.

Fin da bambina emergono in Goliarda doti di ballerina, cantante e affabulatrice, nonostante la sua salute precaria e l’insorgenza della TBC.
Riceve dai genitori un’educazione sui generis nel clima di assoluta promiscuità che vigeva tra i membri della sua famiglia (è noto che il padre ebbe relazioni con più d’una delle figlie della moglie).

Nel 1941 Goliarda si trasferisce con la madre a Roma dove frequenterà l’Accademia d’Arte Drammatica diretta da Silvio D’Amico.

Nel 1943, Giuseppe Sapienza raggiunge moglie e figlia nella Capitale per partecipare alla Resistenza. In questa città, organizzerà la Brigata Vespri, all’interno della quale Goliarda parteciperà attivamente come la partigiana Ester Cageggi.

Tra le varie azioni da combattente, Goliarda parteciperà attivamente alla liberazione di Sandro Pertini e
Giuseppe Saragat dal carcere di Regina Coeli.

La carriera di attrice teatrale di Goliarda non ha vita lunga e, già nel 1947, abbandona questa strada per affrontare quella di attrice cinematografica, grazie anche all’incontro con il regista Citto Maselli, che sarà suo compagno per diciotto anni.

Per tutti gli anni ’50, Goliarda frequenterà i neorealisti, otterrà vari ruoli a Cinecittà (amica di Visconti, reciterà in Senso), collaborerà alla stesura di sceneggiature e alla produzione di documentari e progetti cinematografici firmati dal suo compagno.

Solo alla morte della madre, Maria Giudice, Goliarda Sapienza si avvicinerà alla scrittura. La notte in cui Maria muore, Goliarda comporrà la sua prima poesia, compresa nella raccolta Ancestrale.
É il 1953 e quell’anno segna l’inizio di una grave crisi nella vita di Goliarda, che sfocia in una sindrome depressiva che la porterà, in seguito, a tentare due volte il suicidio.
Nel 1967 sfiora il Premio Strega con Lettera Aperta, il suo primo romanzo, autobiografico.

L’esperienza psicoanalitica, affrontata per superare il lutto della “ingombrante” madre, causa la separazione da Citto Maselli, dopodiché Goliarda, per circa dieci anni, si dedicherà esclusivamente alla stesura del suo romanzo.

Lei, che avrebbe voluto tanti figli ma non ne poté avere neanche uno, a causa di una malformazione congenita, partorisce un personaggio che le assomiglia e che, ironicamente, chiamerà Modesta. Quando- nel 1975- incontra Angelo Pellegrino, l’uomo che le sarà accanto fino alla morte, il suo timore maggiore è di non riuscire a finire il suo romanzo.

Angelo Pellegrino sarà, invece, la persona che curerà, dopo la sua morte, le sue opere e pubblicherà
la prima edizione de L’Arte della gioia.

L’Arte della gioia, romanzo in anticipo sui tempi.

Inclassificabile, per il tipo di scrittura e per il contenuto scandaloso, L’Arte della gioia è certamente un romanzo scritto in anticipo sui tempi e sulla società italiana degli anni Sessanta-Settanta.
Confesso che, nel leggerlo, ho provato più volte repulsione e inquietudine per lo svolgersi della trama e per il modo di scrivere crudo e trasgressivo.

La protagonista viene presentata nei primi capitoli come una ragazza cinica e capace di uccidere due volte per mero denaro. Nel prosieguo del romanzo subisce una trasformazione, certamente voluta dalla scrittrice per raccontare il percorso verso l’emancipazione e l’affermazione di sé della donna.

Oltre che per la trama, L’Arte della gioia è un romanzo particolare anche per la commistione di generi narrativi che lo caratterizza.

Romanzo di formazione (il cd. Bildungsroman), romanzo gotico e sentimentale convivono nella narrazione.

I critici ritengono che l’Autrice abbia voluto utilizzare questi generi letterari per poi sconfessarli e rovesciare i canoni di queste forme narrative che, nella loro formazione originale, hanno in comune la stessa visione della donna: una persona debole, incapace di diventare padrona del proprio destino, bisognosa di porsi sotto la protezione di un’autorità maschile.

La sua Modesta, invece, è una donna che decide in assoluta autonomia e che desidera esercitare il proprio diritto alla libertà. Il leitmotiv dell’opera è, infatti, la ricerca della protagonista di una gioia personale, una felicità individuale che prescinde dalla collettività.

La trama del romanzo di Goliarda Sapienza

Nata nel 1900, durante l’infanzia Modesta viene violata dal padre e scatena un incendio che è letale a madre e sorella; successivamente causa la morte di due sue tutrici e sposa Ippolito, il figlio disabile di una delle due, per ottenere un titolo nobiliare; fuori dal matrimonio, ha un bambino dal fattore Carmine e una relazione con il figlio di quest’ultimo; ama indifferentemente uomini e donne, cresce i figli suoi e quelli altrui, vive un amore “intellettuale” per Carlo , un medico che si innamora di lei ma sposa un’altra, ha una relazione con Joice una donna androgina che le fa conoscere il pensiero di Freud.

Nel romanzo Modesta fa anche l’esperienza del carcere, proprio come Goliarda nella vita.

Goliarda detenuta, scrittrice, alla ricerca della libertà

Per poter lavorare a L’arte della gioia, Goliarda aveva dovuto vendere tutto quanto possedeva, compresi quadri e oggetti d’arte che le venivano regalati dagli amici per aiutarla nei momenti di difficoltà finanziaria. In quel periodo, si era separata da Citto Maselli e si sentiva abbandonata da tutti.
Antonio Pellegrino in Ritratto di Goliarda Sapienza sostiene che

«fu per rompere quella barriera di silenzio e di omertà verso la sua figura che Goliarda commise quel furto simbolico che la portò a Rebibbia e suscitò uno scandalo enorme nel suo ambiente…».

Rubò uno scrigno con i gioielli aduna sua amica di origini aristocratiche per poi venderli a diversi gioiellieri servendosi di un passaporto a sua volta rubato alla sorella di Citto Maselli, pittrice, che le somigliava molto e dalla quale si sentiva abbandonata. La donna si chiamava, non a caso, Modesta.

Risalirono alla sua identità anni dopo e, nonostante la polizia tentasse di aiutarla, lei fece di tutto per essere incarcerata.

Volle raccontare la sua avventura carceraria nel libro L’università di Rebibbia dove presentò il penitenziario come una salvezza rispetto alla società delle persone libere. Aveva 55 anni quando fu portata a Rebibbia e, due anni dopo, nel 1983, il libro ricevette un’autorevole recensione su una pubblicazione scientifica del Ministero della Giustizia.

Il testo fu ritenuto importante per comprendere lo speciale attaccamento al carcere di alcuni detenuti che, una volta fuori, tendono a ritornare “a casa”.

La vita ambigua di Goliarda Sapienza fu un percorso alla ricerca della sua autodeterminazione.

Alcol e fumo furono suoi compagni di vita. Beveva per affrontare lo psicanalista e fumava vari pacchetti di sigarette al giorno mentre scriveva.

Sperava di veder pubblicato L’Arte della gioia, il lavoro a cui teneva di più e allo scopo creò anche un comitato promotore a cui parteciparono molte sue amiche ex detenute. Purtroppo, niente di tutto questo avvenne quando era ancora in vita.

Una mattina di agosto del 1996 Goliarda uscì di casa per recarsi a comprare le sue amate sigarette.
Morì di colpo, mentre camminava.

Sulla sua lapide, nel cimitero di Gaeta, Goliarda accoglie i visitatori con queste parole:

“Non sapevo che il buio non è nero,

che il giorno non è bianco,

che la luce acceca

e che il fermarsi è correre ancora di più”.