Friedl Dicker Brandeis e l’arterapia nel campo di Terezin
Voce all’Arteterapia
a cura di Valentina Usala
Friedl Dicker Brandeis nata a Vienna il 30 luglio del 1898 è stata un’artista e insegnante austriaca di origine ebraica.
Mi trovo a scrivere di lei con somma gratitudine. Sia per lo spazio concesso sia perché ciò che andrò a trattare mi tocca in prima persona: per l’argomento in sé e per la figura di riferimento.
Nello specifico, anelo a una donna, una straordinaria donna. Lei era Friedl Dicker Brandeis.
Chi era Friedl Dicker Brandeis?
Friedl Dicker Brandeis era un’insegnante, un’artista e, se vogliamo, anche un’educatrice e ribadisco se vogliamo, poiché ha deciso di essere un’educatrice: di essere e non fare.
Una connotazione ben diversa, che racchiude una sottile linea distintiva che riguarda tutta quella componente emotiva dell’essere insieme, ben racchiusa nella preposizione del greco antico σύν: insieme con.
A lei va la scoperta di come l’arte possa essere salvifica e racchiuda in sé tanti concetti inerenti al benessere, del sentirsi bene per mezzo della comunicazione non verbale e di riuscire a dire qualcosa, che risiede in quella parte non tangibile e visibile: la mente.
Riassumo queste definizioni grossolanamente, perché ci vorrebbero molte più parole e molti più esempi, con una parola, tanto insolita quanto potente nelle sue sfaccettature: arteterapia.
Torno alla protagonista di questo scritto.
Friedl Dicker Brandeis crebbe con il padre Simon Dicker, poiché rimase orfana alla tenera età di quattro anni, della madre Karolina. Fu un padre amorevole e in qualche modo anche rivoluzionario, nel crescere sua figlia, poichè grazie al suo intervento, Friedl divenne la donna che è stata.
Lui supportò ogni sua predisposizione, malgrado la società del tempo non le condividesse, ahimè tema sempre attuale per certi versi, in quanto donna.
Simon Dicker lavorava come commesso in una cartoleria e fu il primo a credere nel suo talento artistico, spronandola a coltivare e realizzare ciò che sentiva sua: l’arte.
La Vienna di inizi ‘900 era una città pregna di ambienti culturali e artistici, un terreno fertile su cui cimentarsi e quindi mettere in pratica il suo estro artistico, diventando allieva di Franz Cinzek e Johannes Itten, che furono i principali sostenitori dell’approccio pedagogico all’arte.
I suoi studi proseguirono al Bauhaus, dove ebbe la possibilità di formarsi con Paul Klee e Vassily Kandinsky, assimilando e condividendo ben presto l’insegnamento come ragione di vivere dell’artista.
Proprio alla Bauhaus, Friedl ebbe il suo primo approccio all’insegnamento, incaricatole da Itten stesso.
Dopo essersi specializzata nel settore tessile, nel 1923 lavorò come designer, dividendosi tra Vienna e Berlino.
Friedl Dicker Brandeis ebbe una collaborazione con Franz Singer, col quale ebbe una storia d’amore travagliata e intorno al 1926 fondarono l’atelier Singer-Dicker a Vienna, che fu oggetto di numerosi riconoscimenti.
Friedl era inoltre una pittrice. Dall’iniziale stile astratto, che si trasformò a mano a mano in soggetti più figurativi, giunse a creare opere vicine allo stile espressionistico, pregne di un forte impatto e carico emotivo.
Nel 1930 fu impegnata a realizzare l’arredamento interno della scuola montessoriana di Vienna, esperienza se vogliamo a tratti illuminante, poiché l’anno successivo interruppe la collaborazione con Singer, aprì un suo studio a Vienna e da quel momento l’insegnamento divenne la sua attività principale.
Qui conobbe Edith Kramer, viennese di origini ebraiche, fu una delle prime allieve della Brandeis ed entrambe decisero di trasferirsi a Praga, dopo l’arresto dovuto alla militanza nel partito comunista austriaco.
Iniziarono una collaborazione, diventando insegnanti per i figli degli ebrei rifugiatisi a Praga, che vivevano in un marcato disagio emotivo, ponendo così le basi del valore terapeutico dell’arte.
Nel 1938 le loro strade si divisero. La Kramer si trasferì negli Stati Uniti, per fuggire alle persecuzioni naziste e diventerà pioniera dell’arteterapia americana.
Friedl Dicker Brandeis invece si rifiutò di scappare per non separarsi dal marito, Pavel Brandeis, un cugino sposato nel 1936.
L’arteterapia con i bambini del ghetto ebraico di Terezin
L’artista arrivò a Terezin il 17 dicembre 1942 e da quel momento dedicò la maggior parte del suo tempo ai bambini del ghetto, per i quali organizzava laboratori d’arte, promuovendo l’educazione artistica grazie alla sua esperienza nel campo dell’insegnamento e osservazione attenta dei bambini.
A Terezin, Friedl promosse una delle prime esperienze di arteterapia del Novecento.
Morì vittima dell’olocausto ad Aushwitz il 6 ottobre del 1944, in una camera a gas con la maggior parte dei suoi bambini, che non abbandonò mai.
In tutta la bruttezza che era palese davanti ai loro occhi e sulla loro pelle, Friedl ebbe l’intuizione di fare qualcosa di rivoluzionario, sapendo vestire i panni di quei bambini, sapendo bene non tanto quello di cui necessitavano, ma quello di cui mancavano.
La maggior parte di loro erano orfani, così come lo è stata lei e per di più vivevano la condizione di internamento claustrofobico sia del corpo che della loro mente.
Decise così di intraprendere all’interno del ghetto, una serie di attività artistiche improntate sulla modalità di intervento arteterapeutico da lei studiato: attraverso l’arte, i bambini avrebbero avuto modo di esprimersi liberamente, elaborando così il trauma della deportazione, preservandone la salute mentale.
Possiamo quindi sostenere che l’arte li avrebbe educati alla libertà, mettendo da parte gli stereotipi di perfezione, valorizzandone la creatività e la libera espressione interiore, facendo diventare l’arte, una vera e propria forma di pedagogia artistica.
Circa la pedagogia, fu di grande importanza la realizzazione dell’arredamento interno della scuola montessoriana di Vienna nel 1930, poiché inoltre ebbe la possibilità di prendere coscienza della valenza dei fondamenti della pedagogia di Maria Montessori e della sua idea di educazione organizzata.
Il metodo educativo da lei coniato che porta il suo cognome, è oggi adottato da circa 60.000 scuole dall’infanzia alle superiori, a livello internazionale.
Dal metodo Montessori, basato sul rispetto del naturale sviluppo del bambino, inteso come suo e suo nel mondo, la stessa Friedl Dicker Brandeis nel corso della sua carriera, seppur breve, lo ha rivisitato in chiave artistica: di gran lunga ha prediletto la pedagogia e l’importanza della funzione educativa nell’infanzia, ma unendola all’arte e nel caso del ghetto, di come essa sappia prendersi cura della sofferenza.
Ha importato il suo metodo nel campo L410 di Terezin, dove allestì un vero e proprio setting con i mezzi in suo possesso e materiali di riciclo, che ricercava nel ghetto stesso, all’interno del quale si dedicò all’insegnamento e ai laboratori di disegno.
Utilizzava esercizi ritmici appresi al Bauhaus, li invitava a trasformare il suono in immagine al fine di risvegliare le percezioni sensoriali; proponeva di disegnare più e più volte e in modo diverso il loro nome, per riacquisire il senso del sé; faceva riprodurre i dipinti dei grandi artisti per far riflettere circa la possibilità di un’alternativa alla loro prospettiva e come mezzo del lasciare volontariamente una traccia di sé.
Inoltre la Brandeis era solita condurre i laboratori in gruppo affinché si instaurasse un clima di coesione e di non prevaricazione, pur lasciando sempre la possibilità di esprimersi singolarmente.
Dai loro disegni emergeva un carico assai pesante di stress emotivo, un disorientamento spazio-temporale e un forte stato di torpore, che li portava a perdere il senso di realtà.
Al termine di ogni laboratorio, la Brandeis analizzava e interpretava i disegni in collaborazione con la dottoressa Bäumel, medico del campo, poiché oltre all’atto di creare un segno grafico, c’è molto di più ed è inerente a tutta quella sfera medico terapeutica.
Al termine di ogni incontro annotava il nome, cognome e data del laboratorio.
Si calcola che in due anni riuscì a catalogare quasi 4500 disegni, oggi conservati al Museo Ebraico di Praga, grazie al suo astuto ingegno di nasconderli in due valige nel ghetto, prima della deportazione ad Auschwitz.
Friedl aiutò bambine e bambini ad esprimersi ed esprimere il proprio disagio profondo con il disegno.
Friedl così facendo ha mosso qualcosa di ancor più grande: ha educato alla libertà.
Ma com’era possibile, all’interno di un campo e durante la persecuzione ebraica ad opera dei nazisti?
Lasciandoli liberi di imprimere sulla carta le malinconie, paure, angosce e quindi tutta quella serie di sentimenti inespressi, ma anche scene di vita quotidiana del ghetto.
Li ha educati alla libertà anche sollecitando la loro memoria, per riallacciarsi ai ricordi cari di casa.
Friedl aiutava a dare voce alla rassegnazione muta, perché il silenzio non cura la sofferenza. Lei è stata la figura di riferimento che ha smosso qualcosa che col tempo sarebbe diventato qualcosa di grande, ma anche difficile da capirne la valenza e l’importanza.
A questa grande donna il merito di aver usato il cuore, senza chiedere nulla in cambio.
All’arteterapia che ci fa fare cose, che non pensavamo di essere capaci.
Riassumo il finale con le parole di Grazia Deledda:
«Il rimedio è noi» sentenziò la vecchia.
«Cuore, bisogna avere, null’altro…» (Canne al vento)
Il cuore: per parlare di Friedl Dicker Brandeis, per parlare di arteterapia.
Per approfondire
https://www.ibs.it/friedl-bambini-di-terezin-libro-federico-gregotti/e/9788866566861