Le avventure di Pinocchio.

Storia di un burattino –

di Carlo Collodi

rubrica “Favola sarà lei!”

a cura di Mirella Morelli

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Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino viene pubblicato a puntate sul «Giornale per i bambini» a partire dal 1881; la versione intera e definitiva vede la luce solo dodici anni dopo, nel 1893.

Si tratta di un romanzo per ragazzi scritto dal giornalista Carlo Lorenzini con lo pseudonimo di Carlo Collodi.


La storia è arcinota e racconta le avventure ora buffe ora disperate di una marionetta, Pinocchio per l’appunto, che un falegname povero dal nome Mastro Geppetto ha ricavato da un ciocco di legno regalatogli dal compare Mastro Ciliegia, allo scopo di alleviare la sua solitudine.

La marionetta si anima, regalando a Geppetto compagnia nonché il figliolo mai avuto e tanto desiderato.

Questo l‘originale e commovente avvio.

Il realtà il burattino di legno dichiara subito di voler diventare un bambino in carne e ossa, ma questo suo percorso sarà ostacolato da loschi incontri – come il Gatto e la Volpe, o l’amico Lucignolo, o ancora il Terribile Pescecane.

A incoraggiarlo incontrerà solo pochi personaggi – quali la Fata dai Capelli Turchini, per certi versi Mangiafuoco, e il Grillo Parlante.

Tutti gli animali della favola vengono presentati come esempi da imitare: tanto il povero Grillo parlante quanto gli affezionati servitori della Fatina, il Falco e il Can barbone Medoro, e gli stessi medici al capezzale di Pinocchio- il Corvo e la Civetta – o il giudizioso Pappagallo, e il Colombo, fino al Tonno. Unica eccezione il Gatto e la Volpe: lestofanti e finti invalidi.

Un mondo tipico della favola esopiana, in cui si affida ad ogni animale un carattere significativo per vizi o virtù.

Va detto che alla sua uscita il romanzo non ebbe una facile accoglienza da parte della critica letteraria, abituata a romanzi di stampo più tradizionale: nel suo perbenismo giunse fino a sconsigliarne la lettura ai ragazzi di buona famiglia.

Anche nelle istituzioni di potere si ebbe una reazione avversa, perché mal si sopportava l’idea che dei carabinieri fossero stati inseriti in una favola.

Ma nella popolazione accadde esattamente il contrario: il libro ha immediatamente un successo straordinario.

Un successo talmente grande da far sviluppare, negli anni a seguire, una vera e propria letteratura parallela in cui altri scrittori creano nuove avventure del burattino, con un Pinocchio che cresce e ha dei figli, viaggia nei paesi esotici, fa i più disparati mestieri…

Tutto questo fenomeno prenderà il nome di “Pinocchiate”.

Va inoltre citato un fatto molto particolare, che viene definito “il caso Tolstoj”: il famoso scrittore nel 1936, circa quarant’anni dopo la pubblicazione del Pinocchio di Collodi, scrive una propria versione alternativa del romanzo in russo, con il titolo “La piccola chiave d’oro o le avventure di Burattino”.

Nel suo libro Tolstoj parte da una situazione molto simile all’originale, per giungere fino all’incontro con Mangiafuoco; da quel momento in poi la storia si dipanerà in maniera del tutto diversa.

Oggi il romanzo “Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” è un evergreen di fama mondiale, con al suo attivo centinaia di edizioni.

Tradotto in una molteplicità di lingue, dal testo sono stati tratti cartoni animati, film, pièces teatrali.

Ma a cosa è dovuto tanto successo?

E perché Benedetto Croce, primo tra gli intellettuali di levatura, si schierò a favore del romanzo dichiarandolo una delle migliori opere della letteratura italiana?

Benedetto Croce una risposta ce l’aveva: “Il legno in cui è tagliato Pinocchio è l’umanità”.

Siamo nell’Ottocento, e non dobbiamo dimenticare che i romanzi per ragazzi di questo periodo dimostrano una forte propensione per le storie amare e disilluse: come, per esempio, i romanzi sociali di Charles Dickens, in cui il ragazzo che legge “Oliver Twist” si trova di fronte a tristezze e crudeltà vissute da un bambino in balia della rivoluzione industriale, e allo sfruttamento minorile, o ancora alla povertà urbana.

La tendenza pedagogica sembra essere quella di porre il giovane lettore di fronte alla disillusione della vita, in una visuale assai poco romantica.

Ricordiamo inoltre che nell’Ottocento vengono recuperate molte favole e racconti popolari, come quelle dei fratelli Grimm, e che non manca un certo gusto per lo spaventoso, per il tenebroso, diciamo pure il crudele, ereditato dal romanzo gotico.

Considerato tutto questo non è strano trovare cattiveria od elementi cruenti anche nel Pinocchio di Collodi.

D’altronde Collodi – ed è una ferma convinzione da me espressa sin dal primo articolo di questa rubrica sulle favole – non scrive il suo Pinocchio per i bambini e i ragazzi, ma come Andersen sempre ha affermato, e come gli stessi fratelli Grimm dichiarano, scrive le favole principalmente e compiutamente per gli adulti, o meglio ancora per quei ragazzi che un giorno le capiranno da adulti:

Le fiabe per bambini sono mai state concepite e inventate per bambini?

Io non lo credo affatto e non sottoscrivo il principio generale che si debba creare qualcosa di specifico appositamente per loro.

Ciò che fa parte delle cognizioni e dei precetti tradizionali da tutti condivisi viene accettato da grandi e piccoli, e quello che i bambini non afferrano e che scivola via dalla loro mente, lo capiranno in seguito quando saranno pronti ad apprenderlo.

È così che avviene con ogni vero insegnamento…”

(da una lettera di Jacob Grimm).

Così alcuni critici o commentatori si trovano d’accordo nel ritenere che Pinocchio sia un romanzo per adulti messo sotto forma di favola, all’interno del quale rintracciare una vera e propria allegoria della società del tempo, con le sue contraddizioni tra libero istinto e rispettabilità, tra l’ipocritamente consentito e le aspirazioni interiori, tra lo spontaneo e il formale.

Il tutto in una società come quella ottocentesca, di grande attenzione ai formalismi.

La tesi più accreditata sulla lettura del romanzo, in conclusione, risponde alla teoria di una critica della pedagogia formale e, più in generale, delle tante incoerenze e manchevolezze dell’educazione, della prassi e dell’istruzione ottocentesche.

Contemporaneamente a Le avventure di Pinocchio viene pubblicato, nel 1886, un altro libro che invece riscuote nella critica un enorme e immediato successo: Cuore, di Edmondo De Amicis, presentato come “il manuale del perfetto cittadino” per il fanciullo.

Mentre Pinocchio, come già detto precedentemente, veniva additato come lettura sconsigliata, il libricino di De Amicis viene caldeggiato perché pieno di buoni esempi.

Sono, questi, anni fondamentali per l’Italia che ha conquistato di recente la propria indipendenza e sta cercando in ogni modo di ritagliarsi una propria identità nazionale con una comune ideologia.

Oggi il libro di Collodi si fa includere in questo filone “nazional-pedagogico”, ma al suo interno confluiscono umori, tendenze e influenze ben più complesse: dal romanzo picaresco alla fiaba al teatro popolare.

Pinocchio non è un bravo bambino: si lascia insidiare e cade sovente in tentazione, viene messo alla prova continuamente da amici ed eventi e di fronte ad essi cede, trasgredendo facilmente le regole.

Pinocchio vive un’altalena continua tra il desiderio di comportamenti perbene e l’infrazione delle regole.

Tutte le volte che trasgredisce subisce una degradazione ritornando burattino – fino alla abiezione totale con la trasformazione in un somaro. Al pentimento, invece, segue la riabilitazione fisica e morale.

Tutto ciò è una critica alla educazione ottocentesca?

La riabilitazione definitiva, con il burattino di legno che si trasforma infine in un ragazzo in carne e ossa, sembrerebbe propendere per l’accettazione della morale vigente: è un bravo ragazzo colui che studia, che si comporta educatamente, che rispetta il padre e gli obbedisce, che non segue i cattivi consigli e meno che mai i cattivi esempi.

Pinocchio è zeppo di consigli assennati ed educativi:

Non dar retta alle cattive compagnie”

Non ti fidare degli imbroglioni”

I quattrini rubati non fanno mai frutto”

La farina del diavolo va tutta in crusca”

Chi ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza camicia”,

e ancora potremmo continuare.

Allora un finale da libro Cuore, tutto sentimento e buona educazione?

La morale sembra essere questa: per diventare degli adulti perbene è necessario superare molte prove; per uscire dall’età infantile, in cui l’individuo è simile a un burattino alla mercé degli eventi, è necessario comportarsi bene e dunque rispettare le regole.

Una storia il cui finale è conforme all’etica di cui necessita l’Italia post-unitaria, nella quale si cerca disperatamente di costruire una ideologia buona per tutti gli italiani, non ancora avvezzi a un’idea unica di patria.

Pur tuttavia nessuno dimenticherà più le avventure precedenti del burattino, i suoi tentennamenti, le sue battaglie per rimanere nel “così si deve fare” e le sue cadute nel “così non si fa”.

Ciò che nessuno dimenticherà, dopo averle lette, sono le sue debolezze e le sue incoerenze, in cui ciascuno potrà ritrovarsi, e innamorarsene per questo.

Perché al di là della morale ottocentesca di allora ciò che ha reso eterno questo burattino è il suo essere malinconico emblema del passaggio dalla splendente libertà dell’infanzia ai doveri e alle responsabilità della vita di adulti.

Questo è un concetto universale.

Le grandi favole sono tali proprio per questo: perché partono da un desiderio di rottura, talvolta di esaltazione della morale vigente, del “qui” ed “ora” per fare poi uno scarto in avanti.

E in avanti c’è solo l’universalità, che conduce all’immortalità dell’autore insieme alla sua storia.

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Sinossi:

Fine di questa edizione e di questo commento è avvicinare il lettore a un testo affidabile di Pinocchio e insieme favorire la sua libera lettura con l’offrirgli chiarimenti e riferimenti su ogni fatto stilistico, linguistico, oggettuale, storico, strutturale, simbolico e allusivo, ad esclusione di quelli che intende e chiarisce da solo.

Nel corso del commento una novità insistentemente indagata, e che alla fine si delinea come una realtà corposa e unitaria, è quel che abbiamo chiamato la “cultura parlata”, per distinguerla sia dalla cultura ‘regolare’ sia da quella folcloristica; e nella quale consiste il più e il meglio del ‘segreto’ del capolavoro collodiano.

È in forza di un dato come questo, che proposto “di prima mano” si affaccia ora al sapere, che la ‘ragion poetica’ di Pinocchio si illumina di nuova luce, che senza deprimerne il mistero ne aumenta di molto la felicità.”

Introduzione di Fernando Tempesti.

Età di lettura: da 7 anni.

Titolo: Pinocchio
Autore: Carlo Collodi
Editore: BUR Feltrinelli, 2014 (10ma edizione)