“Io e te … infinitamente insieme” di Maria Luisa Malerba
Stanza con vista su una Rambla piena di gente e negozi. Sulla linea dell’orizzonte, il mare. La protagonista siede con il suo computer portatile sulla scrivania di fronte alla finestra. Ha i capelli scompigliati, porta gli occhiali e veste in modo sciatto e trascurato.
Io e te …un grande amore e niente più… (canticchia).
Devo cercare di amarla a più non posso altrimenti non ne esco fuori. Sono anni che riempi le mie giornate, le definisci, le scandisci, le assorbi. Ormai sei parte integrante della mia vita… Ma il mio amore per te si è esaurito! Capito? Ti odio, merda di tesi! In realtà vorrei buttare il computer dalla finestra e andarmene al mare. Mi sembra così lontano…è un miraggio (osserva l’orizzonte).
Dovrei cercare di buttar giù almeno mille parole di questa merda oggi, ma tutto ciò che sono riuscita a scrivere su questo documento di Word è:
Mi piace il figo pazzesco che ho incontrato l’altra sera al chiringuito, spero che mi chieda di uscire.
Ho voglia di un bel gelato al cioccolato.
Che figuraccia che ho fatto davanti al figo quando sono caduta dai pattini!
Non riesco a scrivere! Ho un blocco, non ne ho voglia, la odio tanto! E pensare che questa tesi è il motivo stesso per cui vivo in questa città. Mi ero aggiudicata un dottorato con borsa di studio, dovevo solo scrivere un libro, ho pensato. Che sarà mai? Mi piace scrivere! Si trattava di essere pagati per scrivere qualche cavolata sull’apprendimento delle lingue con la tecnologia. Nel frattempo, ogni mese, per tre anni avrei ricevuto qualche soldino. Non tanti, ma quanto basta per pagare un affitto, nutrirmi e uscire ogni tanto, e soprattutto per vivere a Barcellona, una città con incanto e con tanti spagnoli fighi!
Ma mi sono scontrata con una realtà un po’ diversa: i catalani sono freddi e non così sexy come pensavo; inoltre, la città è piena di fighi gay. Quei pochi che si salvano, come quello pazzesco dell’altra sera, o vanno con le cavallone di due metri o sono stranieri che ripartono il giorno dopo. Quello che ho conosciuto io vive qui ma appartiene alla prima categoria, va con le stangone, ahimè.
Inoltre, il primo anno ne ho prese di fregature:
-Fregatura numero 1. Ho avuto vari casi di convivenza disastrosa: gente che passa direttamente lo spazzolone per lavare i pavimenti senza aver prima tolto la polvere, per esempio.
– Fregatura numero 2. Mi hanno rubato la borsa mentre ero seduta in una caffetteria a parlare con la mia relatrice di tesi. In tutto ciò, mentre io piangevo come una bambina per lo shock e il trauma subito, la mia relatrice di tesi apriva tutti i cassonetti del centro della città per cercare di trovare i miei oggetti. Meno male che ero ben accompagnata da questa donna meravigliosa…
– E qui mi allaccio alla fregatura numero 3. Il problema principale che ho avuto sin dal primo anno di dottorato non è stata tanto l’assenza di un “macho iberico” adeguato alle mie esigenze, quanto la mia relatrice di tesi, sì, proprio lei! Una persona, come avrete potuto arguire, umana sotto ogni punto di vista eccetto uno: quello accademico. Se pensavo di potermela scampare con due cavolate sull’apprendimento delle lingue con la tecnologia mi sbagliavo di grosso. Era la più severa di tutta la scuola di dottorato, era danese e si era formata con un professore di Oxford in Irlanda. Tra tanti professori spagnoli molto diversi da lei, questa aveva uno stile e un approccio alla ricerca nordico: era una vichinga sotto tutti i punti di vista. Probabilmente, prima di conoscermi, si aspettava una secchiona un po’ cessa con un inglese pulito, pronta a gestirsi in modo autonomo e indipendente e a recepire tutti i suoi insegnamenti come oro colato. Invece, si è ritrovata una terrona, con un inglese canterino e leggermente maccheronico, con la collana di Tiffany, i modi da bambina, tanta voglia di godersi Barcellona e abituata ai professori terroni che le mettevano 30 per ogni cavolata che ripeteva grazie ai libri e agli appunti che prendeva.
Io ero la sua prima dottoranda e si sentiva investita dal dovere di trasmettermi tutto lo scibile e tutto il know how che le erano stati inculcati dai suoi predecessori. Dovevo lavorare il triplo rispetto ai miei colleghi che avevano altri direttori e niente di ciò che scrivevo andava bene. Una volta, mi disse: “Quando finirai questa tesi, dovresti scrivere un romanzo con molta suspence e sarà un best seller. Nella tua tesi, lasci sempre il lettore in sospeso, ma in un lavoro scientifico questo non si può fare”. Ricordo che ebbi un sacco di problemi, non riuscivo e non volevo adattarmi a niente. E poi, i seminari della scuola di dottorato erano una palla mortale, era così difficile mantenere gli occhi aperti e cercare di non dormire. C’era una tizia che dormiva in modo sfrontato, con la bocca aperta, quasi russava; io, invece, cercavo di contenermi. Questa stessa persona veniva giornalmente, faceva il part-time, tanto nessuno la controllava, usava il telefono per farsi i cavoli suoi e poi andava via. Non ha mai finito di scrivere la tesi… non so neanche se l’ha iniziata.
Ebbene, dopo anni di “sudate carte”, io sto cercando di terminare la mia amichetta tesi ma, l’altro giorno, la vichinga mi ha detto che devo rivedere le mie “research questions”. Quando il relatore ti dice qualcosa del genere, ti crolla il mondo addosso. Suona come una minaccia, è come se ti volesse dire: “potresti avercela per un altro anno o due”… Ma io voglio vivere! Voglio viaggiare, trovare un bel lavoro, sposarmi, avere figli. Perché c… mi sono messa in questo casino?
E poi, il mondo accademico, diciamolo, è un ambiente di serpi. Nel mio caso, ci sono serpi di tre categorie, tutte con un comune determinatore, ovvero la stessa domanda del cavolo formulata in versioni simili ma in realtà identiche. Ora saprete qual è.
- I veterani. Sono quelli che hanno iniziato prima di te e continuano come post-dottorandi e assistenti di ricerca. Si sentono così “experienced”! Oh my god! Fondamentalmente, a questi non gliene frega niente di te però, di tanto in tanto, se ti incontrano in ascensore, ti chiedono: “Quanto ti manca per finire la tesi?”. Tu farfugli qualcosa e poi loro, dall’alto della loro esperienza, ti rispondono: “Se posso fare qualunque cosa sai dove trovarmi”. Ma tu sai benissimo che è una lotta fra te e la tesi e che non vuoi nessuno in mezzo perché, se no, non la finisci più per davvero! Lo sanno anche loro ma si sentono tanto bravi e generosi se ti offrono il proprio aiuto.
- Quelli che hanno iniziato con te. Non importa se appartengono a discipline diverse e non hanno nessuna idea di cosa siano i temi di cui tratti. Loro vogliono sapere come stanno messi e hanno bisogno di un termine di paragone. Se tu stai più fregata di loro, loro ovviamente si sentono meglio. Quindi, quando meno te l’aspetti, ecco che arriva la domanda: “Come va la tesi?” E tu li prendi per il culo: “Benissimo! Vado avanti. Ho preso il ritmo.” E poi te la dai a gambe.
- Quelli che hanno iniziato dopo di te. Questi, a loro volta, si dividono in due sottocategorie: i fastidiosi e le arpie. I fastidiosi sono quelli che ti considerano una veterana, ti chiedono aiuto e tu vorresti rispondergli: “Figlio io, ma che vuoi da me? Non vedi che sto disperata? Devo aiutare me stessa, sono nella cacca…” Vorresti scacciarli ma devi essere educata e fare la parte della veterana, se no fai figure di merda. Ti ringraziano per i “preziosi” consigli e poi, innocentemente, prima di andarsene ti danno la mazzata finale: “Quando finisci la tua tesi? Sicuro che manca pochissimo”. E tu pensi: “Ma vai a quel paese…”.
Le arpie, invece, sono quelli che si sentono bravi, molto più di te e che finiranno prima di te anche se hanno iniziato dopo. Questi sono quelli che vorresti ammazzare. Loro non vogliono i tuoi consigli, al massimo te li vogliono dare loro. Te li ritrovi nel bagno e, con aria molto seria e voce grave, come se stessi affrontando un dilemma esistenziale e come se tu fossi tenuta a confidarti con loro, ti chiedono: “Ma come va la tua tesi? Continui, vero?”. Vi giuro che hai voglia di prendergli la testa e mettergliela nel cesso come fa il cyborg in Terminator 3.
Poi, torni a casa e la persona che devi intervistare per raccogliere i tuoi dati ti fa il bidone su Skype. Allora tu vai su Facebook per “consolarti” e vedi le tue compagne del liceo che si sposano e fanno marmocchi e ti prende un’ansia! Poi, ti contatta tuo padre e ti dice: “Ho visto il padre della tua amica di scuola, mi ha detto che la figlia è diventata cardiologa e l’anno prossimo si sposa. Poi, il padre mi ha chiesto di te e io gli ho detto che sei a Barcellona e stai finendo la tesi. Ma quand’è che la finisci? Sembri Penelope, non è che la cancelli di notte?”.
Allora, non ce la fai più a stare in casa, esci e vai a comprare del pesce con Omega 3. Fa bene al cervello e pensi che ti aiuterà a scrivere la merda di tesi e a concludere questo capitolo della tua vita. Arrivi dalla pescivendola e lei, che è tanto carina e si ricorda di te, ti chiede: “Ciao bella, che sei stanca? Hai finito la tesi?” Perché parlo così tanto con la gente?
Intanto, ti chiama la tua amica: “Stasera si va a casa di Joan per una festa, dimmi che ci sarai, per favore. Non dirmi che devi fare la tesi”. E tu le rispondi che devi fare la tesi e che, se esci, poi ti senti in colpa. E, ovviamente, anche la domanda della tua amica non si fa attendere: “Ma quando finisci ‘sta tesi?”.
E tu vorresti urlare a tutto il mondo: Non chiedetemelo più!
(Scrive sul suo computer)
Pensiero positivo di oggi. Arriverà il giorno in cui io la concluderò, la difenderò e poi farò una bella danza davanti al suo falò, con quintali e quintali di “sudate carte”. Cara vichinga, quello sarà il momento in cui inizierò a scrivere il romanzo pieno di suspence.