“Giudizi Universali”, canzone-poesia fra lacrime e sorrisi
di Giulia La Face
Oggi vi parlo di una canzone nota. Che amo e che mi accompagna, fedele amica di poesia e di consapevolezza.
Giudizi universali è il secondo singolo estratto da Samuele Bersani, il terzo studio album del cantautore riminese, pubblicato nel 1997. Riconosciuto come “miglior testo letterario” nel 1998, vinse il “Premio Lunezia”, dato da una giuria di critici presieduta dalla scrittrice Fernanda Pivano.
Una canzone straordinaria, forse la più bella che io abbia mai conosciuto. Torno spesso ad ascoltarla, come un mantra.
Mi racconta la vita, mi racconta storie d’amore, di lavoro, di situazioni che si sono perse, mutando e soccombendo al troppo esercizio del controllo, della disattenzione, della verbosità.Talvolta dell’odio più o meno sotterraneo. Che nel tempo hanno perduto la luminosità e spontaneità della fiamma.
Un testo amaro e liberatorio insieme. Quando finisce un amore? E cosa sia, cosa sia stato e cosa non è più.
Un pianoforte gentile, come le carezze di due amanti, accompagnano le parole che d’amore non sono più. Quante volte proviamo questa fine delle cose, delle relazioni, delle unioni, nella nostra vita?
Bersani sottolinea un amore finito, sommerso da parole, da troppa razionalità che ha complicato le cose semplici e spontanee:
“Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane”.
La bellezza della semplicità e l’immediatezza, cui si è sostituito nel tempo l’orgoglio delle troppe parole, delle spiegazioni ai gesti.
Tristezza? Forse. Ma insieme si respira secondo me libertà, nell’immagine bellissima di colui ( o colei, la canzone riguarda chiunque si trovi in una situazione così frequente) che è pronto per andare, con la consapevolezza di riuscire di nuovo a vivere:
“Libero com’ero stato ieri ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi/adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori/come Mastroianni anni fa sono una nuvola fra poco pioverà/e non c’è niente che mi sposta o vento che mi sposterà”.
Un testo che mi colpisce sempre per la sensibilità, nel ricercare la purezza delle emozioni, la semplicità dei gesti, l’importanza di proteggere il cuore, il lato emotivo che è l’impronta di ogni inizio e che spesso, il tempo e la quotidianità, ci fanno dimenticare. Se è troppo tardi per un nuovo inizio
“Potrei, ma non voglio fidarmi di te/io non ti conosco e in fondo non c’è/in quello che dici qualcosa che pensi/sei solo la copia di mille riassunti“
la libertà di sognare, di andare via non è mai una sconfitta, ma un tornare a respirare, consapevoli dell’amore per come lo desideriamo:
” togli la ragione e lasciami sognare/lasciami sognare in pace”.
La suggerisco come una terapia. Lacrime e sorrisi, per ogni fine un nuovo inizio, per ogni lacrima “che bagna la fiamma, rimane la cera, tu non ci sei più. Tu non ci sei più”.