“Tentativi di botanica degli affetti” – di Beatrice Masini
Recensione di Lisa Molaro.
Primo romanzo di Beatrice Masini, autrice per bambini e ragazzi, giornalista, editor e traduttrice, sue, infatti, sono le traduzioni italiane di alcuni romanzi della famosa saga del maghetto Harry Potter.
Una copertina piena di corolle in controluce, fragili filigrane simili ad ali di libellula in balia di brezze primaverili.
Tentativi di botanica degli affetti, che titolo intrigante!
Questo romanzo scorre, sotto gli occhi del lettore, con la maestria narrativa tipica di una scrittrice dalla spiccata sensibilità.
La storia è ambientata in un’Italia ottocentesca, dialetti popolani e lessico forbito si mescolano, nel romanzo, con la stessa facilità in cui ci sediamo su poltrone dai motivi floreali o rubiamo, non viste, pettegolezzi alla servitù.
La protagonista si chiama Bianca.
La protagonista è, davvero, Bianca?
Lascio che siano le chiacchiere, provenienti dalla cucina, a presentarvela:
“L’è bella ma fredda. Ci sta propi bene il nome che ha. Bianco l’è un colore freddo, dico io. Neve e ghiaccio e vento e tempesta. E grandine.” Risatina e replica:
“Non è che si dà delle arie, però sta sulle sue. (…)”
Bianca… Bianca! Donna di spiccata sensibilità artistica, di determinazione e spirito di indipendenza.
Bianca che tra le priorità non ha il matrimonio.
Bianca che nemmeno poi sa cosa sia questo rimato sentimento di cui molti parlano e su cui si scrivono versi.
È giunta nella campagna milanese rispondendo alla chiamata di Don Titta, poeta dai bei sentimenti, sposato con prole, moglie, madre, fratello e amici in Villa. Sposato sopratutto, però, con le sue passioni.
Bianca è un’acquarellista, una botanica che invece di lapis e carta, seziona la natura con acquerelli e carboncini con cui si macchia le mani di nero.
Rimarrà ospite della famiglia con un incarico importante: ritrarre i fiori, creare erbari, ritrarre l’amata natura di Don Titta che questo le ha detto:
“Vorrei consegnare alla fatua immortalità della carta non solo componimenti in versi e prosa, com’è mio mestiere, ma anche i miei fiori e le mie piante, che per me non contano di meno, dal momento che è mia inclinazione trascorrere molto del mio tempo con loro, e mio desiderio cogliere l’attimo della loro compiuta perfezione per averli sempre con me, anche d’inverno, anche se non dovessero mai più fiorire e sbocciare, come può succedere in queste lande, stante il fatto che sono un contadino dilettante, e se il diletto è grande lo è altrettanto il rischio; e dunque molta della mia coltivazione è esperimento, tentativo tentato, azzardo.”
Bianca, accettando, s’immergerà in un contesto fatto di fiori, di terra di siena scarlatta, verde veronese, lapislazzuli, carminio.
È un giardino pieno di contraddizioni, come il suo padrone; alto e basso insieme; popolano e superbo. Imparare i nomi delle cose, come sempre, fa sentire Bianca un po’ onnipotente, tanto più che molti le sono nuovi. Apprendere la storia di un seme, i suoi tempi, i suoi modi le dà uno strano senso di possesso. Ricopiare nel giusto ordine tutte quelle informazioni – aggiungendoci il suo tocco, un minuscolo disegno a inchiostro di foglia, fiore e frutto in una colonna non prevista che ha creato lei sul margine esterno privo di quadrettatura – è un modo di mettere ordine nel mondo, controllandolo fin nel dettaglio.
Villa Brusuglio… a molti dirà qualche cosa!
Ma ogni antica dimora, non ha solamente belle tappezzerie alle pareti e fini porcellane decorate a mano… ha anche il proprio fantasma, che non sempre è impalpabile e sfuggente.
Un fantasma può essere un segreto che cammina indossando abiti neri ed eleganti, lo puoi scorgere fra l’erba alta della dimora di campagna, estiva, o in salotti della Milano bene, in inverno.
E Bianca si ritroverà a lasciarsi prendere dalla curiosità, che non manca alle persone intelligenti, e in segreto studierà, oltre agli organismi vegetali, gli esseri umani che la circondano.
Rosa gialla gelosia, rosa rossa di passion, rosa bianca l’innocenza, rosa lilla l’emozion.
Beatrice Masini, però, non ci narra solo di profumi di rose, di spezie e di decotti bollenti.
Gira la ruota, su cui è posato un neonato avvolto in preziose stoffe di candido lino.
Abbandono? Speranza di vita migliore?
Scendono lacrime calde su gote belle, giovani, tremanti.
“Ma no, signorina, non avete mica capito. Il torno l’è una scatola che gira, gira torno torno, per quello che si chiama così, e ci si metton dentro i bambini. E non è mica che restano lì nella casa del torno, i bambini. Quella l’è per quando son neonati. Quando son di là li tirano fuori, li guardano bene che sono sani, e poi li danno a balia nel contado, chi vuole se li va a prendere e ci danno dietro anche il corredo, i vestiti, la coperta e dei bei soldi, e uno se li tiene come se erano suoi, magari non ce ne avevano o magari gli servivano, così aiutano in casa, fanno i pastori, tengono le oche, lavorano nei campi. Però bisogna tenerli bene, perché ci sono i controlli e se il bambino muore basta soldi, finito, chiuso. E poi le mamme e i padri, quelli veri, se vogliono vanno a riprenderseli. Se vogliono, e se possono. Quando possono. Me, mi hanno ripresa che avevo cinque anni,” ripete, illuminandosi.
Chi ha pronunciato queste parole a Bianca?
Il suono di una voce non più bambina e non ancora adolescente, quella di Pia, la vera protagonista di questo romanzo, a mio parere.
Ma chi è quella donna che appare?
Bianca si ritroverà a parlarle, giudicandola e sputandole addosso una convinzione che si è costruita mentre girava per le viuzze di una città che non conosceva e che le nascondeva molto alla vista.
Dov’è che si deve smettere la sincerità per cedere il passo alla creanza? E fin dove, fin quando tacere e acconsentire è garbata cedevolezza e non bieco opportunismo?
Un romanzo bello, bello perché rotondo!
Sentimenti diversi si accavallano mentre davanti agli occhi scorrono parole piene di vita, di esistenza, di senso.
Magistrali descrizioni di tutto, tutto, tutto… anche il bicchiere in controluce pare una moneta dai colori antichi.
Riflessi, giochi di luce, il bianco si colora di nero.
La notte si lascia illuminare dai raggi di una Luna che inganna o culla.
Mistero. Verità. Chiaroscuro.
I suoi occhi di estranea sono più limpidi, hanno indovinato i legami invisibili tesi tra le persone come bave di ragno.
Hanno indovinato? Davvero?
Bare bianche, risate di fanciulli, intrighi, cospirazioni politiche, donne indipendenti, forti e detentrici di arcaici poteri, al fianco di donne dal viso smunto e dal corpo debole.
Dolore e felicità.
Dita di natura che pettina i capelli liberati dalla cuffietta.
Musica dell’anima e botanica affettiva.
“Uno scrittore, un poeta possiede le parole, e in questo e per questo possiede anche le cose che tali parole designano” aveva detto Tommaso, premendo i polpastrelli delle mani aperte gli uni contro gli altri in un familiare gesto di concentrazione. “Giusto” aveva replicato don Titta. “Se possedere è conoscere, allora noi che lavoriamo di parole conosciamo e possediamo il mondo, o almeno facciamo di questa ambizione il nostro tentativo quotidiano. Ma dare un nome alle cose, amico mio, non ci rende più saggi o più felici. Semmai soltanto più consapevoli.”
Potrei andare avanti ancora per molto, ho sottolineato parecchi passaggi del libro.
Mi fermo dopo aver scritto che i personaggi di questo romanzo sono davvero tanti e pochi sono “d’importanza minore”.
Ne ho scelti tre, perché di qualcuno dovevo pur parlarvi, tra le righe di una recensione.
Una tazza di tè è la cosa più buona del mondo; il sapore del certo contro l’incerto; è tornare a casa, ovunque ci si trovi.
Una curiosità:
II giardino della Villa di Brusuglio fu costruito e voluto da Alessandro Manzoni. Personaggio eclettico, dai numerosi e disparati interessi, si manifestò qui a Brusuglio come scrittore, botanico e “architetto”. All’inizio dell’800 il Manzoni venne ad abitarvi e in quegli anni si dedicò personalmente al restauro e all’ampliamento della Villa e alla creazione del parco, dove si può tuttora ritrovare e quasi respirare la sua grande passione per le piante e per la botanica.
http://www.trafioriepiante.it/infogardening/poltrona/GiardinoVillaManzoni.htm
Sinossi:
Ottocento, primavera. Bianca Pietra, giovane donna di buona educazione e scarsi mezzi, lascia la casa natale sul lago di Garda per approdare nella campagna milanese, ospite di un poeta di chiara fama: don Titta ha l’estro dell’agricoltura sperimentale, che pratica nella sua tenuta, e in più coltiva fiori e piante esotiche nel parco della villa di Brusuglio. E Bianca, abile acquerellista, è chiamata a ritrarre il patrimonio botanico del padrone di casa. Graziosa, ardente, irrequieta, si accinge al compito con slancio, entrando a far parte di una famiglia grande quanto complicata. Disegna, dipinge, esplora i giardini e studia con interesse la miriade di personaggi che popolano la grande dimora: tra di loro c’è Pia, una servetta orfana di acuta intelligenza e garbo innato che gode di singolari privilegi. Curiosa fino all’impudenza, sincera all’eccesso, incline alle fantasticherie, Bianca si convince che le origini di Pia nascondano un segreto e che don Titta con tutta la famiglia si stia dando molta pena perché esso resti tale: quanto basta per darle il desiderio di scoprire la verità avviando un’indagine appassionata. Ciò che Bianca, così acuta nell’osservare e illustrare la natura, si ostina a non comprendere è che questa ricerca del vero vede in gioco i suoi stessi sentimenti: ed è un gioco pericoloso, perché la botanica degli affetti non è una scienza esatta, non conosce regole e può rivelarsi profondamente ingannevole.
Titolo: Tentativi di Botanica degli affetti
Autore: Beatrice Masini
Editore: Bompiani (23 gennaio 2013)
Collana: Narratori italiani
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