“Mi hanno fatto sedere qui” di Francesca Cuzzocrea

Recensione di Ilaria Biondi

Adele

Mi guardo nelle ombre dello specchio e vedo solo un volto di nebbia.

Chi è quell’anziana che mi fissa attraverso il riflesso opaco?

Dov’è la mia mamma?

Dove mi trovo?

Dove sono finiti i miei pensieri?

Sono Adele.

Adele sono io, o ciò che resta di me…

Non conosco più la mia strada.

“Mi presento: sono Adele. O almeno, quello che rimane di lei. Sono un piccolo sussurro della sua coscienza, nascosta in un angolo sempre più buio della sua memoria.”

Cerco il senso azzurro dei miei ricordi, ma i miei passi smarriscono il sentiero.

E smarrisco me stessa.

Il vuoto mi scheggia e mi inghiotte.

Mi dicono che ho due figlie. Confondo la geometria limpida dei loro visi, mi perdo nelle loro parole trafitte di dolore e inquietudine.

Gli spigoli del buio m’appannano il sorriso.

A volte, però, uno scialle di perla m’avvolge nel suo abbraccio.

La pelle ambrata di Antonio che profuma di fieno e di nuvole.

La sua voce chiara m’accarezza fanciulla.

La sua mano vigorosa mi conduce sull’orizzonte antico di un nuovo respiro. Insieme.

Eccole, eccole, le mie bimbe!

Il calore turgido delle vostre gote, a spazzare via un poco di quel gelo. Il gelo di una culla rimasta vuota troppo a lungo.

Le mie bambine. Come si chiamano?

Silenzio lieve di Luna. Pulviscolo gonfio di Sole.

Chiudo nel palmo una fotografia, gracile foglio di carta che esplode di gioia.

“Anche se i miei ricordi vacillano e fanno fatica a essere messi uno dopo l’altro, le mie emozioni sono sempre molto forti e intense.”

È lì, nella geometria perfetta di quell’immagine che raccoglie e accoglie le radici del mio cuore, che mi ritrovo.

È a quei volti, al bocciolo di sorriso delle persone a me più care, che aggrappo i filamenti fragili del mio io, i lacci tenaci del mio amore, per sempre.

Amore che sfida il veleno amaro della malattia divorante.

Amore capace di riempire un corpo che si svuota di vita, di forza, di pensieri.

Amore che spero possa lasciare orma di sé, dopo di me, quando con quieto battito d’ali le mie membra si svestiranno di questa pesante prigionia…

“Ho un po’ paura di addormentarmi, perché domani non so se mi sveglierò ‘piena di me’, se ricorderò qualcosa di queste righe, se troverò il modo di donarvele, o se tutto questo rimarrà un segreto…

Vi amo immensamente,

Mamma.”

Scorgere, con terrore, incrinature incomprensibili nelle pieghe solide della propria madre.

Assistere, con impotenza, al progressivo logorarsi e frantumarsi di una memoria del sé.

Costringersi ad accettare e ad accogliere – ché di alternative non ce ne sono – una diagnosi che fa tremolare le mani, il sangue e le viscere.

Cuore di figlia dice:

“Ho sentito la mia anima scollarsi dal mio corpo.”

Rabbia muta, che soffoca le parole e i pensieri.

Paura che gratta le ossa e consuma ogni briciola di luce.

Dolore sordo nel vedere, ad ogni istante che passa, un po’ di lei scivolare via, in una lontananza sbilenca e solitaria che piano piano esclude tutto e tutti.

Incapacità di riparare, di ricomporre i pezzi di un puzzle che si è schiantato.

Necessità di preservare la sua dignità di persona e di tutelare il suo precario e complicato stato di salute.

Impossibilità di prendersi cura di lei, di proteggerla, di salvarla dal precipizio che la sta trascinando nelle proprie spire. Mentre la spina del senso di colpa affonda la sua lama impietosa e spietata.

“[…] Avevo tradito mia madre, mia sorella e anche mio padre.”

Una scelta coraggiosa quella di Francesca Cuzzocrea. Perché raccontare la malattia significa scavare con unghie insanguinate in un terreno impregnato di sofferenza, fragilità, incertezze, disorientamento, sbigottimento, angoscia cieca.

E ancor più se si tratta di una malattia invalidante e degenerativa come la demenza senile, che non lascia spazio a speranze di alcuna sorta.

Francesca Cuzzocrea, con penna vestita di garbo, sensibilità attenta, sincera compartecipazione, ci accompagna nei meandri d’ombra della mente di Adele, che giorno dopo giorno assiste alla perdita del proprio io, pezzetto dopo pezzetto, e nel cammino non meno oscuro delle figlie Eliza e Sofia, che devono muoversi tentoni in una quotidianità d’improvviso travolta dalla bufera, sballottate tra la propria emotività dolente e una situazione di ruvida difficoltà che richiede lucido pragmatismo per essere affrontata.

La giovane e talentuosa autrice, animata da un forte senso del rispetto, non ha edulcorato il senso di disperazione e le difficoltà che una storia come quella di Adele reca con sé.

Il suo approccio empatico e di non comune delicatezza consente tuttavia al lettore di cogliere un guizzo di luce in questo nero calvario: le stanze della residenza per anziani in cui Adele viene ricoverata si impregnano del calore genuino e della gentilezza degli operatori, che si prendono cura dei loro assistiti con professionalità molto umana, alleviando così almeno in parte il fardello (soprattutto emozionale) che i familiari dei malati portano sulle proprie spalle.

Un abbraccio e un sorriso non possono spegnere la pioggia, né arrestare l’infuriare glaciale del vento, ma possono rendere meno barcollante il nostro passo…

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Sinossi

“Mi presento: sono Adele. O almeno, quello che rimane di lei. Sono un piccolo sussurro della sua coscienza, nascosta in un angolo sempre più buio della sua memoria… La mia voce è sempre più sottile, ma finché esisterò racconterò di me. Penso, dunque esisto. Ancora.”È in questo modo che la protagonista del romanzo, Adele, ci introduce nella sua realtà alterata dalla demenza senile, di cui soffre. Con lei e le sue due figlie percorreremo il tortuoso cammino della malattia, che segnerà in modo indelebile le loro vite e i loro rapporti famigliari.

Titolo: Mi hanno fatto sedere qui
Autore: Francesca Cuzzocrea
Genere: Romanzo
Editore: Lettere Animate
Data edizione: 2015
Pagine: 86