L’imperfezione di mia mamma

di Luna D’Alessandro

 

Cara mamma,
eravamo rimaste noi due sole quando, compiuta la maggiore età, ho deciso di lasciarti anche io. Quattro anni prima lo aveva fatto mio padre; mio fratello, invece, non c’è mai stato, assente nella presenza, assorto nei suoi pensieri senza lasciar spazio a nessuno di entrare.

Eravamo io e te, eppure ho deciso di andare via e tu mi hai lasciata fare.

Ti scrivo questa lettera nel periodo del tuo compleanno, l’ottavo che passiamo separate, per dirti
tutto ciò che, crescendo senza di te, ho capito su di noi.
Me lo ricordo benissimo quando ti dissi che sarei andata via per studiare.

Hai pianto tutte le tue lacrime, hai cercato di trattenermi, ma hai visto nei miei occhi quella determinazione che in me hai sempre amato e hai capito di dover metterti da parte per il mio bene.

Del resto non era la prima volta che rinunciavi alla tua felicità per quella degli altri.

La nonna ti ha tenuta allenata all’infelicità fin da bambina, da quando la tua seconda sorella ha cominciato a mostrare dei problemi psichici.

L’imperfezione di quella terza figlia era un ostacolo invalicabile, mentre le sue primogenite, così maledettamente normali, non facevano altro che ricordarle quanto avrebbe potuto essere felice.

Lo so quanto è stato difficile fino al matrimonio, in una continua lotta di potere con tua madre che ormai era accecata dalla malattia della zia e cercava togliergli ogni motivo di felicità.

Del resto te lo dice adesso che è anziana e non ha più nessun filtro che ti augura di passare “la vita chiusa in casa” proprio come ha fatto lei.

Mio padre era arrivato come un salvatore, mamma, io questo lo capisco.

Capisco che un uomo che ti ama e ti fa sorridere fosse tutto ciò di cui avessi bisogno e sono sicurissima che tu lo amassi.

Ma i miei ricordi cominciano un po’ dopo, e ti confesso che da bambina mi chiedevo continuamente come potessi amare una persona che non c’era mai.

Perché me lo ricordo papà a lavoro o impegnato nel passatempo irrinunciabile di turno mentre tu eri con noi, sempre stanca e sorridente.

“Dovrò annullarmi anche io così da grande?”
Era un pensiero che mi tormentava. È proprio l’abbandono di papà che che mi ha dato la risposta a questa domanda: No.

Sei la mia super mamma, la roccia infrangibile che neanche la morte di suo padre aveva scalfito, distrutta in mille pezzi dopo che papà svuotò il suo armadio.

Hai pianto per ore, giorni, mesi: sarei pronta a giurare che non sei uscita dalla tua stanza per un anno.

Mi sono sentita molto sola, avevo 14 anni e i ruoli si erano capovolti, ero io a dover badare a te.

Sono andata in giro per un anno con giubbotti rotti e vestiti che mi andavano stretti, maledicendomi per essere cresciuta così in fretta quando di vestiti non potevamo più comprarne.

Andavo a scuola tutti i giorni con l’autobus senza fare il biglietto e non so se avessi più paura degli uomini che frequentavano quella tratta che mi spogliavano con gli occhi o del controllore.

È la prima volta che ti confesso che mi sentivo in colpa per tutto, mamma, anche solo di esistere.

Ma il nostro legame, più forte di qualunque altra cosa, ci ha fatto risorgere da quella oggi ho la maturità di poter chiamare depressione.

Siamo uscite da quel periodo aggrappandoci l’una all’altra, dato che tu una mamma a cui aggrapparti non ce l’avevi, e la condivisione di quella risalita è il vero segreto della nostra unione.

Ti confesso anche, mamma, che quella tua sofferenza, quella imperfezione che per una volta anche tu ti concedevi di manifestare è ciò che più mi ha insegnato.

Ho imparato ad amare solo chi fosse capace di rispettarmi e a mettere me al primo posto, per il bene mio e di chi mi sta attorno, ma sopratutto ho imparato ad accettare le mie debolezze, perché ogni tanto va bene non stare bene.

Sono andata via, cara mamma, dopo essermi assicurata che ti fossi rialzata, che avessi persino avuto il coraggio di amare di nuovo.

Era il mio momento di cercare la felicità, facendo tesoro degli insegnamenti che le tue scelte giuste e sbagliate mi avevano dato.
Grazie per aver mantenuto la tua porta aperta in tutti questi anni, per avermi sempre ripetuto che potevo tornare da te in qualunque momento.

Credimi, a volte vorrei farlo, a volte mi sento una bambina che avrebbe solo bisogno della sua mamma, ma mi hai insegnato ad essere forte quando necessario.

E, quindi, cara mamma, sempre stanca e sorridente, ti dico che in realtà mi sento forte perché ti porto sempre con me, perché sei come una voce continuamente presente nei miei pensieri, pronta ad ascoltarmi quando ho bisogno.

Eravamo e saremo io e te contro il mondo, finché non avrò anche io una figlia con la quale stringerò questo stesso pronfondissimo rapporto che ci lega… allora saremo in tre e ti confesso, mamma, che non vedo l’ora.

Tua Luna