Il sorriso di Caterina di Carlo Vecce
Voce al Sogno
Recensione di Tiziana Tixi
Il sorriso di Caterina è un romanzo storico di Carlo Vecce edito da Giunti nel 2023. Il sottotitolo, La madre di Leonardo, introduce il tema trattato.
Di cosa parla Il sorriso di Caterina?
La biografia di Leonardo restituisce la grandezza dell’artista; e, prima ancora, fa luce sull’uomo.
Conosciamo il nome del padre e l’ascendenza paterna; Leonardo è figlio illegittimo del notaio ser Piero da Vinci. Ma cosa sappiamo della madre?
Il sorriso di Caterina offre una possibile risposta alla vexata quaestio della donna che partorì il genio; le attribuisce un’identità e un vissuto.
Il nome Caterina compare per la prima volta nel 1839; tante Caterine si sono poi affacciate nell’intrico dei documenti. Tutte possono essere “quella” Caterina. Carlo
Vecce segue una pista emersa di recente. Una schiava Caterina figura nel testamento di Vanni di Niccolò, rogato nel 1449; ser Piero avrebbe potuto incontrarla in casa dell’usuraio.
Caterina filia Iacobi eius schlava seu serva de partibus Circassie. Forse è lei la madre di Leonardo; forse no. Poco cambia; perché Vecce racconta una storia necessaria.
Quella di una donna che è madre, figlia e sorella di tante madri, figlie e sorelle; di tutte quelle che hanno navigato nelle sue stesse acque.
Anno del Cavallo, autunno. Le mani aggrappate a una betulla, l’animo in tumulto; un uomo guarda in basso, verso la radura. Urla squarciano il silenzio della valle, trafiggono come sciabolate; un evento prodigioso e terribile sta per compiersi.
Laggiù, dal ventre di una donna, sta per venire alla luce un figlio; il primogenito dell’uomo: il principe Yacov. La creatura è una femmina; una neonata dagli occhi di cielo, come quelli della madre. Ma la madre non vedrà mai quei cieli; non vedrà più il cielo.
Per sei inverni Yacov è lontano da casa; combatte, assapora il sangue del nemico, infligge la morte.
La consolazione che vorrebbe per sé stesso; il suo coraggio eroico non è che desiderio di annullarsi. Yacov torna al villaggio; il viso indurito, lo sguardo spento. Non c’è più anima in quel corpo provato; niente nella testa, niente nel cuore. Due occhi azzurri lo fissano, emozionati ma asciutti; quella bambina deve essere sua figlia.
Occhi-di-cielo, la chiamano; Occhi-di-cielo, sussurra il padre. E la piccola gli getta le braccia al collo. È tempo di darle un nome; di purificarla con l’acqua del Battesimo. Viene battezzata Ekaterini, Caterina; come Haghia Ekaterini, la pura.
Insieme al nome, la bambina riceve un anello d’argento; si dice che sia stato a contatto con il corpo della santa. Ne avrebbe assorbito l’energia e il potere; un anello magico che Caterina avrà sempre al dito. La proteggerà, le ricorderà le sue radici; parlerà di lei e per lei.
Altri sei inverni trattengono Yacov lontano; in primavera una terribile notizia lo riporta a casa. Timore; domande. Come troverà Caterina? Sarà diventata donna? Cosa le avranno insegnato?
Ferma sul sentiero c’è una figura; è un ragazzo. Vestito in modo semplice, regge in mano un grosso arco; legato a un albero, un puledro. Il giovane ha un volto quasi femminile; il berretto gli scivola dalla testa. Una cascata di capelli biondi ricade sulla schiena; Caterina.
È stata educata a cavalcare libera e selvaggia; a lavorare la terra e occuparsi degli animali domestici. Ma uccide solo nella caccia; un tiro preciso, per evitare sofferenza.
Padre e figlia si ritrovano, si scoprono, si conoscono; ma il loro filo si spezza per sempre. Luglio 1439; Caterina rimane sola. Viene fatta prigioniera e condotta alla Tana. Il tempo dei miti, delle cavalcate e delle danze è finito; finito il tempo della libertà. Le peregrinazioni si intrecciano al cammino esistenziale; stazioni le città, pietre miliari i padroni.
Caterina finisce nelle mani di un mercante veneziano; Iosafà, uomo di buon cuore, la affida a Lena. La donna la strappa al silenzio; a fatica ne apprende le origini. Pare sia una principessa, si chiama Caterina; gli riferisce ammiccante la Lena. Voci concitate gridano all’incendio; trambusto, paura.
All’alba le fiamme sono domate; la casa è salva. Ma dov’è Caterina?
Un servo trascina una pesante cassa; giunto alla nave chiama il capitano. Forse Iosafà vuole vendere la sua schiava? O forse il servo l’ha rubata? Non c’è tempo per riflettere; il capitano paga la merce.
La nave prende il largo; è diretta a Costantinopoli. Il capitano è Termo; un gigante buono, barba e capelli rossi. Caterina scopre la magia delle immagini e dei colori; impara il sortilegio racchiuso nei portolani.
In agosto la nave tocca il Corno d’Oro; il viaggio è concluso. Iacomo Badoer è nel suo studio, chino sulle carte; forti colpi alla porta. Chi è?
Quando lavora non vuole essere disturbato; dopo il disappunto la gioia. Il gigante ritto sulla soglia si toglie il cappuccio; Termo ha un’espressione grave. Deve mostrare all’amico una cosa importante; l’indomani stesso.
È una giovane schiava circassa; si chiama Caterina.
Appartiene a Iacomo; che la porti con sé a Venezia. Sembra che sul viso di Termo brilli una lacrima. Impossibile; non ha mai pianto in vita sua. Mariya è la schiava di Iacomo; ha pochi anni più di Caterina. Le due ragazze condividono lo stesso padrone, la stessa casa; la stessa sorte. Si piacciono; sono amiche, sorelle, amanti. Insieme, sempre; forse non per sempre.
Venezia, 26 aprile 1440; androne di palazzo Badoer. Donato Nati attende con impazienza; ha bisogno di un prestito. Vuole tornare a battere l’oro; ma questa volta ricomincerà in modo onesto. Suo malgrado deve accettare le condizioni di messer Ieronimo; un torbido affare che non può legarsi al nome dei Badoer.
Nati farà il lavoro sporco; insieme al prestito, riceve una schiava. È una giovane circassa, pare che abbia un talento innato; disegna splendidi motivi ornamentali.
Caterina entra a servizio presso Donato; è buono con lei, il paron. Non alza le mani, non la guarda con lussuria; la tratta come una figlia. E lei ha bisogno dell’amore di un padre; perché il suo non c’è più.
Un martedì grasso Donato la salva dalle grinfie della bestia; ma le sue mani grondano sangue. Notte, la fuga; in terra di Ferrara la libertà è a un passo.
Padrone e schiava si imbarcano; i cavalieri urlanti sulla riva. Si alza il vento, il fiume si gonfia; acqua e cielo si toccano. Donato è vicino alla fine; affida l’anima alla Vergine Maria.
In hora mortis nostrae; un lampo, una mano. Il buio. Firenze, giugno 1441. Il campanile di Santa Maria del Fiore batte l’Angelus; monna Ginevra siede allo specchio. Spettinata, il viso coperto dalla maschera di bellezza; sembra una Maddalena.
Dei colpi alla porta la strappano alla meditazione; è Nuccio del Gratta, il lavorante del podere di famiglia. La balbuzie è accentuata dalla concitazione; c’è il diavolo a Terenzano. Il Grullo farfuglia; il diavolo è buono. C’è anche l’Arcangelo Michele. Terenzano; il pensiero di Ginevra corre al suo unico amore: Donato.
Ma Donato è morto; un mercante ebreo le ha riferito la notizia. Allora cosa si aspetta di trovare, Ginevra, lassù? Perché il suo cuore galoppa mentre si affretta lungo la strada? È lì, nella capanna di Nuccio; è disteso sul pagliericcio. Ha gli occhi chiusi, irriconoscibile; ma lei lo riconoscerebbe tra mille. Donato; consumato dalla febbre terzana.
Non c’è tempo per piangere, bisogna prendersi cura di lui. Un ragazzo entra con un secchio d’acqua; è l’angelo di cui parlava Nuccio? Ha un aspetto femminile; si toglie il giubbotto.
Gelo e fiamme nel sangue di Ginevra; è una ragazza. Chi è? Forse la figlia di Donato? La sua amante? Poi, finalmente, la giovane parla; è Caterina, la schiava.
Si esprime con una cadenza veneziana e un accento straniero; a fatica racconta come il padrone l’abbia salvata. E come lei abbia salvato lui. La febbre non arde più; ma le facoltà mentali di Nati sono appannate.
Monna Ginevra prende con sé Caterina; fa redigere solo uno scarno atto notarile, nel rispetto della forma. Quasi settantenne, Donato sposa Ginevra, che lo aspetta dalla giovinezza; i coniugi si stabiliscono nella casa lui, in via Santo Gilio. Caterina è con loro.
Nell’estate del 1449 il destino lascia cadere i dadi; la ragazza ha vent’anni. È diventata una donna; una rara bellezza che monna Ginevra cerca di castigare. La purezza di Caterina va preservata dalla lussuria maschile; ma il pericolo è dentro casa. Si presenta in lucco rosso da notaio; un giovane alto e magro.
Una sera di novembre, monna Ginevra è allo scrittoio; avverte la presenza di Caterina alle spalle. La ragazza la guarda con occhi umidi e arrossati; ha pianto.
Tutto è chiaro. Le sale del Castello d’Altafronte risuonano di grida; poi il silenzio, anche il vento smette di ululare. Messer Francesco Castellani è diventato padre; la moglie ha dato alla luce una femmina. Serve una balia; pare che la schiava di monna Ginevra abbia appena partorito.
Il neonato è stato dato agli Innocenti; e la ragazza ha latte in abbondanza. Si chiama Caterina; l’affitto costa diciotto fiorini all’anno. Il 6 maggio 1450 la balia viene scortata al Castello; la padrona la ama dal primo istante, così Caterina.
Il figlio le è stato strappato; lo ha ritrovato nella neonata che stringe tra le braccia. La nutre dal proprio seno; la nutre del proprio latte e, nel latte, del proprio amore. Caterina vive la pienezza della maternità; fino al luglio 1451.
È un momento fatale; al Castello arriva un giovane notaio. Ser Piero da Vinci; lucco rosso scucito e liso.
Francesco gli mostra tutte le carte, poi lo lascia solo. Lo ritrova pallido e ansimante; aggrappato ai braccioli della sedia. Il legale sembra sconvolto; si congeda in fretta, con la promessa di tornare in seguito. Uno strano tipo, ser Piero; dalla finestra, Castellani lo segue con lo sguardo. Lo vede prendersi la testa tra le mani; e piangere.
È la domenica delle palme del 1452; all’alba Antonio si sveglia dopo un sogno vivido. Una donna incinta, lo sguardo pieno di dolore; sembrava implorare aiuto. Le mani erano appoggiate sul ventre gonfio; al dito splendeva un anello. Antonio sa che questo sogno non è solo un’ombra; che qualcosa accadrà.
Piero sta per arrivare ad Anchiano; il padre deve aspettarlo al frantoio. Il vecchio sale sul poggio; siede su una pietra per riposare. Forse si assopisce. Padre; una voce lo scuote. Piero è seguito da un piccolo carro; le tendine tirate. I due uomini si abbracciano; gli occhi del figlio sono umidi.
Antonio non lo ha mai visto così; commosso, affettuoso. Dal primogenito solo sguardi ostili, solo parole dure; la condanna per un peccato che ha macchiato anche i figli. Antonio ha interrotto la tradizione di famiglia; una dinastia di notai.
Piero si asciuga le lacrime; poi scosta le tendine. Illuminato dal sole morente, il volto di una donna; è prossima al parto. Caterina. “Ciò che ti parve sarà”.
Antonio guarda indietro; vede sé stesso. Guarda avanti; vede Piero e Caterina e il loro figlio. Illegittimo; ma pur sempre dono di Dio e dell’amore. Che problema c’è? Non avrà fame, né sete; la Provvidenza lo aiuterà. Piero ha ingravidato una schiava; ha commesso un delitto contro la proprietà.
Perché rischiare di finire alle Stinche? Perché non ricorrere agli Innocenti? Perché Caterina è stata ferma; questa volta non abbandonerà suo figlio. La creatura avrà il nome del santo che libera dalle catene; sarà lui, o lei, a liberare la madre. Leonardo; simbolo di libertà.
Il bambino viene alla luce il 15 aprile; all’ora terza di notte. La penna di Antonio graffia su un protocollo notarile; apparteneva a suo padre. Uno spazio bianco nell’ultima pagina; lì l’ultimo dei Vinci. Leonardo non potrà crescere con la madre; vivrà con ser Piero. Un compito aspetta il notaio; un’impresa ardua e doverosa.
Per Caterina. 2 novembre 1452; in casa di via Santo Gilio ci sono tutti, anche Leonardo. Piero dà inizio alla lettura dell’atto più importante che abbia mai rogato; si accorge di aver commesso degli errori.
Tanta era l’emozione, mentre la penna volava. Il passo decisivo; la dispositio. Tempo al tempo; fredda, monna Ginevra lo interrompe.
Manca qualcosa; Caterina non comprende il latino, guarda fiduciosa la padrona. Occhiate, un silenzio; poi monna Ginevra scioglie il gelo. Liberavit et absolvit ab eius servitute. La seconda nascita di Caterina; la Vita che torna a fluire libera.
Sarà ser Piero a provvedere a una sistemazione dignitosa per la donna; la madre di suo figlio. Leonardo; un bambino che potrà dire padre. Ma una parola non potrà mai pronunciarla; mamma. Un sussurro spento sulle labbra; un sogno cullato nell’intimo.
Perché leggere Il sorriso di Caterina?
Vecce non pretende che questa vicenda corrisponda alla verità storica; ma la sua Caterina ci chiama, ci scuote. Non vuole restare in silenzio, vuole uscire dall’ombra; non per sé stessa —che pure rivendica ascolto — ma per tutte le altre come lei.
Partite da lontano, strappate alla loro terra, alla loro vita; unite in un muto grido che non possiamo ignorare.
Il sorriso di Caterina illumina un mondo ai margini della Storia; trascurato perché invisibile. Il mondo delle schiave. La loro condizione giuridica era cruda; erano cose. In quanto tali, erano regolamentate dalle leggi sulla proprietà; come un mobile, o un pettine.
Venivano esaminate “segondo usanza”, valutate, vendute; comprate. Ma cose non erano. Nacquero donne; e donne furono. Cosa provavano le schiave? Come vivevano — e sopravvivevano?
Un conforto era la sorellanza che si creava tra loro; sorelle nel dolore, nella violenza maschile. Abusi, angherie, la nostalgia di casa; l’acqua amara che tutte bevevano. Reggere insieme quel calice era meno doloroso.
Caterina è stata fortunata; è passata tra lupi, è stata solo sfiorata. Ha incontrato padroni onesti; ha trovato una famiglia. Ma non a tutte la sorte sorrise.
La storia di Caterina non è diversa da quella di altre donne private della libertà; perfino di sé stesse. Secoli fa; e anche oggi. Nel civilizzato secondo millennio, una parte dell’umanità civile perpetua questa barbarie; donne comprate, vendute, buttate via.
Il sorriso di Caterina è una memorabile storia di libertà; perduta, conquistata, riconquistata.
“Mi commuove pensare che il mio stesso nome, Leonardo, significa libertà, e che la libertà è forse il bene supremo al quale anch’io anelo, come mia madre.
Libertà di vivere, di pensare, di esprimersi, di comunicare, con qualunque mezzo e qualunque linguaggio, di viaggiare, di conoscere il mondo, di immaginare e sognare, di donarsi agli altri, di amare. Senza vincoli, senza limiti, senza catene”.
Caterina è una schiava; ma è la più libera di tutti. Nata libera, resta libera dentro.
Dalla Tana arriva a Firenze; ma l’anima correrà sempre tra i boschi, lungo i fiumi gelati, all’ombra della montagna dove approdò l’Arca.
Tutti i personaggi della vicenda in qualche modo sono schiavi; dei propri errori, di sé stessi, delle umane miserie. La libertà di Caterina è così forte da spezzare le catene altrui; chi la incontra, chi la vive, è liberato dalla prigionia. Caterina effonde Vita; è madre, è tante madri.
Tanti figli dal suo grembo, dal suo latte, dal suo amore; quello più amato, il prediletto: lui. Leonardo, nato da schiava, figlio di donna libera; bambino, adolescente, uomo senza madre.
La inseguirà sempre; sempre la troverà. Ogni sua figura femminile è una delle tante Caterine possibili; tutte immaginate, tutte vissute. Ognuna sua madre; almeno lì, nell’eternità dei segni e dei colori.
Link d’acquisto
https://www.ibs.it/sorriso-di-caterina-madre-di-libro-carlo-vecce/e/9788809964235
Sinossi
Caterina è una ragazza selvaggia, nata libera, come il vento. Corre a cavallo sugli altopiani del Caucaso, ascolta le voci degli alberi, degli animali, degli dèi e degli eroi. Il suo è un popolo al di fuori del tempo; la sua lingua, la più antica e incomprensibile del mondo. Poi, un giorno, improvvisamente, viene trascinata con violenza nella Storia. Catturata alla Tana, l’ultima colonia veneziana alla foce del Don, inizia un viaggio incredibile per il Mar Nero e il Mediterraneo.
Vede le cupole d’oro di Costantinopoli alla vigilia della conquista turca, vede Venezia sorgere dalle acque come in un sogno, e infine Firenze nello splendore del Rinascimento.
Ma non è un viaggio di piacere. Caterina è una schiava, una cosa. La sua esistenza si intreccia ora con quella di pirati, soldati, prostitute, altre schiave come lei, avventurieri e mercanti, uomini e donne che l’hanno comprata, rivenduta, affittata.
La sua storia è grande e liquida e mobile come il mare che lei ha attraversato.
La storia di una ragazza a cui qualcuno ha rubato tutto, il corpo, i sogni, il futuro, ma lei è stata più forte, da sola ha percorso le strade del mondo senza avere paura, ha sofferto, ha lottato, ha amato, ha riconquistato la sua libertà, e la dignità di essere umano.
Uno dei figli che ha messo al mondo quando era ancora schiava, Caterina l’ha amato più della sua vita. E sa che lui l’ha amata allo
stesso modo, anche se non ha mai potuto dirglielo, non ha mai potuto chiamarla mamma, e lei doveva fingere che non fosse suo figlio.
La sua felicità è stata dargli tutto quello che aveva: il suo infinito amore per la vita, per le creature e per la libertà. Il nome di quel bambino, lo conosciamo tutti. Era Leonardo.
Anche a noi Caterina dona gioia e libertà, ma ci chiede molto in cambio. Svegliarci, come da un lungo sonno senza sogni. Aprire gli occhi. Capire che la sua non è la storia di un passato lontano e favoloso.
È la storia di oggi: di una straniera al gradino più basso della scala sociale e umana, di una donna scesa da un barcone e venuta da chissà dove, senza voce né dignità. Per questo bisogna raccontarla.
Per Caterina. Per le sue sorelle che muoiono nel mare che lei ha varcato, e che soffrono intorno a noi.