Auto da fè di Elias Canetti

Voce all’Altrove

recensione di Cynthia Collu

 

auto da fè

 

Auto da fè è un romanzo di Elias Canetti edito da Adelphi nel 2001.

 

La misoginia? Un problemuccio che risolveremo fra qualche millennio.

Commento bigino a Auto da fè

Premetto che Auto da fè è, a voler usare un eufemismo, impegnativo.

Ma leggendo dei commenti e le successive risposte, mi è venuto l’uzzolo di dire anche la mia, perché a volte mentre si scala una montagna ci si chiede, Ma a me chi lo fa fare?, poi magari succede che, arrivati in cima, il panorama strappi un WAO di quelli più vicini alla felicità.
Romanzo impegnativo, dicevo.
Grottesco e paradossale, personaggi tutti negativi, alcuni decisamente odiosi (Therese, la moglie del protagonista e il nano Fischerle in particolare), ma sempre immutabili, incapaci di cambiare, chiusi nel loro mondo meschino senza avere la capacità di confrontarsi con l’esterno; situazioni a volte respingenti, così brutali da farti dire, Mo’ chiudo il libro e vada a dà via i ciap a tutti quanti.
E via di questo passo.

E allora? Perché leggere Auto da fè?

Perché è sì un libro duro, faticoso ma allo stesso tempo talmente unico e pazzesco e surreale che alla fine davvero si pensa che una cosa del genere non la si troverà mai più.
Il finale, bellissimo, sistema e incasella tutti i pezzi che non sapevamo dove mettere, ci ripaga delle 500 pagine di questo volume facendocene cogliere tutta la delirante bellezza.

Commento Rotoloni Regina di Auto da fè

Comincerò dalla fine, dall’improvvisa comprensione di quel sentimento che serpeggia per tutto il romanzo, e che pure non avevo colto, affascinata com’ero dall’ironia, dalla durezza, dal rifiuto, e da tanto altro.

Un sentimento così forte da riuscire a rendersi invisibile, come quando in una cartina geografica si cerca un nome e non lo si trova, perché è scritto in lettere cubitali e noi ci aspettiamo qualcosa di minuscolo: sto parlando della misoginia.

Il sinologo Kien, il professore che ama solo i libri tanto da riuscire a contenere la sua smisurata biblioteca “sulla” testa, sembra far suo il seguente assioma: in quanto esseri stupidi, vanesi, logorroici e molto altro ancora, le donne meritano solo botte.
E se non le meni, ti menano loro, come esperimenta con successo il terribile, meraviglioso personaggio di Thérese, che scambia il marito, il povero Kien, per un punching-ball, e non è soddisfatta finché non lo appiattisce a mo’ di sogliola.

C’è tanta violenza nascosta, in questo romanzo: nascosta perché viene narrata con ironia, ma terribile, alla riflessione. Tutti desiderano menare tutti (e menano) per futili motivi (le donne le prendono gratis, come insegna il famoso detto cinese), hanno il prurito alle mani e desiderano solo dargli libero sfogo, sino allo sfinimento.

Eppure si sorride. Perché Canetti è un mostro di bravura nel riuscire a dare alle cose più orribili effetti comici.
“Lo spioncino è mio.” Ruggì Pfaff. I pugni tornarono a gonfiarsi. “A cuccia!” li investì furibondo. Essi rientrarono brontolando nelle tasche, dove rimasero pronti a intervenire. Erano offesi.
Ma sto parlando d’altro. Torniamo alla misoginia di Kien.

Nelle ultime meravigliose trenta pagine, questa esplode in un lungo excursus di citazioni letterarie che lascia senza fiato.

Leggendo, scopro che anche Confucio disprezza le donne: sgrida con parole dure il proprio figlio che piange la madre morta. Non si vergogna il figlio di provare dolore?
Ma quando si arriva a Buddha, trasecolo.
Dice l’illuminato al suo discepolo Ananda:
“Colleriche, Ananda, sono le donne; gelose, Ananda, sono le donne; invidiose, Ananda, sono le donne; stupide, Ananda, sono le donne. Questo, Ananda, è il motivo per cui le donne non hanno seggi nelle pubbliche assemblee, non si occupano di affari e non si procurano il proprio sostentamento esercitando un mestiere.”
Sapevo già che gli “illuminati” illuministi, tali Voltaire e Rousseau, mettevano in guardia contro la civetteria delle donne e l’inaffidabilità delle loro chiacchiere, considerate come forma di potere e di raggiro, ma Tu quoque, Buddha!…
Le citazioni di Kien proseguono: dalle antiche sentenze indiane
Duro come un albero
Curvo come un fiume
Cattivo come una femmina
Come femmina stupido..
alle epopee nordiche: Crimilde mozza la testa a Gunther e Hagen non per amore di Sigfrido, ma per il tesoro dei Nibelunghi; all’Odissea, dove i più importanti personaggi femminili, Penelope inclusa, vengono bollati come esseri che non meritano né considerazione né rispetto. Gli stessi dei greci sono più umani delle loro divine compagne.
La lista prosegue, pagine impagabili di erudite e divertenti citazioni, sino all’apoteosi finale.
E quando Georg, il fratelli di Kien, cerca di ribattergli, Kien non trova migliore argomento per offenderlo che dirgli: “Pover’uomo! Mi fai pena. A rigor di termini, tu sei una donna.“

Il romanzo Auto da fè ovviamente non è solo questo. È un grande romanzo. È un capolavoro, e basta.

Ma adesso ho bisogno di tirare il fiato: vado a sottoporre il mio commento a qualche illuminato rappresentante di sesso rigorosamente maschile (si sa mai che la mia femminilità mi abbia fatto scrivere delle scemenze) e mi do una seconda chance per la prossima puntata.
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Sinossi

Da una parte un grande studioso, Kien, che disprezza i professori, ritiene superflui i contatti con il mondo e ama in fondo una cosa sola: i libri.
Dall’altra la sua governante, Therese, che raccoglie in sé le più raffinate essenze della meschinità umana.

Il romanzo racconta l’incrociarsi di queste due remote traiettorie e ciò che ne consegue: la minuziosa, feroce vendetta della vita su Kien, che aveva voluto eluderla con la stessa accuratezza con cui analizzava un testo antico.

Titolo: Auto da fè
Autore: Elias Canetti
Edizione: Adelphi, 2001