Intervista a
M. F. Consiglio
autrice de
L’Olimpo e l’Orrore
Voce alle Donne
a cura di Emma Fenu
Maria Francesca Consiglio, prolifica e pluripremiata poetessa, originaria di Scalea (CS), è oggi nostra gradita ospite per presentarci la sua ultima silloge: L’Olimpo e l’Orrore.
Benvenuta, Maria Francesca. Come è nata la tua silloge poetica L’Olimpo e l’Orrore?
Ho cominciato a scrivere alcune poesie de L’Olimpo e l’Orrore nel 2020.
Come tutti ben ricordiamo, è stato un anno in cui ci si è trovati catapultati in una dimensione mai vissuta prima. Giorno dopo giorno ho visto il vero volto delle cose che abitavano la mia vita.
Anche per questo motivo la silloge ha richiesto più tempo del previsto per vedere la luce.
La raccolta è nata dopo un periodo, durato tre anni, di profondo cambiamento personale nel quale la mia quotidianità, costellata di illusioni e falsi dei (L’Olimpo), si è tramutata in un inferno personale (L’Orrore) che ha dato vita a qualcosa di insperato, rincorso per diverso tempo.
Posso dire con assoluta certezza che in questa silloge, più di quelle scritte in passato, ho riversato molte delle mie verità.
Di anno in anno, di tematica in tematica, si avverte un cambiamento palpabile e una certa presa di coscienza che ha salvato parte della mia stessa esistenza.
Il lavoro da fare è ancora lungo e probabilmente non cesserà mai; spero però di riuscire a riversare sempre nella scrittura le tappe più significative di questo viaggio interiore.
Quali sono i poeti e gli scrittori che ti sono stati d’ispirazione?
Non è semplice rispondere ad una domanda del genere soprattutto perché, nel corso degli anni, maturando, evolvendosi attraverso il susseguirsi degli eventi, alcune preferenze possono essere messe in discussione.
Anzi, quasi sicuramente accade.
Però se proprio dovessi scegliere dei poeti che ho amato indissolubilmente sarebbero, senza alcun dubbio, Saffo e Baudelaire. Bellezza e dannazione. Miele e vino.
Sono cresciuta leggendo i loro componimenti e riversandoli nella mia stessa anima.
Mi sono sentita più figlia del loro tempo che del mio.
Per quanto riguarda gli scrittori, riproponendo la stessa premessa di prima, direi Oscar Wilde e le sorelle Brontë, soprattutto Emily che con il suo “Cime tempestose” ha inevitabilmente soggiogato il mio modo di vedere e percepire il sentimento romantico.
Di scrittori meritevoli ne esistono davvero tanti ma quelli che ho menzionato hanno un posto nel mio cuore che nessuno può profanare.
Inoltre esiste una scrittrice che ammiro come donna e che, da un certo punto in poi della mia vita, sento vicina e simile a me in alcuni tratti caratteriali, ovvero Virginia Woolf.
Il titolo della mia sillogepoetica “Virginia vive” fa riferimento a lei e alle ingiustizie subite dalle persone che soffrono di disturbi mentali; sono anime non comprese, emarginate, ignorate dalla società stessa.
Il genio di Virginia era anche nel suo disturbo, nella sua profonda sensibilità verso il tutto.
Non si possono sezionare le persone e scartare solo quello che non appare “diverso” o “difficile da gestire”.
Cosa ti affascina del mito?
Nivea Medea
Trova un amore spregiudicato
da inseguir su scivolose scalinate.
Che i tuoi scalzi piedi possano
maledirlo per l’assenza di gravità.
Vivi d’una sanguinolenta passione
che corrompa indelebilmente la mente
che tramuti il capo in suolo lunare
ch’estirpi ogni pensiero come gambi morti.
Scegli malanni d’amorose cause,
morbi danzanti ch’avanzano fieri
sui destrieri schiumosi di Nettuno
che ridenti frantumano certezze di conchiglia.
…
Umilia l’amore per esserne padrone.
Umilialo ancora per esserne schiavo.
Sul trono dello schiavo s’eccita il padrone.
Nella stalla del padrone s’ama lo schiavo.
Carezzalo l’amore maledetto Medea
come il miele s’accarezza il pungiglione d’ape.
Perdona l’incolpevole egoismo
di chi per metà nacque Giasone.
Il mito mi ha sempre affascinata, sin da piccolissima. Amavo studiare la mitologia greca.
Questa passione si è riversata anche nella mia scrittura; spesso nei miei versi menziono personaggi mitologici.
Una delle mie preferite è la gorgone Medusa.
Nei racconti mitologici letti durante la mia infanzia ammiravo quell’essere scevri da alcune rigide imposizioni subentrate conl’avvento del cristianesimo.
Inoltre riscontravo un’alta considerazione per le arti in genere, la bellezza e il profano.
Sono tuttora attratta dal mito e quindi anche dalle religioni politeiste nelle quali le divinità incarnano diverse essenze o elementi naturali. Sono diventata una politeista emotiva io stessa.
Con gli anni ho imparato a non affidare più certi sentimenti ad una figura totalitaria poiché, nel momento in cui essa viene a mancare, si viene trascinati in un vortice di disperazione essendo privati di quel “tutto”.
Così, anche per la religione, applico il medesimo concetto mettendo sullo stesso piano tutte le figure sante.
Non vorrei essere tacciata come una sorta di femminista, come mi è successo in passato a causa della mia devozione verso la figura della donna, ma avrei preferito la Madonna al posto di Dio perché considero l’energia femminile la più potente in assoluto.
Nel mito, così come in antiche religioni politeiste, esistono dee molto potenti. A mio modesto parere nessuno sopporta, sente e ragiona come fa una donna.
Esiste, a tuo avviso, una scrittura al femminile?
Esiste una scrittura dell’anima che si incarna nei processi mentali.
Si potrebbe pensare che la mente sia un luogo opposto a quello dove risiede l’anima.
Ma quanto dolore emotivo invece si riversa proprio nella psiche trasformando, o devastando nei casi peggiori, la mente stessa?
Quindi, se proprio sono chiamata a fare una distinzione in tal senso, prendo in considerazione l’anima, non il sesso di appartenenza.
L’animo femminile ha delle inclinazioni diverse e spesso mescola alle parole e alle varie tematiche trattateun’emotività psicologica più evidente rispetto a quella dell’animo maschile.
Una scrittura autentica deve necessariamente mettere a nudo l’anima di chi la genera e solo da ciò si evince l’inclinazione primordiale.
Personalmente amo la scrittura di chi possiede entrambe le anime, una sorta di “fusione ibrida”, perché da vita a qualcosa di profondamente criptico che forse solo il poeta stesso può decifrare.
E aggiungerei che le parole “maschile” e“femminile”, in un tempo contaminato come questo, non trovanola stessa connotazione simbolica di prima.
Questi due estremi ormai non si contrappongono con il medesimo distacco netto.
L’arte, in ogni sua forma espressiva, deve essere, prima di tutto, libera da stereotipi di genere e/o censura.
Che senso ha la poesia nella nostra società?
Per me la poesia è il sogno; un vecchio nostalgico che crede ancora nel domani e tenta di conservare gelosamente la bellezza dei suoi tempi riproponendola amaramente nel presente.
Il poeta invece è una sorta di missionario che ha l’arduo compito di farsi portavoce dell’anima che lo alberga.
E qui il dilemma, senza soluzione, su quale sia il secolo che anima una tale fiamma: il proprio o un tempo antico che consente di viaggiare in dimensioni accessibili solo agli artisti?
La poesia ha e trova un senso quando nasce dall’ispirazione. Mi dispiace profondamente constatare che nella nostra società questo senso è stato perduto.
Molti scrivono per puro egocentrismo, altri esclusivamente per un riscontroeconomico a discapito del vero significato della scrittura.
Estendo il medesimo discorso anche alla prosa naturalmente.
Esistono in commercio libri dove viene addirittura spiegato come scrivere per vendere.
Questo mi inorridisce.
Per me la poesia è terapeutica ma nello stesso tempo mi condanna ad una consapevolezza emotiva che fa a brandelli tutto il resto. Non ho mai scritto per altro motivo che non fosse dare una voce al mio mutismo selettivo.
Il mondo interiore quando scalpita deve necessariamente trovare una via di fuga.
Al giorno d’oggi invece c’è chi diventa scrittore commercialista e che invece il commercialista lo fa di mestiere sognando di diventare scrittore mentre affoga nei numeri.
T’apparterrò
T’apparterrà la mia ossessione
arpionata con granitica
ostinazione ed ostentazione,
come un selvaggio rapace
alla severa carne paterna.
T’apparterranno le mie risa
nel drappeggio matriarcale,
nelle vergini vesti del ricordo
che s’ubriaca per non sapersi
prostituta d’una vita balorda.
T’apparterrò impalpabile idea,
che fosti girone dantesco,
banchetto e baldacchino,
e adesso mi riduci a portinaia
d’un palazzo dimorato da sordi,
senza stipendio ed amore,
all’entrata d’un purgatorio,
senza pena né perdono.
T’apparterranno le ore neonate,
i miei giorni adolescenziali,
che hai allattato d’assenza,
tanto da irrobustirli ed eccoli
d’improvviso i mesi temuti,
di grigio fumo e piaceri fantasma
che danzano nella schiuma di mare,
mi tradiscono per seguire l’onda,
per fuggire con sbronze perle
ed assassinare le ostriche guardiane.
Temo che t’apparterrò ancora
sino a che le foglie d’oro capriccioso
invecchieranno per perire un altro anno.
Mi chiedo allora, ed ancora,
se assieme le seppelliremo,
calpestando un’altra stagione,
liberando le anime e gli oneri.
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Sinossi
L’Olimpo e l’Orrore è un viaggio dell’anima (durato più di tre anni) durante il quale l’autrice affronta una delle imprese più ardue da compiere: il confronto con se stessa, la disillusione e i buchi neri del passato.
Ogni capitolo, ogni tappa, di questo viaggio lirico narra degli eventi necessari a sciogliere, progressivamente, i nodi di una grande matassa ancorata alla mente. Il transfert, la separazione, l’incontro con anime affini o dannose, gli ostacoli da abbattere e una pandemia che fa da cornice a una già tumultuosa esistenza.
Capitolo dopo capitolo, i versi indagano, cercano, e al tempo stesso tracciano un percorso di rivelazione di sé e del mondo, della dualità generatrice di significato, l’Olimpo e l’Orrore.
L’Olimpo come proiezione di una dorata caverna nella quale nascondersi. L’Orrore come ospite silente, che decide di manifestarsi nella sua forma più terrificante indossando la carne delle cose amate.
Titolo: L’Olimpo e l’Orrore
Autore: Maria Francesca Consiglio
Edizione: pubished indipendent, 2023