Lavinia Fontana, “pontificia pittrice”

di Paola Treu

In un articolo precedente (“Le Signore dell’arte italiana tra XVI e XVI secolo”) ho già avuto modo di parlarvi del ruolo delle donne artiste nella società italiana dei secoli XVI e XVII, ripromettendomi di dedicare a quelle figure femminili che riuscirono ad affermarsi, ottenendo importanti riconoscimenti, degli approfondimenti monografici. Per lungo tempo dimenticate, negli ultimi anni sono state oggetto di una fortunata e soprattutto meritata riscoperta. Due gli articoli già scritti: Ho già dedicato due articoli a Sofonisba Anguissola (“Sofonisba Anguissola: una pittrice alla corte del re”) e ad Artemisia Gentileschi (“Artemisia Gentileschi, il riscatto dell’arte”). Questo è riservato a Lavinia Fontana, pittrice assai prolifica e di successo, dal gusto elegante e raffinato.

Autoritratto

 

Lavinia Fontana – la vita

Nasce a Bologna nel 1552 e mostra ben presto il suo talento. È figlia d’arte, suo padre è infatti lo stimato pittore manierista Prospero Fontana, ed è il suo primo maestro. Presso la bottega del padre, uomo colto e ben inserito nei circoli culturali della città, Lavinia può godere di una formazione privilegiata e rara per una donna della sua epoca. Entra infatti in contatto con importanti intellettuali e affina il suo stile grazie all’influenza di artisti del calibro di Veronese, del Parmigianino, dei Carracci e anche di Sofonisba Anguissola.

Nel 1577 sposa Giovanni Paolo Zappi, un pittore di livello mediocre, pretendendo però di continuare a dipingere. Anzi, essendo Lavinia ben più dotata del marito, questi abbandona l’attività per diventare suo agente.

Un’unione certamente non convenzionale.

Il contratto di matrimonio addirittura specifica che i coniugi debbano vivere a Bologna, nella casa di Prospero Fontana, fino alla sua morte e che è dovere del marito occuparsi della gestione degli introiti che la moglie otterrebbe come “pittora”: Prospero, in sostanza, vuole essere certo che la figlia continui a praticare la sua arte anche da sposata, certamente un aspetto non comune nella cultura di quegli anni e questa imposizione al genero è da interpretare come una sua attestazione di stima nei confronti della figlia.

Ritratto alla spinetta

A tale proposito, nell’Autoritratto alla spinetta, firmato e datato 1577 (dono di nozze per il futuro marito), Lavinia, agli esordi della sua carriera, esprime una vera e propria dichiarazione di intenti. Si ritrae all’interno di una stanza, mentre suona la spinetta, aiutata da una fantesca che le porge lo spartito musicale. Sul fondo, davanti alla finestra, un cavalletto conferma la sua attività di artista.

Elegantemente vestita di un abito rosso e di una camicia con colletto di pizzo, ha lo sguardo consapevole di una donna in carriera. Intelligente e prudente, ha però fama di essere “timorata di Dio e di onestissima vita e di belli costumi”, come ricorda Orazio Samacchini, pittore a lei contemporaneo. Lo specifica anche per iscritto: in alto a sinistra dice che è virgo, cioè vergine, e lo scrive in latino dimostrando così, in un colpo solo, di essere virtuosa e colta.

Lavinia Fontana ritrattista

Alla fine degli Anni Ottanta del Cinquecento Lavinia è ormai una pittrice affermata, in particolare come ritrattista, distinguendosi soprattutto per l’accuratezza, dal sapore fiammingo, dei dettagli dell’abbigliamento e delle acconciature delle figure femminili. Diventa ben presto una delle ritrattiste più famose della sua epoca e le sue opere sono sempre più richieste dai notabili bolognesi ma soprattutto dalle nobildonne, per le quali farsi immortalare dalla nota “pittora” diventa quasi una moda. Nel Ritratto di Costanza Alidosi, del 1584, ammiriamo una delle più belle bolognesi dell’epoca. Colpisce la precisione scientifica nella resa delle stoffe, dei velluti e dei merletti. Oltre ai virtuosismi tecnici, appone anche un’altra rivoluzione assoluta. La resa prospettica nuovissima del personaggio: la nobildonna sembra quasi uscire dalla tela, sembra tendere verso lo spettatore. Questo escamotage di cui lei è fautrice e inventrice rende ancora più magistrale il ritratto.

lavinia Fontana

Bianca Degli Utili Maselli e sei dei suoi figli.

Un’ulteriore specialità di Lavinia Fontana sono i ritratti dei bambini, per i quali inventa nuovi modi di rappresentazione, raccontandoci pagine della loro vita privata che di solito la pittura non trattava. Il ritratto di Antonietta Gonsalvus, del 1595, evidenzia la sensibilità e la tenerezza con cui l’artista rappresenta i bambini. La bambina soffriva di ipertricosi, una patologia che determina la crescita di una folta peluria su tutto il corpo. Tali persone all’epoca erano considerate “bizzarre”, fenomeni da baraccone e tali venivano raffigurate. Lavinia, invece, ci mostra, con dolcezza materna, una bambina con una veste preziosa, una coroncina di fiori sulla testa e un accenno di sorriso. In mano tiene il foglio in cui spiega la sua storia.

Per quanto sia richiesta quasi principalmente come ritrattista, nella sua produzione ritroviamo opere con soggetti mitologici, biblici e sacri. Un corpus peraltro nutrito, costituito da un centinaio di pale d’altare (di cui ne sopravvivono una trentina firmate e venticinque di incerta attribuzione) e da diverse sculture di uomini in battaglia, in particolare con cavalli e altri tipi di bestiame.

lavinia fontana

Tognina Gonsalvus

L’artista e la donna

Lavinia Fontana precorre i tempi anche per quanto riguarda la gestione della sua carriera, magistralmente coniugata con il suo ruolo di moglie e di madre. Sa coltivare legami e contatti altolocati, sceglie per i suoi figli padrini e madrine illustri, dimostrando astuzia e abilità nel consolidare la clientela e garantirsi la committenza.

A testimonianza di questa sua consapevolezza di essere un’artista versatile e di valore, nonché di avere profonda cultura umanistica, è l’Autoritratto nello studio, del 1579, in cui dipinge sé stessa nel suo studio, seduta al tavolo di lavoro, mentre disegna a penna due statuette, reperti archeologici di cui è collezionista e che si intravedono sul piccolo scaffale alle sue spalle.

Indossa abiti eleganti e gioielli e ha lo sguardo orgoglioso, conscia della propria istruzione e del proprio talento.

fontana

Assunzione della Vergine

Lavinia Fontana a Roma

Nel 1584 Lavinia ottiene la prima commissione pubblica, quella di una grande pala d’altare per la cattedrale di Imola. Si tratta della Madonna Assunta di Ponte Santo e i Santi Cassiano e Pier Crisologo ed è la prima opera a soggetto religioso, destinata a una chiesa, eseguita da una donna nella storia dell’arte occidentale, in pieno clima controriformato. A questa ne seguiranno altre, tra cui, ad esempio, “La visione di San Giacinto” della chiesa di Santa Sabina a Roma.

Ed è proprio a Roma che l’attendono i successi maggiori, chiamata da Papa Gregorio XIII, impressionato dalle sue opere, nel 1603. Grazie a tale protezione, Lavinia realizza innumerevoli lavori per l’entourage della corte papale ed è talmente apprezzata da guadagnarsi l’appellativo di Pontificia Pittrice”. La sua fama è attestata dalla medaglia commemorativa coniata in suo onore nel 1611 e dal commento del pittore e biografo di artisti Giovanni Baglione, che con un certo apprezzamento scrive:

[…] nel rassomigliare i volti altrui, qui fece gran profitto, e ritrasse la maggior parte delle dame a Roma e spetialmente le Signore Principesse e anche molti Signori Principi, e Cardinali onde gran fama e credito ne acquistò, e per essere una Donna, in questa sorte di pittura, assai bene si portava.” (G. Baglione, Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti, Roma MDCXLII).

Tuttavia, anche a Roma, è ricercata specialmente come ritrattista, al punto che è la pittrice più ambita dalle dame romane, come attesta Luigi Lanzi, celebre storico dell’arte del Settecento: “ambita dalle dame romane, le cui gale (ornamenti dei vestiti) ritrae meglio che uomo del mondo.” All’apparenza una banale considerazione, in realtà, considerando i tempi, è davvero uno straordinario complimento.

Minerva nell’atto di vestirsi

L’ultima sua opera, eseguita a Roma, è il primo nudo femminile per mano di una donna nell’arte occidentale. Si pensava, infatti, che tali soggetti potessero turbare la mente femminile. È la Minerva nell’atto di vestirsi, commissionato da Scipione Borghese nel 1613. Il dipinto si discosta dall’iconografia tradizionale, anzi la sovverte completamente, a riprova dell’originalità dello sguardo femminile nell’arte. Lavinia ci presenta infatti l’immagine di una giovane donna vista di profilo e in movimento. Non dunque un corpo sensuale, una bellezza inerte che esiste in funzione di che la osserva, ma una dea agile, longilinea e sbarazzina che ha appena abbandonato le armi e sta per indossare gli abiti borghesi. Un nudo che è naturalezza, intelligenza e femminilità senza fronzoli, la donna come persona sotto la veste e il simbolo, in un momento qualsiasi della sua intimità.

Nel 1613, colta da una crisi mistica, si ritira in un monastero, assieme al marito. Muore a Roma nell’agosto dell’anno seguente, sepolta nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Lavinia Fontana oggi

Lavinia Fontana è la donna artista rinascimentale della quale restano più opere in assoluto e lo stesso fatto che molte sue tele siano rintracciabili documenta quanto la committenza tenesse in considerazione la sua arte. Libera, ambiziosa, desiderosa di cimentarsi in tutti i generi di pittura e, ancor più raro, con la scultura. Instancabile e tenace nel reggere un livello di lavoro altissimo, nonostante il gravoso impegno di madre di undici figli, che mantiene quasi esclusivamente con la sua professione. Grazie ai sorprendenti successi in campo lavorativo è considerata una sorta di idolo femminista distintosi in ambito artistico, ben prima della più nota Artemisia Gentileschi.

https://www.treccani.it/enciclopedia/lavinia-fontana_(Dizionario-Biografico)/

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