Una storia vera di violenza sconfitta –

a cura di Erika Keira La Barbera

violenza donne vera

“Che abbia avuto torto o ragione non cambia nulla all’orrore della sua situazione: per tutta la vita non ha fatto che subire, in mezzo a recriminazioni continue gli amplessi coniugali, la maternità, la solitudine, il modo di vivere che il marito le imponeva. […]

non aveva alcuna ragione positiva di far tacere i suoi sentimenti di rivolta e nessun mezzo efficace per esprimerli.”

Simone de Beauvoir apre il mio articolo, il racconto di Maria Vittoria, nome di fantasia ma storia drammaticamente reale.

La sua storia potrà sembrare ai vostri occhi singolare, paurosa.

Maria Vittoria era cresciuta in una famiglia normale, un’infanzia normale, un lavoro normale, uno stile di vita adottato normale. Eppure scelse un amore anormale.

Un uomo dagli occhi castani, alto e possente la rapí da subito.

In un caffè di Milano incroció i suoi occhi per la prima volta e da quella volta divennero gli occhi che incrociava ogni mattina da quattro anni al suo risveglio.
Ma il suo cuore, seppur buono, spesso non riusciva a governare la sua mente.
Tutto ebbe inizio in una sera d’inverno quando le chiese di sposarlo e Maria Vittoria rispose positivamente, ma per il suo uomo quella risposta non fu sufficientemente convinta, veloce, immediata, istintiva.
Così da quella sera iniziarono gli insulti, gli schiaffi, le vessazioni, i rimproveri, le scenate di gelosia.
Giustificó sempre tutti i suoi orrendi comportamenti, ma una sera in particolare cambió ogni cosa: la sera in cui le parole non furono abbastanza.

Le sue mani strinsero la sua gola.
Sentiva il suo fiato sulle sue labbra mentre cercava ancora di sussurrarle con odio parole tremende.
Maria Vittoria pensó che forse quella sera non ce l’avrebbe fatta. Forse gli aveva permesso lei di spingersi fino a quel punto.

Il telefono squillò e fortunatamente fu come una sveglia per lui, lo riportò alla lucidità.

Tolse le mani dalla sua gola e, solita scena, si mise in ginocchio implorandole perdono.

Non avrebbe mai ucciso la donna che amava. Non avrebbe mai fatto del male alla metà del suo cuore.

Già… probabilmente tutto vero.

Ma forse in quel momento non era lui a guidare quelle mani.

E forse, quell’altra parte di sé, la gola di Maria Vittoria l’avrebbe stretta ancora un po’.

Forse l’altra parte di sé avrebbe ucciso la metà del suo cuore.
Andò a lavoro il giorno dopo.

Un attacco di panico violento le bloccò il respiro. Le sembrò di avere di nuovo quelle mani strette al collo.

Corse alla toilette e guardandosi allo specchio, si disse “Ora basta”.

Rintracció un centro antiviolenza e lì inizió un percorso: lungo, faticoso, doloroso e talvolta davvero insopportabile.

Ma si era resa conto che lì avrebbe trovato il supporto giusto per potersi
risollevare.

Stava meglio. Si sentiva libera.
Libera.

Tornando a casa un pomeriggio in cui lui non c’era, preparó la valigia e gli lasció un biglietto.
“Ora basta.”
Scappó via. Scese le scale due a due pur di impiegare meno tempo possibile, proprio come quando corri sulla sabbia rovente per raggiungere il mare.

Lei stava raggiungendo la sua nuova vita.
Ma non sarebbe durato a lungo.
La prima sera lui era all’uscita della palestra; la seconda sera era vicino al portone dell’abitazione di Maria Vittoria; la terza sera era seduto sul cofano della sua auto; la quarta sera era seduto al tavolo accanto al suo nello stesso ristorante.
Provò a bloccarla, a stuprarla, a metterla incinta per avere il suo “desiderato bambino”, a picchiarla per uccidere.
Ha provato di tutto.

Ma non essendo mai stato colto in flagrante non ci fu nessuna punizione per lui.
Denunce, denunce. Ma lui sempre a piede libero.

Tutti le dicevano che gli sembrava strano che un tipo del genere si comportasse così.

Lui era di buona famiglia, non avrebbe mai messo una mano sulla sua donna con violenza.
E quindi venne schiaffeggiata anche dalla società.

Non bastava lo facesse già lui.
Ne parló al centro antiviolenza e ne parló con le sue amiche, e ovviamente mise al corrente anche me che le diedi da subito supporto.

Non ebbi mai alcun dubbio che fosse tutto vero e mi fu naturale porgerle una mano.
Una sera, durante un incontro collettivo di counseling, notai che era più triste rispetto agli altri giorni.

Decisi così di tirare fuori un testo della scrittrice e filosofa Simone de Beauvoir, che da sempre, in maniera eccellente racconta di noi donne.
I suoi occhi li ricordo pieni di lacrime ma anche ricchi di coraggio. Quello sguardo fu intenso e compresi che il desiderio di libertà in Maria Vittoria era oramai incontrollabile.
Uscimmo dalla sala e lui era ancora lì, ancora una volta pronto a disturbarla.
Quella sera però Maria Vittoria non avrebbe accettato un altro comportamento violento. Quella sera lei era diversa.

Rientró in sala e mi chiese aiuto.

Chiamammo i carabinieri che abilmente si nascosero aspettando che lui si muovesse in maniera sbagliata.
Si avvicinò, le diede un ceffone, cadde per terra, coprii il suo viso per non prendere altri colpi, ma stavolta non ebbe il tempo di aggredirla perché i carabinieri intervennero.

Lo portarono via in manette e il suo sguardo ci geló. Ricco di odio e rabbia.
Maria Vittoria era finalmente libera.

Mi abbracció così forte che mi fu possibile sentire il suo battito cardiaco e insieme respirammo forte perché finalmente era finita.

Quella volta aveva calciato lei forte dimostrando tutta la sua forza e convinzione nel voler riconquistare la sua LIBERTÀ.

Ad ogni donna, ad ogni incontro, dedico il mio ascolto e cerco di dare loro la chiave per aprire quella porta.

Non arrendetevi mai. Dite basta! Potete farcela anche voi!