Intervista a Caterina Ferraresi,

autrice de

L’elogio del barista.

Riflessioni semiserie di una psicoterapeuta

sull’inutilità della psicoanalisi

recensione di Cristina Casillo

elogio barista psicoanalisi

 

Ho avuto il piacere di conoscere Caterina Ferraresi,  psicoterapeuta di Bologna che ha pubblicato, con Marco Mazzoli, la raccolta di racconti Il lupo sotto il mantello; con Danilo di Diodoro, Lo gnomo della biblioteca; Naso di cane, grazie ad un articolo pubblicato nella pagina spettacoli del “Il Resto del Carlino” di Bologna.

“La psicoanalisi? La fa il barista”. Questo era il titolo.

L’articolo di Camilla Ghedini comincia così:

“LA DIFFERENZA tra uno psicoanalista e un barista è molto semplice.

Il primo non può dare consigli, anche se vorrebbe. Il secondo dà anche quelli non richiesti e lo fa con una schiettezza e leggerezza da fare invidia a una professionista dell’inconscio”.

La mia curiosità per lo studio della psicoanalisi è sempre stata grande come lo stupore nel constatare che chi, come il barista citato dalla Ferraresi, facendo un lavoro a contatto con il pubblico riesca ad offrire un supporto sicuramente meno appropriato – per mancanza di conoscenza della scienza – ma simile a quello dello psicoterapeuta.

Vendendo bevande dolci e calde come il caffè, al costo di poco più di un euro, offre sorrisi, confidenza e conforto: un effetto placebo che solo l’antidepressivo può eguagliare.

Oggi ho il piacere di intervistare Caterina Ferraresi per il salotto di Cultura al Femminile in merito al suo libro L’elogio del barista.  Riflessioni semiserie di una psicoterapeuta  sull’inutilità della psicoanalisi, edito da Corbaccio nel 2017.

Benvenuta Caterina. Come è nata l’idea di scrivere un libro che fa ironia sulla tua professione di psicoterapeuta?

Grazie dell’ospitalità, Cristina.

Trovo che l’ironia sia una buona chiave per dire cose serie senza appesantirle: è un po’ come quando, da bambini si giocava al “facciamo che io ero …”
In realtà, volevo parlare del mio lavoro in modo serio, ma non serioso, uno dei tanti rischi che corriamo noi “psi”.

Volevo anche raccontare chi è un terapeuta (o più semplicemente chi sono io), le sue fragilità, le sue idiosincrasie, i suoi lati buffi.

Un altro titolo che mi piaceva è “Il terapeuta dal buco della serratura”: volevo consegnarmi con fiducia ai miei pazienti, dire io sono questa, sappiate in che mani vi affidate!

 È vero che con la realizzazione di questo libro ti sei inimicata analisti e psicologi? 

Qualcuno, non tanti quanto avrei voluto!

In realtà,  io non me la prendo con gli psicoterapeuti, ma ne segnalo i possibili rischi: se può far bene, allora può far male.
Uno dei possibili effetti collaterali dell’aspirina è la morte istantanea (verificare nel bugiardino), uno dei possibili effetti collaterali della psicologia è lo psicologismo, cioè la deresponsabilizzazione.

 È una deriva culturale della quale, anche in questi giorni, la cronaca ce ne offre un vasto menù: non so cosa ho fatto, né cosa mi è successo, cosa mi è preso…come se noi fossimo agitati da dentro da qualcosa che non conosciamo.

I traumi? La mamma? Un’infanzia infelice? (un soldino per chi non ha avuto un qualche trauma nell’infanzia).

No no no , questo io non lo avvallo e lo trovo pericolosissimo.

Leggendo il tuo libro una delle tante cose che mi ha colpito è stata quando hai paragonato la sofferenza psichica, sentimentale ed emotiva ad un pallone a due valvole. Da una di queste valvole si può soffiare l’aria dentro ed ingrossare il pallone, dall’altra si può fare uscire l’aria fino a sgonfiare il pallone.
E’ necessario scavare nel passato per risolvere un problema psicologico? Si può andare oltre la propria storia familiare? Il tuo libro invita ad essere noi i diretti responsabili ed artefici per la risoluzione dei problemi?

Sì, è necessario conoscere la propria storia, o saremo destinati a ripeterla. Non necessariamente attraverso un percorso analitico, ci sono tante altre forme di narrazione.

Per me i libri prima di tutto. Devo tanto allo scrittore Yehoshua se ho fatto pace con i sensi di colpa nel rapporto con un figlio.

Ma anche a tanti altri: ho una lista di scrittori che mi hanno “salvato la vita”.
Il rischio della psicoterapia è di rimanerne intrappolati: un bravo terapeuta mi deve aiutare a raccontarmi la mia biografia, sentirne le emozioni, prenderne le distanze e poi lasciare andare la mia storia.

Un bravo terapeuta deve, ad un certo punto, darmi un calcio nel sedere e dirmi “vai”.

Questo è soffiar fuori l’aria.
Ritengo che uno dei più grossi drammi che affligge il nostro vivere quotidiano, sia la mancanza di empatia.

Leggendo il tuo libro, ho scoperto che per motivi di lavoro viaggi spesso in treno.

Alcuni mesi fa mi sono trovata in una situazione che mi ha portato a riflettere a lungo. Il treno sul quale viaggiavo, portava un ritardo di oltre due ore.

Una persona, si era suicidata buttandosi sulle rotaie. Una ragazza seduta vicino a me era piuttosto
seccata, sottolineava il fatto che per suicidarsi non fosse necessario rovinare il fine settimana agli altri facendoli arrivare a casa tre ore dopo il previsto a causa del disagio provocato.

La mia risposta non si è fatta attendere: “Perdonami, ma pensi forse che chi ha intenzione di commettere un gesto simile abbia interesse per il nostro week-end?”.
Silenzio, solo silenzio. Nessuno ha voluto commentare la mia osservazione.
Cosa ne pensi al riguardo? Sei d’accordo con me che a causa della mancanza di empatia tra amici o addirittura familiari, si senta la necessità di ricorrere sempre più spesso alla psicoanalisi?

Sì, siamo abituati a considerarci monadi, invece siamo una comunità.

Il suicidio di una persona mi riguarda, anche se non la conosco. Perché io sono io, più’ tutti quelli che mi sono attorno.

Ho assistito molte volte a scene come quella che mi racconti: è molto triste e anche molto faticoso non poter darci il tempo di pensare, di soffrire. Questo dover essere sempre performanti.

Comincio a pensare che il tempo perso sia quello di maggior valore, il più creativo, il più ricco.

Il buon barista per incrementare i guadagni sviluppa la capacità di essere empatico, molto più velocemente rispetto ad un semplice impiegato e senza rendersene conto.

Anche per questo motivo hai dedicato il libro a lui?

Ho dedicato il libro a lui perché io sono grata della gratuità di certi gesti minimi.

Un sorriso, un caffè servito con gentilezza (purtroppo “l’elogio della gentilezza” l’hanno già scritto!), una bugia leggera su come ti sta bene una certa maglia…

La vita è anche una somma di piccole ferite, e io mi sento sempre un po’ consolata di ogni minima medicazione.

Il mio barista attuale lo è: fa i panini più’ scadenti del mondo ma chiacchiera con me, mi chiede dei miei gatti, commenta e sa star zitto quando leggo il giornale.

Ci vado nella mia pausa pranzo: è la mia mini – terapia settimanale. E vale tutti i panini mollicci
che mi mangio.

Ringrazio Caterina Ferraresi per avermi rilasciato questa intervista ma in particolar modo per aver scritto il libro.

La lettura è sempre piacevole, scorrevole e divertente e apre le porte ad una visione della psicoanalisi che in molti non conoscono.

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