Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini

Voce alla Musica

a cura di Gianna Ferro

barbiere di Siviglia

 Vissuto tra la fine del Settecento e l’inizio del nuovo secolo, Gioacchino Rossini costituisce il passaggio tra le forme dell’opera buffa e dell’opera seria e il melodramma dell’Ottocento.

L’Opera seria si sviluppava in tre atti: le vicende solenni ed eroiche, spesso tratte da libretti di letterati e poeti illustri, lo stile era dotto e solenne, l’Opera era la palestra del bel canto e veniva eseguita nei teatri di corte.

L’Opera buffa era una commedia musicale spesso basata sulla “Commedia dell’arte”: le vicende erano ispirate alla vita quotidiana, i personaggi appartenevano al ceto borghese e veniva eseguita in teatri piccoli e modesti.

 Nel 1824 Hegel scriveva: “Ho sentito il Barbiere di Rossini per la seconda volta. Bisogna dire che il mio gusto deve essersi molto depravato, perché trovo questo Figaro molto più attraente di quello di Mozart.”

È  la migliore testimonianza sul capolavoro rossiniano , da parte di uno dei filosofi più seri di tutti i tempi.

La figura inimitabile del factotum più famoso nella storia della musica  dell’opera “Il Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini era un comico del tutto nuovo per l’epoca. Si basava su intuizioni precedenti dell’opera buffa, ma portate così alle estreme conseguenze in modo dirompente. Il vecchio personaggio settecentesco del servo intrallazzone, Figaro, con Rossini divenne un uragano che travolge tutto ciò che era in scena.

Gioacchino Rossini nacque a Pesaro il 29 febbraio 1792, figlio di un suonatore d’orchestra e di una cantante d’opera. Fu allievo di Stanislao Mattei al Conservatorio di Bologna dove studiò in particolare le opere di Cimarosa, Haydn e Mozart.

Ingegno precocissimo Rossini riuscì già a 18 anni a rappresentare una farsesca “Cambiale di matrimonio”.

Dopo il successo di “Tancredi” e de “L’italiana in Algeri” cominciò un’ascesa inarrestabile. Dal 1816 al 1822 Barbaja, potente e accorto impresario del Teatro San Carlo di Napoli, lo scritturò per infondere nuovo vigore al mondo operistico napoletano in declino.

L’atmosfera che accolse il musicista pesarese a Napoli fu alquanto fredda.

IL “Giornale delle Due Silie” parlò infatti di un “Tal signor Rossini, maestro di cappella che si dice venuto per dare una sua Elisabetta regina d’Inghilterra al Teatro San Carlo, che risuona ancora dei melodici accenni della Medea e della Cora dell’egregio Sign. Mayr”.

Questo genere di accoglienza ad artisti “stranieri” non era una novità: sembra che Paisiello e Zingarelli ne fossero stati i massimi responsabili. Dopo l’ottimo successo di “Elisabetta”, l’attività di Rossini ebbe una pausa.

Capolavoro Rossiniano del genere buffo è “Il Barbiere di Siviglia” (1816). Gli fu commissionato dagli impresari del romano Teatro Valle dietro invito del duca Cesarini, per una rappresentazione al Teatro Argentina. L’audacia di Rossini di voler musicare un soggetto al quale aveva già dato suono l’acclamato Paisiello, costò al musicista di vedersi male accolto il capolavoro la sera della prima rappresentazione il 20 febbraio del 1816.

I paisiellisti romani gli si scagliarono contro, ma fu solo per quella sera. L’opera trionfò nella seconda rappresentazione. Gli eterni personaggi Figaro e Rosina, il Conte d’Almaviva, Bartolo e Don Basilio, cantavano già in Rossini le loro arie, già occupavano tutta la fantasia del creatore prima che egli ne avesse fatto la personale conoscenza.

Tra quei personaggi che erano stati familiari a Beaumarchais, come a Molière e a Plauto, intenti a giocare quel ruolo di servo astuto che puntava sull’avvenire dell’amore contro il presente degli interessi anche se potenti, Rossini fu subito a suo agio si riconobbe in essi.

Di qui la semplicità con cui il compositore fece suo il mondo dell’antica commedia e ne aprì le porte alla goliardia, al riso, al motto scherzoso.

Seppe rendere brillante l’orchestra, ravvivando i colori strumentali e accentuando le dinamiche con il celebre uso del crescendo, denominato appunto “crescendo rossiniano”.    Inoltre, regolò il cosiddetto “bel canto”, sino ad allora lasciato al gusto degli interpreti, e fu imposto alle voci un inedito virtuosismo. L’espressione musicale acquistò così un effetto fortemente teatrale, dall’impatto quasi fisico, che fu storicamente unico e innovativo.

La “Vita di Rossini” scritta da Stendhal suo principale biografo, quando il compositore aveva solo trentadue anni, ci dà la misura del livello di grandezza raggiunta dal musicista.

Il libretto del “Barbiere di Siviglia”, di Cesare Sterbini, è tratto dalla commedia in quattro atti di Pierre Augustin Caron de Beaumarchais, rappresentata per la prima volta nel 1775.

La scelta dell’argomento fu operata dallo stesso Rossini. Il musicista pesarese aveva firmato un contratto con il duca Francesco Sforza Cesarini per un’opera da rappresentarsi nel 1816 al Teatro Argentina di Roma.

Il testo venne considerato di buona fattura, soprattutto per i versi e il linguaggio; non sempre limpidissimo, invece, risultava lo sviluppo dell’azione. Si accentuarono gli elementi comici della vicenda, trasformandoli di fatto in una farsa di chiara impronta napoletana. Vennnero meno gli elementi di carattere sociale fortemente polemici, presenti nell’originale francese, che ben rappresentavano i fermenti e gli scontri della società dell’epoca.

La trama

Il Conte d’Almaviva corteggia la bella Rosina e si propone come suo pretendente ma il dottor Bartolo, tutore della ragazza, vuole impedire il fidanzamento per continuare ad amministrare il patrimonio della giovane. Il dottor Bartolo si è trasferito da Madrid a Siviglia per sottrarre la ricca pupilla Rosina alle attenzioni del giovane Conte Almaviva. Figaro, barbiere e tuttofare della città, consiglia al Conte di spacciarsi per un soldato ubriacone sotto il falso nome di Lindoro per riuscire a vedere e a parlare con Rosina. Intanto Bartolo propone a Rosina di sposarlo, ma il Conte, con l’aiuto di Figaro, riesce ad introdursi in casa;  Rosina non ha riconosciuto il Conte ed è convinta di essersi innamorata di Lindoro, a cui ha scritto una lettera che affida a Figaro, sperando che questi la sottragga alla custodia del tutore.

Rosina rifiuta di sposare Bartolo, questi sospettando che lei sia in contatto con il Conte, decide di segregarla fino a quando non sarà riuscito a sposarla.
Il Conte d’Almaviva decide di usare un nuovo travestimento per farsi nuovamente accettare in casa da Don Bartolo e si presenta come Don Alonso, un finto insegnante di musica per dar lezioni a Rosina.

Durante la lezione arriva Figaro, che insiste per radere immediatamente Bartolo  che riesce a sottrargli la chiave del balcone, per poter fuggire. Quando arriva Basilio per la vera lezione di piano, Figaro e Almaviva riescono a liberarsene, ma mentre Almaviva cerca di spiegare la situazione a Rosina viene sorpreso da Bartolo che lo scaccia in malo modo.

La farsa viene smascherata, così Rosina si convince a sposare il suo anziano tutore. Scoppia un temporale e Figaro introduce in casa il conte, che si presenta come Conte Almaviva e chiarisce con Rosina che la vuole sposare.  I tre si preparano a fuggire dal balcone e quando Basilio arriva col notaio scoprono che la scala sotto il balcone è scomparsa rendendo impossibile la fuga preparata da Figaro ed il Conte.

La scala è stata tolta da Bartolo. Il fantasioso Figaro convince il notaio che il matrimonio per il quale è stato chiamato è quello di Rosina con Almaviva e quando arriva Bartolo il matrimonio è già stato sottoscritto.
Quando Almaviva dice al tutore di Rosina di rinunciare alla sua dote il dottor Bartolo è felice anche lui e benedice gli sposi.

ASCOLTO 

  Figaro non è più un servo settecentesco, ma un artigiano indipendente, oltre che abile sensale, conscio del proprio ruolo e del proprio valore.

  Rosina assume le vesti di una ragazza già matura e consapevole dei propri diritti.

  Don Bartolo non è solo il vecchio tutore, ma un avido borghese di mentalità antiquata, bisbetico, senza scrupoli e tutt’altro che sciocco.

 Ampiamente rappresentato nel Barbiere di Siviglia lo spirito della nuova borghesia che andava sostituendosi al vecchio mondo aristocratico, dopo la Rivoluzione Francese.

Fra le opere di Gioacchino Rossini che ebbero il maggior successo e che ancora vengono rappresentate ricordiamo:  “La gazza ladra” (1817), “La Cenerentola” (1817), “Semiramide”(1923) ed il “Guglielmo Tell”, rappresentato a Parigi il 3 agosto 1829 con il titolo di “Guillaume Tell” che fu l’ultima sua opera.

Rossini, a 37 anni, all’apice del successo quale compositore di opera lirica, smise di scrivere musica “profana” dedicandosi allo “Stabat Mater” scritto fra il 1832 e il 1839 nella pace della campagna parigina di Passy dove morì nel 1868.

“Aspettate fino alla sera prima del giorno fissato per la rappresentazione. Nessuna cosa eccita più l’estro come la necessità, la presenza d’un copista, che aspetta il vostro lavoro e la ressa d’un impresario in angustie, che si strappa a ciocche i capelli. A tempo mio in Italia tutti gli impresari erano calvi a trent’anni.“ ….citazione di Gioacchino Rossini

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