FEDE GALIZIA, la MIRABILE PITTORESSA

a cura di Paola Treu

 

 

Con Fede Galizia prosegue il mio lavoro di approfondimento di quelle figure femminili che lasciarono un segno nella storia dell’arte in Italia tra i secoli XVI e XVII, raggiungendo fama e successo.

Fede Galizia (1578? – 1630), artista di spicco della pittura italiana del primo Seicento. Di origine trentina, la data di nascita non si conosce con certezza, forse il 1574 o molto più probabilmente il 1578. Documentata con certezza a Milano dal 1587, vive nella città lombarda fino al 1630, anno della morte, vittima presumibilmente della grande peste, di manzoniana memoria.

Figlia d’arte dell’eclettico padre Nunzio, impegnato nella realizzazione di miniature, di costumi, di accessori e di cartografie.
Si forma nella bottega paterna fin da giovanissima e ben presto acquisisce uno stile personale influenzato dal Manierismo emiliano-lombardo (Correggio, Parmigianino, Lotto e Moroni).

Conduce una vita assai riservata, povera di eventi degni di nota, nubile, dedicata interamente all’arte. Riesce a inserirsi nella scena milanese grazie a un’abile politica di relazioni e conoscenze.

Come già Elisabetta Sirani, Fede (nome programmatico nell’Europa della Controriforma) firma le sue opere e si impegna a fondo nella promozione del suo lavoro e della sua carriera, conquistando una vasta e duratura fama, al punto che i suoi dipinti arrivano in alcune delle più importanti collezioni europee, come quella dei Savoia e dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo (per quest’ultimo fondamentale è la segnalazione di un altro noto pittore, Giuseppe Arcimboldo).

A conferma di questo straordinario successo sono le numerose testimonianze letterarie, in prosa e in versi, che ne celebrano le doti:

“Tanto dunque può stile di mano feminile, che forma colorita non sol per essa al natural somiglia, ma vince, mentre imita? Ah, non sia meraviglia. Natura, autrice d’ogni cosa bella, pur è femina anch’ella.”

Così il poeta Giovan Battista Marino in Galeria (1619), che quasi sicuramente si rivolge a lei nel madrigale dedicato ai Frutti di mano d’una Donna.

A lungo la critica, soprattutto italiana, ha dato particolare rilevanza all’attività di Fede Galizia come pittrice di nature morte, di cui è, assieme a Giovanna Garzoni, la più valente interprete in Italia (dopo Caravaggio), nel solco della tradizione artistica fiamminga, precorrendo tutti i tempi.

Quello della natura morta è infatti un’assoluta novità come genere autonomo, che sarà molto richiesto in Europa dalla committenza privata dei ricchi borghesi.

Non è più la figura umana al centro del quadro, ma l’oggetto attraverso il quale si vogliono rappresentare la propria anima e i propri sentimenti.

Introdotto a Milano nell’ultimo decennio del Cinquecento da Ambrogio Figino, pittore di tradizione leonardesca, è però la Canestra di frutta di Caravaggio (la Fiscella,1559 ca.) a fare da molla ispiratrice che spinge Fede Galizia verso la natura morta, misurandosi tra temi e variazioni, inventando diverse composizioni, che formano i due terzi del suo catalogo oggi conosciuto.

Pur rinunciando ai raffinati virtuosismi dei pittori nordici e assecondando la severità e la sobrietà imposte dalla Controriforma, le sue opere non mancano di perizia tecnica, in cui maggiore è l’indagine luministica e compare sempre un fiorellino semi avvizzito, che altri artisti copieranno.

La materia diventa più densa e i tocchi di pennello più rapidi, e con perizia scenografica fa emergere gli oggetti dal buio alla luce, fedele alla rappresentazione realistica del visibile.

Una poetica dell’essenziale, quella di Fede Galizia, in cui i fiori e i frutti sono trattati con gusto geometrico, sull’orlo della marcescenza, sfiorati da insetti, con l’intento metaforico di esprimere il concetto della vanitas, vale a dire la riflessione sulla bellezza destinata a sfiorire e sulla caducità della vita.
Fede Galizia
Il dipinto firmato Alzata con prugne, pere e una rosa, datato 1602, è uno dei primi autentici esempi di natura morta di Fede Galizia che coglie le caratteristiche principali di questo genere.

È una scena sobria, in cui l’alzata centrale contiene delle prugne dal colore spento, mentre una rosa è colta nel momento in cui la corolla è al massimo della sua apertura, un attimo prima che i petali comincino a cadere inesorabili.

L’immagine ferma il tempo sulla bellezza al suo culmine, sul suo simbolo più comune, appena prima che sfiorisca. C’è il senso della vita che passa e della morte che avanza.

Sebbene non sia il soggetto preminente nella produzione di Fede Galizia, è su questo che per lungo tempo si è focalizzata l’attenzione degli studiosi. In realtà, si dedica soprattutto alla realizzazione di ritratti, di soggetti religiosi e di pale d’altare.

In particolare, nel ritratto risalta un certo naturalismo nella forte caratterizzazione fisiognomica. Dei ritratti eseguiti, tra cui quelli di suo padre, di sua madre e di due nobildonne milanesi (purtroppo andati tutti perduti), e di molti personaggi pubblici, il più celebre è il Ritratto di Paolo Morigia seduto al suo scrittoio (1592 – ’95), conservato alla Pinacoteca Ambrosiana.

Scrittore, storico, gesuato e primo patrono e sostenitore della pittrice fuori Milano. Il ritratto, espressivo e schiettamente realista, mette in risalto il lavoro intellettuale: libri, fogli, penna, calamaio e lenti, che riflettono il mondo intorno, alla maniera fiamminga.
Straordinaria, infatti, è la precisa e dettagliata attenzione al particolare delle finestre riflesse sugli occhiali che lo studioso tiene in mano.

Fede Galizia

Fede Galizia è la prima pittrice, ben prima di Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi, ad affrontare il soggetto di Giuditta e Oloferne.

La storia di Giuditta ha sempre goduto di molta fortuna nell’arte occidentale. Nel 1596 realizza la sua prima, di una lunga serie, Giuditta e Oloferne e la serva Abra (conservata al Ringling Museum of Art di Sarasota, USA), in cui si suppone si sia autoritratta.

Più che sul momento drammatico dell’azione, cioè l’atto cruento della decollazione, preferisce il termine del racconto, cioè quando l’eroina biblica esce dalla tenda porgendo il capo reciso del generale all’ancella che lo raccoglie in un bacile.

D’altronde, Caravaggio deve ancora realizzare la sua versione del tema, che sarà presa a modello dagli artisti successivi.

Per qualità e invenzione si tratta di un capolavoro della produzione di Fede Galizia, in cui indugia, con grazia tutta femminile, sulla perfetta resa delle
sontuose vesti e dei preziosi gioielli (sulla scia di quanto già fatto da Paolo Veronese in Veneto), trattati con una cura meticolosa; infatti, la testa di Oloferne è posta in ombra, mentre Giuditta risplende nel suo lussuoso abito, con compostezza e il cui volto non rivela alcuna emozione, piuttosto una sorta di rapimento estatico per il compimento della volontà divina.

Solo l’anziana fantesca tradisce il suo turbamento, con il gesto del dito sulla bocca. Anche in questo caso sorprendono i mirabili effetti ottici sul coltello di Giuditta, sul quale l’artista scrive a pennello il proprio nome e la data.
Realizza più copie dell’eroina biblica, variando leggermente i dettagli degli abiti o delle sofisticate capigliature, che ricordano la sua maestria di miniaturista appresa nella bottega del padre.

Fatto raro per le artiste del tempo, Fede Galizia si impegna anche nell’esecuzione di pale d’altare, prerogativa in questi anni tutta maschile.

Fede Galizia

Tra le opere di produzione sacra fa da protagonista il Noli me tangere (1616, Pinacoteca di Brera). Destinata alla chiesa di Santa Maria Maddalena al Paradiso nel centro di Milano, posta sull’altare maggiore, è una delle più grandi pale realizzate dalle pittrici.
Ammiratissima dai viaggiatori e dagli eruditi, di cui ne apprezzano in particolare la capacità di resa minuziosa dei dettagli, come i fiori in primo piano e gli animali nascosti nel paesaggio. I gesti misurati e la preziosità degli abiti, il sentimento delicato dei protagonisti sacri, interpretati secondo la sensibilità dell’epoca, rimandano la fama di Fede Galizia nella Milano della Controriforma a cavallo fra Cinque e Seicento.

Fede Galizia ha goduto di grandi riconoscimenti e gli studi degli ultimi anni le rendono finalmente giustizia, grazie alla visione completa del suo lavoro, restituendo la poetica di una versatile e complessa artista.