“Verdi’s Mood. Quando il jazz incontra l’opera”

di Chiara Minutillo

Opera jazz. La prima volta che ho sentito questa espressione è stato in occasione della Festa dell’Opera, che si tiene nella mia città ogni anno. Nello specifico, quella sera, in una delle piazze, una band avrebbe eseguito brani operistici accompagnati da musica jazz. Un connubio strano, particolare, tra due generi apparentemente così distanti l’uno dall’altro.

Opera e jazz sono due grandi generi musicali, spesso considerati di nicchia, adatti a un certo tipo di pubblico. Tuttavia, anche così l’opera lirica viene ancora giudicata come genere d’élite, seguito per etichetta e prestigio, più che per piacere. Viene vista come musica lontana da noi, musica antica, troppo vecchia per far parte del mondo moderno. D’altro canto, il jazz è tutt’ora collegato all’espressione artistica di una minoranza razziale.

La verità è che, per quanto sembrino agli antipodi, opera e jazz possono convivere. Pensiamo alle loro origini.

Nel 1500 si ebbe la prima rappresentazione teatrale simile a una moderna opera lirica. Tuttavia, la nascita vera e propria dell’opera risale a un periodo ben più recente. Si parla della seconda metà del 1700, il secolo di Wolfgang Amadeus Mozart. Dobbiamo attendere ancora qualche anno, però, per vedere lo sviluppo pieno di questo genere musicale. È solo nel 1800, grazie soprattutto ai compositori italiani, che l’opera lirica si sviluppa e si diffonde.

Pensiamo a questi tre secoli:

– 1500: il Medioevo è da poco terminato. L’Europa cerca di rinascere da secoli di oscurità tanto culturale quanto religiosa.
– 1700: la prima opera teatrale di Mozart andò in scena nel 1767, esattamente 4 anni dopo la fine della guerra dei sette anni tra Gran Bretagna, Prussia, Francia, Austria, Russia e Spagna.
– 1800: un secolo illuminante dal punto di vista scientifico e medico, ma ancora pervaso da una nube oscura, fatta di insurrezioni e rivoluzioni tanto in Europa come in Sud America.

La musica può rendere gli uomini liberi.
(Bob Marley)

Il jazz ha un’origine di poco più recente, risalente ai primi anni del 1900. Se con l’opera lirica è forse più difficile vedere la voglia di rinascita veicolata nell’invenzione di un nuovo genere musicale, con il jazz è molto più semplice cogliere questo dettaglio.

Il jazz nasce proprio così, dalla voglia di unire e di vivere, dalla nostalgia e dal bisogno di ricevere conforto, di avere una speranza. Sono gli schiavi afroamericani a sviluppare questo genere musicale. Il jazz nacque dapprima come musica vocale, eseguita nelle piantagioni americane da persone, unite dal destino, che intrecciavano le loro voci, improvvisando canti. Si sviluppò ulteriormente in seguito, con le jam session e le jazz band, nella città che ancora oggi è considerata patria del jazz, New Orleans.

Cos’è il Jazz? Amico, se lo devi chiedere, non lo saprai mai.
(Louis Armstrong)

Opera e jazz risultano, quindi, avere una base comune, che riguarda la loro origine. Per quanto discostino una dall’altro in termini tecnici e tematici, non si dovrebbe considerare poi così strana la loro unione.

Del resto, il jazz non è certo il primo genere a inglobare la lirica. Una veloce ricerca in internet ci permetterebbe di scovare gruppi, cantanti, singoli brani o addirittura spettacoli teatrali appartenenti ai generi pop opera, opera rock o symphonic metal. La peculiarità di questi generi è avere gruppi rappresentati da voci liriche o, ancora, di sfruttare la struttura tipica di un’opera per la composizione.

In questo senso l’opera jazz si distingue. Nella maggior parte di casi, infatti, si tratta di arie classiche dell’opera, rivisitate in chiave jazz. Non sono pochi gli artisti che si sono cimentati in questo compito non semplice.

Una cantante e compositrice che è riuscita in tale impresa, riscuotendo successo, è l’italiana Cinzia Tedesco.

Cresciuta a suon di Steve Wonder e Aretha Franklin, il primo vero incontro con il jazz, sul palco, avviene per Cinzia Tedesco a Roma, in seguito alla laurea. Un’occhiata alla sua discografia permette di vedere la collaborazione con grandi jazzisti, come Pietro Iodice.

Risale al 2016 l’album che la consacra all’opera jazz. Verdi’s Mood, questo il titolo del disco. Serve un attimo per adattarsi a questo genere, particolare, ma pieno di creatività, come, del resto, deve essere nel jazz. In questo album, la voce di Cinzia Tedesco passa da un’aria all’altra, attraversando momenti salienti delle opere verdiane più conosciute, come Rigoletto, La Traviata, Aida e Nabucco.

jazz

È interessante ascoltarne l’interpretazione che esula dalla loro natura, eppure le rende vive. Voce e musica riescono a fondersi con testi che parlano di un’altra epoca, di altri mondi. Diventano un tutt’uno, provocando emozioni che si discostano da quelle provate ascoltando gli originali. Eppure ne sono una sfumatura. Si percepisce l’allegra briosità di “La donna è mobile” è l’amore disperato implorato da Violetta in “Amami Alfredo”. Commuovono la speranza e la nostalgia degli ebrei imprigionati a Babilonia che intonano il “Va, pensiero”. Quest’ultimo, in particolare, colpisce con una forza dirompente. Da sempre è l’aria più conosciuta e amata. Cantata in coro, ha il potere di togliere il respiro all’ascoltatore. Nell’interpretazione di Cinzia Tedesco, la voce è solo la sua. Tuttavia, appare tanto limpida e suggestiva, da intrappolare nell’ascolto, incantando e coinvolgendo.

La musica è la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che ascolta.
(Kahlil Gibran)

Verdi’s mood è un album che tiene fede al suo titolo. Ascoltando le nove tracce in esso contenute, ci addentriamo nelle atmosfere delle opere di Verdi. Ci emozionano, influenzando il nostro stato d’animo, il nostro umore. E, come tutta la buona musica, ci permettono di apprezzare l’innovazione e la fusione di ciò che non pensavamo potesse convivere in perfetta armonia.