“Punta di cuore” di Gabriella Raimondi

In una vetrina inondata dal sole me ne stavo in una scatola trasparente insieme alle mie vergini sorelle: belle, bianche e lunghe matite.

Un giorno un giovane studente scelse me. Mi comprò. Mi dispiacque dover lasciare sole le mie sorelle, ma fui costretta.

Il ragazzo, fin da quel giorno, mi fece girare la testa. Fu il primo. Mi teneva fra le mani e mi roteava. Lui era un’artista, e insieme disegnammo e creammo bellissimi ritratti. Mi temperava con amore, ed io mi rigeneravo. Guardavo i miei pezzi smerlati finire nel posacenere, ma ero felice.

Un giorno, a scuola, litigò con un compagno e rotolai fuori dal suo zaino. Mi raccolse un ragazzo svogliato, maleducato che mi masticava e mi sputava, rovinando la mia forma elegante. Scarabocchiava sui fogli ruvidi facendomi venire il mal di testa e, ancor di più, la spingeva forte sul banco facendomela letteralmente saltare.

Decisi di fuggire da lui, di salvarmi. Rotolai sotto il banco e lui non mi trovò.

Fu la scopa di una bidella a trovarmi. Venni raccolta dalla paletta e portata a casa della donna. Riposai sopra una mensola. Ero senza testa.

Piacqui al marito ubriacone che, rozzamente, mi scorticò con un coltellino. La mia testa ricomparve, ma era piena di bozzoli e divenni triste.

L’uomo mi conservò nella tasca puzzolente e cominciò a portarmi all’osteria. Le sue mani, unte di grasso e vino, scivolavano su di me, facendo spegnere il mio candido colore.

Finalmente, una sera mi dimenticò sul tavolo. Anche se quel posto non mi piaceva, ero contenta.

L’oste mi raccolse. Mi mise a riposare dentro un cassetto insieme ad altri oggetti sconosciuti. Rimasi ferma e al buio. Vedevo la luce solo quando lui apriva il cassetto e mi usava per segnare i conti. Imparai tanti numeri e tanti nomi.

Spesso mi lasciava sul bancone a sobbalzare tra brocche di vino e birra, e più di una volta mi ritrovai a dover schiacciare tabacco dentro una pipa.

Il mio corpo s’impregnò di ogni odore.

Un giorno, una ragazza che mi chiese in prestito. Passai tra le sue mani gentili che profumavano di buono. Mi usò.

Lei prendeva appuntamenti e, scriveva in un’agenda rossa, orari e numeri di telefono. Spesso mi nascondeva tra i capelli. Erano morbidi e odoravano di cannella.

La mia testa veniva temperata troppo spesso, e la mia figura longilinea presto diventò piccola.
In breve tempo non fui più in grado né di segnare i suoi incontri, né di reggere i suoi lunghi capelli rossi.

Con disprezzo mi gettò via. Rotolai per terra.

Molta gente mi prese a calci e presto finii fuori dal locale.
Rimasi per giorni dentro una pozzanghera fangosa, poi la pioggia mi trascinò dentro un tombino.

Libera, galleggiai… fino a raggiungere il mare.