“Storie di un tempo breve (anzi brevissimo) di Anna Fresu
Recensione di Elvira Rossi
“Storie di un tempo breve (anzi brevissimo)” rompendo ogni barriera apre le porte a un mondo senza confini e ogni storia si fa simbolo di una umanità dolente.
“Qualcuno ha tagliato il mondo, ha negato lo sguardo, il gesto; ha spento i canti, le risa. Tutto è uguale a sé stesso, terribilmente vuoto, deserto.
Finito per sempre.
Il dolore incontra la gratuità della vita che impone un prezzo alto per una bellezza diffusa a caso e non di rado da scoprire dietro forme poco appariscenti.
Dalle pagine di “Storie di un tempo breve (anzi brevissimo)” si evince che Il male, il più crudele, il più difficile da estirpare deriva dalla inettitudine dell’uomo che per sentirsi potente restringe lo sguardo al proprio spazio e non si accorge di una vastità a cui fa mancare la propria anima.
Il ritmo veloce della vita chiede che l’esuberanza dei suoni sia messa da parte e che le parole non siano sprecate nella vacuità di un parlottio profano.
La narrazione del frammento suppone una ricerca di una essenzialità che volge lo sguardo oltre le apparenze, scruta in profondità, coglie il valore dell’inedito.
Stralci di vita dilatano lo spazio e il tempo lasciando intravedere il non detto.
La brevità potenzia ed esalta l’energia comunicativa della parola.
La sintesi non rimpicciolisce la realtà, anzi la ingigantisce mettendo a fuoco dettagli che diventano il centro della narrazione.
L’autrice non bacchetta, non distribuisce rimproveri, non esprime giudizi, lascia che a parlare siano spaccati della realtà vista con lo sguardo di chi è avvezzo a camminare accanto all’altro, condividendone gioie e dolori.
A muovere la scrittura di Anna Fresu non è una volontà di denuncia, tuttavia i testi aprono degli squarci rivelatori di un malessere esistenziale a tratti interrotto da gesti che lasciano intravedere la strada percorribile di una umanità solidale.
Il racconto diventa immagine e con sapiente discrezione induce al dubbio e alla riflessione.
I dipinti in un gioco di ombre e luce tratteggiano le disarmonie di una esistenza scandita da un accordo precario e imperfetto.
L’autrice in un intreccio di note tra realtà e poesia scolpisce paesaggi di cui si avvertono suoni e profumi.
“Storie di un tempo breve (anzi brevissimo)” si configura come viaggio che diramandosi in tutte le direzioni esplora l’animo umano e porta alla luce la comunanza di un destino connotato da un bisogno insoddisfatto di amore.
La scrittrice non sentenzia sul tragitto da compiere, semina degli indizi che il lettore potrà seguire scegliendo con libertà la propria meta.
Anna Fresu fa del mondo intero la propria patria e ci invita a viaggiare da un Continente all’altro.
Dei popoli lontani coglie il fascino dei colori e delle differenze, esprime vicinanza ai perseguitati e agli oppressi, con naturalezza s’immedesima negli altri, ne coglie i tormenti e le gioie.
Per l’autrice non esistono muri e separazioni e nelle parole prive di retorica sentiamo viva la solidarietà per gli invisibili a qualunque latitudine appartengano.
E sulla compassione prevale la nostalgia per l’assenza di fratellanza, che dovrebbe stringere gli uomini in un unico abbraccio.
“Non guardò le loro divise. Per lei quei corpi offesi e abbandonati erano tutti uguali. Tutti avevano il volto di suo figlio, cercò qualcosa per scavare una fossa, usò le sue mani.”
Nella narrazione viene esaltato il valore delle piccole cose che possono colorare vite sbiadite dal dolore.
Il dettaglio diventa annuncio di un umanesimo che vorrebbe aprirsi un varco e diradare la nebbia da uno sguardo miope e da un orecchio sordo.
Il suono di un sax, un fiore che in un momento di tristezza si posa sul davanzale, una rosa in una vecchia latta, una rosa bianca che misteriosamente compare tra gli stracci di una vecchia mendicante sono scintille di struggente bellezza che donano un respiro a chi stremato dalla vita rischia di cedere alla sfiducia.
La rosa, che ritorna in diversi racconti, convive con lo squallore e la miseria, quasi a sottolineare che bellezza e bruttezza non si contrappongono. Niente è assoluto, tutto è relativo.
La realtà muta attraverso la nostra percezione.
In una molteplicità di temi, infanzia e vecchiaia aprono e chiudono il mistero della vita.
Il benessere è ingannevole e lo sfolgorio della ricchezza non esclude la solitudine, che non risparmia neppure i bambini.
“La bambina entrò in quella barca, senza portarsi nulla, e se ne andò lontano. Felice.
La stanza ora era vuota ma ci volle un po’ di tempo prima che qualcuno se ne accorgesse.”
Uno dei temi più frequentati è l’infanzia violata e qui il linguaggio, pur restando fedele a uno stile di sobrietà, ci trasmette lo strazio che accompagna le ferite inflitte a bambini dimenticati, rapiti, profanati, resi inermi dall’abbandono o anestetizzati da rapporti biecamente affettivi.
“Il mio papà non mi guarda mai e quando mi avvicino per dargli un bacio, gira la faccia e diventa rosso.
Magari potessi dormire sotto le stelle e con la luna grande sempre illuminata.”
I vecchi, ignorati ed emarginati dalla letteratura, trovano il loro spazio rivendicando il diritto di esistere.
L’anziano è libero, non subisce la tirannia del tempo, si proietta nel presente. La sovrabbondanza dei ricordi attenua il loro peso e l’ansia del futuro tende a spegnersi.
“Ora è finito il tempo dell’attesa. Una lacrima scivola a confondersi con un sorriso sopra le sue labbra.
Spenta la luna e il fuoco dentro casa, la vecchia, con la fronte sulla mano, chiude la vita in una ombra serena.”
La seconda parte del libro è costituita da “storie mignon” che sarebbe sbagliato leggere “in un tempo breve”.
Occorre fermarsi per prolungare il tempo e riscrivere nel silenzio della mente le storie suggerite dalla intensità di pensieri, accomunati da un sentimento di sottile malinconia.
L’ultimo testo di carattere autobiografico conferma la complessità del temperamento dell’autrice che si muove tra due poli.
La sua anima irrequieta, mentre aspira alla calma, guarda a nuovi orizzonti da scoprire.
“Ficu murìsca e goyaba, mirto e la papaya, vino buono e acajù abitano in una casa interiore simboleggiata da una valigia piena di ricordi e pronta a nuove esplorazioni.
“La mia casa è racchiusa in una valigia, la porto sempre con me ovunque vada. Ha pareti che cambiano, che si dilatano, si restringono. La mia casa ha lo stesso nome in molte lingue.
La narrativa del frammento è il riflesso di una società che mentre tende alla globalizzazione si scopre disorientata, strattonata da interessi che accentuando gli antagonismi la spezzettano e la disgregano.
“Storie di un tempo breve (anzi brevissimo)” sono microcosmi che emozionano, scuotono le coscienze di una umanità offesa dalla incapacità di arginare la disumana indifferenza.
“In questa barca troppo piccola, troppo piena. E le onde non più gentili. Che ci scuotono, ci sommergono. Afferro il vestito bagnato della mamma.
Sono così piccolo. E mamma è muta. Nella voce. Nel volto.”
Titolo: Storie di un tempo breve (anzi, brevissimo)
Autore: Anna Fresu
Editore: Macabor
Sinossi:
La brevità e la ricerca di essenzialità sono del nostro tempo che fugge; delle comunicazioni sempre più rapide e stringate, della concentrazione necessaria per afferrare un messaggio o una storia velocemente. Tempo di instagram, facebook; tempo breve, tempo da non perdere. Niente, o rarissime, descrizioni, lungaggini, psicologismi, queste sono le caratteristiche dei racconti di Anna Fresu. Si entra subito nel vivo della storia con l’obbiettivo di colpire direttamente al cuore del lettore. E bisogna ammettere che l’autrice riesce a farlo in modo ammirevole.
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