Quel che affidiamo al vento – di Laura Imai Messina

recensione di Giovanna Pandolfelli

vento

 

Quel che affidiamo al vento è il libro di Laura Imai Messina uscito agli inizi del 2020 per edizioni Piemme.

Esiste un luogo in Giappone, uno spazio fisico e metaforico, dove è possibile realizzare un sogno, basta crederci.

Un telefono scollegato, parola quanto mai temuta in tempi di social networks, che spaventa in un’epoca di dipendenza da collegamenti virtuali. Eppure quell’apparecchio senza connessione possiede un potere che supera quello tecnologico, razionale, fisico.

È in collegamento con il vento, elemento chiave del romanzo, vero suo protagonista impalpabile, invisibile ma che permette di trasportare le voci fino all’aldilà.

Il Vento era il soffio di Dio […] E mentre entrambi giungevano i palmi piegando la testa, Shio pensò che no, il vento non era il soffio di Dio. Il Vento era Dio.

Il telefono del vento è un butsudan collettivo, un altare laico dove le persone lacerate di incontrano e si riconoscono nel proprio dolore.

Il pellegrinaggio verso questo luogo sacro rappresenta il viaggio dentro il dolore, che da individuale si fa collettivo, il passo faticoso e necessario per rammendare l’anima del singolo e della comunità ferita.
Questo è un romanzo che parla di vita e di morte, di un mare che offre e riprende, generoso e crudele, che si ama e si odia al tempo stesso.

Lo dicevano in tanto: prima lo si odiava e poi si riprendeva ad amarlo, con quel sentimento straziante che si dedica ai figli assassini che, nonostante tutto, non si riuscirà mai a ripudiare.

E parla anche di ombre, quelle strappate ai vivi dallo tsunami del 2011: chi ha perso i genitori, chi i figli, fratelli e sorelle, chi amici, tutti però in quel disastro avevano perso la propria ombra e per continuare a vivere avevano urgenza di ricucirsela addosso, di suturare quello strappo doloroso.

Non avrebbe saputo concretamente come spiegarlo, ma c’era un minuscolo angolo buio sulla sua faccia, lo stesso che aveva Yui addosso, dove non lo sapeva. Era uno spazio in cui chi sopravviveva, rinunciava a ogni emozione, anche alla gioia, pur di non dover subire il dolore degli altri.

Chi di noi, anche nell’Occidente laico, lontano dall’eco della spiritualità del Sol Levante, chi di noi, dicevo, pur non credente, senza appellarsi ad alcun dio specifico, non ha sentito l’esigenza di fronte ad un lutto di creare un piccolo altare rudimentale, casalingo, in un angolo di un comò, o di una credenza, o della propria mente.

Uno spazio in cui tornare di tanto in tanto per non perdere il filo della memoria emotiva.

Di chi non si sa nulla, non c’è niente da dire.
Di chi non si sa nulla, nulla più importa.

Il quel luogo di confino Yui scoprì d’aver imparato un’altra cosa importante, ovvero che un uomo bastava tacerlo per eliminarlo per sempre. Per questo serviva ricordare le storie, parlare con le persone, parlare delle persone. Ascoltare le persone parlare di altre persone. Anche dialogare con imorti, se fosse servito.

Il bisogno di ricordare chi scompare ci confronta con l’oblio non tanto della persona, ma del dolore che ci portiamo dentro, con cui impariamo a convivere e al quale rischiamo di abituarci pur senza aver ricucito quell’ombra strappata. Il telefono del vento ha questo potere ed in più la forza della
collettività, una mèta di chi condivide esattamente la stessa lacerazione.

Yui pensò allora che la cornetta, più che incanalare e guidare le voci verso un solo orecchio, avesse il compito di diffonderle in aria. […] La morte, lì, sembrava una bellissima cosa.

Così si acquisisce una familiarità con la morte che diventa parte della vita e non più separazione. In particolare Laura Imai Messina si sofferma sulla perdita di un figlio. La perdita più innaturale, la morte più irrazionale.

Si rimane genitori anche quando i figli non ci sono più.

Una sinergia magica, quella dell’autrice che crea un ponte tra Italia e Giappone grazie alla sua profonda conoscenza della cultura nipponica e all’amore per quest’ultima, come traspare dalle sue pagine.

Tanto ne è impregnata la sua lingua che a tratti sembra trasudare giapponese.

Ne riconosco il profumo, di quella lingua ibrida, la lingua del cuore e del nostro vissuto, costretta a frugare nei meandri dell’infanzia per ritrovare le parole, i suoni perduti, per farli sembrare quelli che ormai non sono e non saranno più, andando così a contribuire a modificare quel canone letterario, tanto caro ai letterati italiani.
Una lingua dunque misurata, a tratti guizzante di immagini nuove, frutto di una vita trascorsa tra l’immersione in una cultura altra e il saldo ancoraggio alle proprie radici. Una lingua che si fa luogo privato per curare la memoria personale e universale.

In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.

Il telefono del vento esiste realmente.

A questo indirizzo è possibile consultare il calendario delle attività e fare donazioni a beneficio delle persone che vi abitano e se ne occupano:

http://bell- gardia.jp/about_en

Link d’acquisto

https://www.amazon.it/Quel-che-affidiamo-al-vento/dp/8856674637

Sinossi

Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato Bell Gardia.

In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento.

Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell’aldilà.
Quando su quella zona si abbatte un uragano di immane violenza, da lontano accorre una donna, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita.

Si chiama Yui, ha trent’anni e una data separa quella che era da quella che è: 11 marzo 2011. Quel giorno lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, le sottrasse la gioia di essere al mondo.

Venuta per caso a conoscenza di quel luogo surreale, Yui va a visitarlo e a Bell Gardia incontra Takeshi, n medico che vive a Tokyo e ha una bimba di quattro anni, muta dal giorno in cui è morta la madre.
Per rimarginare la vita serve coraggio, fortuna e un luogo comune in cui dipanare il racconto prudente di sé.

E ora che quel luogo prezioso rischia di esserle portato via dall’uragano, Yui decide di affrontare il vento, quello che scuote la terra così come quello che solleva le voci di chi non c’è più.

E poi? E poi Yui lo avrebbe presto scoperto. Che è un vero miracolo l'amore. Anche il secondo,
anche quello che arriva per sbaglio. Perché quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo
avviene.

Laura Imai Messina ci conduce in un luogo realmente esistente nel nord-est del Giappone, toccando con delicatezza la tragedia dello tsunami del 2011, e consegnandoci un mondo fragile ma denso di speranza, una storia di resilienza la cui più grande magia risiede nella realtà.

Titolo: Quel che affidiamo al vento
Autore: Laura Imai Messina
Editore: Piemme, 2020