Il tè del venerdì con Anna Maria Vargiù

Anna Maria Vargiù è nata e vive a Napoli, dove insegna Lingua e Letteratura Francese in un liceo.
Esperta di linguaggio cinetelevisivo e autrice di molteplici lavori per il teatro, dopo le riuscite irruzioni sui territori del racconto breve, con la pubblicazione dei suoi testi in numerose antologie e la sua raccolta “Il colore delle storie”, l’autrice ha compiuto il passo in direzione del romanzo, pubblicando “Oltre l’orizzonte” nel 2011.
Con Porto Seguro Editore ha pubblicato “Il poeta e il pendolo” e “E lo chiamano Amore”.

Ciao Annamaria e benvenuta al tè del venerdì!

Prima domanda personale: ci racconti qualcosa di te, presentandoti attraverso un libro, un autore e una citazione a cui sei particolarmente affezionata?

Ciao e grazie per avermi dato l’opportunità di parlare di me e dei miei scritti.

Avrei molte citazioni per rappresentarmi, ma ne scelgo tre, quelle che forse mi rappresentano di più.

La prima è:

“L’intelligenza è negata agli animali soltanto da chi ne possiede assai poca.” (A. Schopenhauer)

Sono animalista convinta e vegetariana.

La seconda:

“Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi” (A. de Saint Exupéry)

Le cose materiali contano certamente meno dei sentimenti e degli ideali. Ho detto meno e non “non contano” perché andiamolo a dire ai popoli in guerra, a quelli sfruttati, a quelli che non hanno accesso all’acqua e via di seguito che le cose materiali non contano! È un lusso che possiamo permetterci solo noi dei paesi ricchi.

La terza:

“Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.” (A. Camus)

Quest’ultimo è il mio autore preferito sia come romanziere che come filosofo. Ho messo una citazione da Lo Straniero, uno dei miei libri preferiti, ma il libro che ha cambiato completamente il mio modo di concepire la vita è stato Il mito di Sisifo che mi regalò la mia professoressa di Latino quando avevo sedici anni.

Annamaria Vargiù Anna Maria Vargiù

E lo chiamano amore”. Un titolo provocatorio, che ci introduce in un tema delicato. Come mai hai scelto di scrivere di un argomento così drammatico? Che cosa ti ha ispirato questi racconti?

Purtroppo la cronaca ci presenta continuamente episodi legati a un sentimento malsano e crudele che, erroneamente e con troppa leggerezza viene chiamato amore, magari è seguito da un aggettivo negativo “amore malato” “amore crudele” “amore sbagliato” “amore criminale” e via di seguito. Ogni volta che sento o leggo queste espressioni sono fortemente irritata. E mi dico, ma come si permettono di chiamare amore queste abiezioni? Da qui il titolo.

L’idea del libro è nata dopo una lunga riflessione su come, a volte, viene concepito questo sentimento non soltanto nella coppia ma anche in tutte le altre sue manifestazioni. Parlo di amore materno, paterno, filiale, tra fratelli e sorelle, insomma di tutti i rapporti interpersonali che dovrebbero basarsi sull’amore, quello vero. Le violenze nelle relazioni affettive sono molto più comuni di quanto siamo disposti ad ammettere.

Raccontare della violenza: come ti sei posta di fronte al testo? Quanto ti è costato, in termini emotivi, scrivere queste storie?

Certo non è facile raccontare storie dure, però vorrei nuovamente precisare che non è un libro sul femminicidio, ma un libro sulle varie facce di un sentimento distorto chiamato erroneamente amore. Non nascondo che spesso mi sentivo talmente tirata dentro alle storie dai miei personaggi che avevo bisogno di interrompere la scrittura, qualche volta ho pianto ma ho anche sorriso.

Annamaria Vargiù Anna Maria Vargiù

L’amore che da sogno si trasforma in incubo: c’è un filo conduttore che lega i racconti? Credi ce ne sia uno che lega il dramma della violenza anche nella realtà?

Il filo conduttore che lega i racconti l’ho già detto, è l’idea distorta dell’amore.

Forse il filo conduttore nella realtà è una mancanza di educazione all’affettività e alla sconfitta.

Tutti vogliono essere protagonisti e vincitori, inoltre in famiglia troppo spesso si dà poca importanza al dialogo e all’esternazione dei sentimenti, quasi che dimostrare affetto ed essere gentili sia motivo di vergogna.

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Che cosa vorresti trasmettere ai lettori? Quali emozioni credi susciti, soprattutto, la tua raccolta?

Il mio, anche se è un libro che presenta diverse situazioni forti, è comunque un libro aperto alla speranza. I vari racconti hanno quasi tutti un finale positivo ma invitano a riflettere, a cogliere i segni di un sentimento distorto, a volte pericoloso. È anche un invito a non chiudersi in se stessi, a non isolarsi ma a saper chiedere aiuto. È un libro scritto per le donne e gli uomini che amano e che si battono affinché tutti possano accorgersi che a volte, dietro atteggiamenti e gesti che possiamo interpretare come attenzioni amorevoli, si nasconde qualcosa di molto pericoloso.

Il libro suscita emozioni forti, rabbia, dolore ma come dicevo, anche speranza perché da certe situazioni si può uscire, magari con l’aiuto di qualcuno, ma una soluzione esiste. Ci sono anche momenti di leggerezza e qualche volta si ride anche.

Voglio precisare, per i potenziali lettori, che l’ultimo racconto della raccolta è completamente diverso dagli altri perché rappresenta una metafora del sentimento che ho voluto rappresentare cioè, un amore che si presenta dolce, meraviglioso, affascinante e che poi finisce per attaccarsi al suo oggetto del desiderio e a succhiarne la linfa vitale.

Cultura al femminile: che significato ha per te personalmente questa definizione? Esiste una cultura, una letteratura al femminile? Come ti collochi in essa?

Sinceramente mi dà molto fastidio questa divisione di genere anche nella scrittura. Per anni si è parlato di “scrittura al femminile” con un’accezione negativa, quasi sempre ci si riferiva a romanzi rosa e di genere romantico, romanzi leggeri senza pretese, non a caso le donne che si sottraevano a questa ghettizzazione, erano costrette a pubblicare sotto pseudonimo. Le donne hanno scritto pagine di letteratura indimenticabili e, ancora oggi, vengono sempre in secondo piano nei libri di letteratura. Faccio un esempio per tutti, Madame de la Fayette ha scritto il primo romanzo psicologico, La princesse de Clèves, quando la psicologia non esisteva ancora, ebbene nei libri di letteratura francese trovate una mezza pagina dedicata a lei e decine di pagine per gli autori maschi dell’epoca.

Per me non esiste una letteratura al femminile esistono scrittori e scrittrici che scrivono male o bene a prescindere dal sesso, per cui spero di collocarmi (me lo auguro molto naturalmente), nella letteratura tout court.

Progetti futuri? Hai già nuove idee in cantiere?

Sì pubblicherò a breve una silloge, perché amo molto la poesia, credo che sia l’ancora di salvezza in un mondo pieno di violenza e crudeltà. Pensa che in molte delle mie classi, sono docente di lingua e letteratura francese in un liceo linguistico, cominciamo la lezione leggendo una poesia scelta dai ragazzi, una che li ha emozionati, commossi, colpiti in qualche modo, in italiano o in francese, senza nessun commento, senza nessuna considerazione letteraria, solo per il gusto di leggerla, per far entrare un po’ di poesia nelle nostre vite. Ti assicuro che è una grande gioia vedere ogni volta tante braccia alzate di ragazzi che chiedono di leggere quella che vogliono proporre. Inoltre il mio romanzo precedente, che si intitola Il poeta e il pendolo (titolo di una splendida canzone del mio gruppo metal symphonic preferito, i Nightwish) ha proprio per protagonista un giovanissimo poeta, uno dei tantissimi ragazzi che amano la poesia e credetemi ne sono molti ma molti di più di quanto si possa immaginare.

Ora sto scrivendo, purtroppo troppo a rilento per vari motivi, un altro romanzo.

Nessuno lascia questa pagina senza aver risposto all’ultima domanda. Come prendi il tè?

Solo con un cucchiaino di zucchero, grazie.

Ciao e grazie per averci fatto compagnia!

E lo chiamano amore di Anna Maria Vargiù

Quelli di “E lo chiamano amore” sono amori fatti di sopraffazione e violenza, sia fisica che psicologica. Sono turpi, dolci illusioni che si trasformano in incubi. E sono oscuri. Amori che si presentano affascinanti e seducenti e finiscono poi per aggrapparsi alla vittima e succhiarne la linfa vitale. Con questa raccolta, Annamaria Vargiù ci presenta sapientemente la faccia più spietata di un sentimento crudele che usurpa il nome di amore. E che spesso costringe al silenzio le stesse vittime.

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Il Poeta e il Pendolo di Anna Maria Vargiù

Una storia ambientata nella Napoli dei nostri giorni, una città al di là degli stereotipi dove una gioventù “normale” vive le contraddizioni di una società che continua a proporre modelli consumistici anche in una situazione economico-sociale molto critica.
Sebastiano è un ragazzo dei nostri giorni ma è un “diverso”, non nel senso che comunemente viene attribuito a questo termine, è povero, senza padre, vegetariano e per giunta un sensibile poeta. Egli affronta i problemi quotidiani non con rassegnazione, ma con tenacia e senso di responsabilità convinto che il cambiamento può e deve avvenire senza violenza.
Attraverso la sua vicenda di amore, amicizia, impegno, delusione e dolore scopriamo una quotidianità comune all’attuale gioventù che in maniera più o meno consapevole vive, soffre, reagisce e lotta non solo, come comunemente si crede per raggiungere effimeri traguardi, ma anche per affermare in maniera dignitosa la propria individualità. Adolescenti con le loro debolezze, i loro capricci, i loro sogni, i loro amori, una storia che offre lo spunto per una pungente critica della società in cui viviamo.
“Il poeta e il pendolo” è quindi un romanzo sull’adolescenza destinato anche agli adulti che vogliano comprenderla in forme più articolate e profonde di quanto i più diffusi stereotipi consentano di fare. L’adulto, immerso e camuffato nella prospettiva di Sebastiano, può entrare, non visto, nel mondo dei giovani e coglierne così i modi di fare, di dire, di pensare nel loro più spontaneo svolgimento, senza ombra di formalità, mascheramento e autocontrollo. Come fosse una sorta di reagente, la poesia di queste giovani vite a contatto con la realtà degli adulti ne mostra spietatamente i suoi mali e le sue colpe.

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