Mediazione Sociale: intervista a Anna Lugaresi

a cura di Cristina Casillo

Anna Lugaresi è una operatrice nella mediazione sociale e lavora per la Cooperativa CIDAS di Ferrara.

CIDAS, da oltre 10 anni, realizza progetti di mediazione dei conflitti e sviluppo di comunità, che conduce tramite un costante lavoro di rete con cittadini, associazioni ed enti pubblici per stimolare la socialità, l’inclusione e la partecipazione alla vita del territorio, al fine di migliorare la vivibilità dei luoghi e innescare processi virtuosi di auto-organizzazione.

Fra i principali progetti: gestione di centri di mediazione sociale e abitativa per supportare la cooperazione tra gli abitanti, con la realizzazione di percorsi partecipativi sui territori all’interno dei quali si sono costituiti gruppi autonomi di cittadini, al fine di realizzare attività ed eventi per lo sviluppo e la coesione territoriale.

I servizi di mediazione sociale sono attivi nel Comune di Ferrara e in quello di Cento.
Si avvale di un team di mediatori linguistico-culturali esperti.

CIDAS sviluppa servizi di mediazione interculturale in ambito sociale, ospedaliero, scolastico e in carcere, oltre che all’interno dei percorsi di accoglienza, sui territori di Ferrara, Bologna e Ravenna.

Ho avuto il piacere di confrontarmi con Anna Lugaresi, per parlare del suo lavoro, una professione molto utile socialmente ma poco conosciuta.

Come si è avvicinata alla professione di mediatrice sociale?

Questo lavoro risponde appieno al mio desiderio di svolgere una professione che incida nel tessuto sociale e mi permetta di mettere a frutto gli studi umanistici e un’esperienza nel servizio civile svolto presso l’ Areagiovani del Comune di Ferrara.
Tutto ciò mi ha fatto entrare in contatto con quella che è diventata la mia realtà lavorativa, nel Centro di Mediazione Sociale di Comunità e dei Conflitti del Comune di Ferrara, gestito dall’allora Cooperativa sociale Camelot, oggi CIDAS (a seguito di una fusione tra le due realtà).

Ho messo a fuoco le mie conoscenze, le propensioni e le attitudini, affinate grazie a una formazione continua fatta di corsi e master.

Il nostro è un osservatorio molto stimolante che fa acquisire diversi strumenti de lavoro sociale come l’outreach , la progettazione percepita, l’ascolto riflessivo, l’attenzione alla marginalità e alla devianza e la lettura dei bisogni.

Cosa rappresenta per lei la figura del mediatore sociale?

È una figura che sta “in mezzo”.

La sua presenza sul territorio è fondamentale.
La realtà su cui noi lavoriamo è quella di un quartiere considerato socialmente difficile, con la presenza di piccoli episodi di criminalità, spaccio e marginalità.

Io e i miei colleghi svolgiamo lavoro su campo, ascoltiamo chi viene ai nostri sportelli e andiamo anche direttamente nei luoghi. Ci interfacciamo, cerchiamo di comprendere come dare piccole risposte concrete che partano dalla fiducia e proviamo a instaurare rapporti con le persone.

Tra i nostri obiettivi c’è l’integrazione reciproca basata sula conoscenza, l’unico strumento capace di abbattere barriere e diffidenza.

Non stiamo solo in ufficio, conosciamo chi vive nel territorio, ne capiamo le incertezze, le insicurezze, i bisogni e ci costruiamo attorno una proposta.

Quali sono i requisiti indispensabili per poter svolgere al meglio questa professione?

La flessibilità mentale, la capacità di ascolto, di adeguarsi costantemente a situazioni diverse. Bisogna facilitare le relazioni, facendosi vedere operativi, non “maestri”.

È capitato che per rigenerare una sala di aggregazione ci siamo muniti di pennello e vernice. Il giorno dopo, magari si relaziona un Convegno Accademico.

Serve una grande elasticità. Si riuniscono strategie personali e di gruppo, perché il confronto con gli altri è sempre una risorsa. Si deve essere “smart”.

Come spiega il suo lavoro a chi non lo conosce?

È un lavoro che non ha paradigmi definiti, muta di continuo con la società .

Il mediatore ha il sogno non di contrastare o evitare il conflitto ma di accompagnarlo verso un cambiamento positivo dei luoghi e delle persone.

Opera tra lavoro di ufficio e sul territorio, restando in costante ascolto delle necessità degli abitanti e cerca le migliori strategie per soddisfarle.

Nel 2017 grazie al finanziamento della Fondazione Prosolidar, abbiamo avviato il progetto “Meglio di Prima”, un percorso di riqualificazione delle Case Comunali nelle frazioni del Comune di Cento.

La prima fase del progetto ha previsto il coinvolgimento di giovani e adolescenti del territorio per la definizione partecipativa della rigenerazione e del riutilizzo degli spazi.

Il progetto è proseguito e si è concluso nel 2018 con l’attuazione degli interventi e ora le comunità di quel territorio hanno dei luoghi di ritrovo fatti su misura per loro.

Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni riguardanti la piazza di un quartiere di Ferrara.

In quest’area verde in cui si trova anche un’area sgambamento cani, sostavano diversi ragazzi di origine nigeriana, che secondo alcuni residenti davano fastidio alle signore che al pomeriggio venivano nel parco per trascorrere qualche ora.

Dotati di un gazebo, un tavolo ed alcune sedie, ci siamo posizionati sull’area in questione e ci siamo messi a disposizione della cittadinanza, frequentatori dell’area e residenti.

Abbiamo percepito dopo qualche mese che la criticità non era tanto la paura delle signore verso i ragazzi stranieri, quanto il fatto che loro lasciavano i tappi delle bottiglie per terra.

Abbiamo organizzato così due giornate di pulizia del parco e di conoscenza reciproca.

L’evoluzione di questa azione, a cui si sta lavorando adesso, ha l’obiettivo di mettere insieme le istituzioni, i comitati di residenti, le associazioni e gli altri soggetti del quartiere, per progettare un modo partecipato (e quindi funzionale e più condiviso) quella piazzetta.

Le prime proposte riguardano aiuole fiorite e sensibilizzazione specifica sugli utenti del parco e dell’area sgambamento cani.

Quali sono le difficoltà ?

È un lavoro costante, quotidiano e paziente in cui si mette in pratica la “rete” tra soggetti molto diversi.

Il Centro di Mediazione che gestiamo ha organizzato “Giardino Wow”, un calendario annuale di attività per animare un quartiere della città con criticità sociali.

Abbiamo realizzato “ Gad – Up” , un festival giunto alla quarta edizione che si basa sulla collaborazione di una “rete” di realtà attive sul territorio: associazioni di volontariato, scuole, Polizia Municipale e molti altri, per un totale di 30 soggetti diversi.

Questo fa sì che per essere efficaci, si debba sempre stare “un passo indietro”, per coordinare , organizzare e sostenere.

Ritiene che ci sia una differenza di genere nel modo di fare mediazione culturale?

Come mediatrice donna, ritengo che questo lavoro costituisca un’ottima palestra poiché il lavoro in contesti problematici porta a lavorare prima di tutto su noi stesse, soprattutto in relazione alla sensazione di insicurezza, a elaborare metodologie e risposte che si possono socializzare e comunicare agli utenti che si rivolgono al servizio.

Organizzate eventi per favorire l’integrazione. Vi hanno soddisfatto i risultati ottenuti?

Sì, siamo molto soddisfatti perché questi eventi creano la conoscenza tra soggetti diversi e nel lungo periodo, sinergie positive e inaspettate.

Lavoriamo senza manie di protagonismo e abbiamo ottenuto ottimi risultati.

Aumentano i partecipanti alle iniziative, di conseguenza le iniziative stesse che coinvolgono tutta la città.
Lo scorso dicembre abbiamo organizzato lo “Switch On Festival”. Tre giorni di arte e cultura dell’accoglienza.

L’evento si è svolto presso la Sala polivalente del Grattacielo di Ferrara, una zona considerata insicura e ha avuto come obiettivo quello di far conoscere i progetti di accoglienza a Ferrara alla popolazione e sensibilizzare sulle tematiche dell’accoglienza e della diffusione dei diritti.

Ha richiamato anche tanti ragazzi che hanno dato vita a questo spazio.

Il festival ha
visto coinvolti artisti di fama nazionale come Lodo Guenzi de “Lo stato sociale”, Max Collini degli “Offlaga Disco Pax”, Giorgio Montagnini con la sua standup comedy, Giorgio Canali, il progetto “Stregoni” e il gruppo di percussionisti richiedenti asilo e rifugiati “Camelot Combo”.

Cosa la rende più soddisfatta del suo lavoro?

Alla fine di un Festival o di un’attività di mediazione dei conflitti o di una progettazione partecipata di uno spazio, in cui mi sento soddisfatta e condivido questa gioia con i colleghi.

Quando dopo tanta fatica e tensione so di aver dato un contributo.