“Suggestioni americane” di Maria Antonietta Macciocu

Contest Amarcord

Questo è un Amarcord anomalo, perché racconta un presente intriso di passato.
Sono appena rientrata da un viaggio on the road nell’America dell’est, quella della Nuova Inghilterra, delle Colonie, della Rivoluzione, della Guerra Civile. Partendo da New York, di cui parlerò alla fine. Un itinerario nel cuore della mia formazione emotiva e culturale.
Dunque, on the road, e sono di nuovo l’adolescente che legge Kerouac nel giardino assolato di provincia e immagina altre strade oltre il mare della Sardegna, altre genti da incontrare, altri venti da annusare. Attraverso il Connecticut in cui potrebbe spuntare, all’improvviso dagli alberi, un killer di sprovveduti turisti in un tranquillo weekend di paura, e lungo quel paesino del Massachusetts di casette linde sulla strada principale, con i dondolo vecchia America che civettano nelle verande, e le sorelle March tutte e quattro lì, Meg e Amy parlano di moda, Jo legge, arriva dolce il suono del piano di Beth.
Più avanti, il porto di Boston odora di tè, quello che i coloni buttarono in mare per far dispetto alla madre patria, aprendo la strada all’indipendenza e alla Costituzione, da cui provengono la Rivoluzione francese e le nostre preziose libertà.
Su, verso il Canada, il grande fiume Ontario prepara le cascate, eccola la scala del film nella parte americana di Niagara Falls, ecco Marilyn che emerge dal vapore nel vento col suo travolgente abito rosso, mai più nessuna così bella, impetuosa e infida come le acque, forza della natura incontrollata e prepotente, in bilico tra onnipotenza e sfacelo. E se c’è Marilyn, potrebbe mancare l’altra prima donna d’America, la tenace sudista Rossella, cui il vento porta via il suo mondo nella battaglia di Gettysburg? In questa grande spianata tra le colline, tutto parla di soldati come Ashley, pronti a dare il sangue per l’onore, e lei che lo ama, o così crede, trepida per lui e spera che ritorni, ricamando la fascia che gli donerà. Mi accompagnano tutti lungo i verdi sentieri tra le vallate e i laghi dei monti Allegani, verso la Pennsylvania, mangiamo insieme a Philadelphia nella taverna dove Washington, Jefferson e Franklin, sì, quello del parafulmine, cospiravano, e la campana di bronzo della vittoria era già nei progetti, e ancora resiste al tempo e all’assalto dei turisti.
A Washington le emozioni si intensificano, tra le statue dei soldati del Memoriale della guerra di Corea di certo c’è anche Ken, morto a vent’anni, quanti pianti sulle pagine di quel grande amore tra lui e Tippy Parrish troppo presto infranto, sia pure dal sacrificio sublime per difendere la libertà. Subito dopo i ricordi lasciano i romanzetti e emigrano verso la mia fervida giovinezza, davanti al lungo muro con i nomi dei caduti in Vietnam ringiovanisco, la ragazza in piazza col pugno chiuso la conosco, cambiare il mondo, pace contro imperialismo, uguaglianza contro discriminazioni. Con qualche confusione politica, perché la passione per Kennedy c’è stata e persiste, eppure quella guerra l’ha preparata lui. Sarà il vento caldo del Potomac, o gli anni, o tutti e due, che annebbiano i pensieri. Meglio non indagare e lasciarsi trascinare da New York.
Qui ci sono sempre stata, tra questi grattacieli mi sono intrufolata fin da bambina in lunghi pomeriggi al cinema, questo jazz, questi sound li ascoltavo a tredici anni alla radio con l’occhio magico, mi vaccinavano da San Remo, dal melo nazionale di mamme, cuori e amori, mi hanno garantito buona salute musicale.
In questi bei negozi della Fifth comprano le amiche di Sex and the City, quando sono a corto di buon umore e di uomini, mai di soldi, sul ponte di Brooklyn Miranda si è data appuntamento e ha ritrovato il suo amore, in quella casa col cortile, sempre a Brooklyn, cresceva nel nulla un albero che dava alla piccola Francis speranza del futuro. Ad Ellis Island, nel Museo dell’immigrazione, le facce dei nostri nonni ci guardano oltre le valigie di cartone, a ricordarci da dove veniamo e a chi vogliamo chiudere le porte. Ce li ho ben presenti, i paesi che si spopolavano, è già materiale da museo? Anche in quella libreria al Village compro spesso, no, ci compra Woody Allen, anzi i suoi personaggi, ma non è la stessa cosa?
In nessuna città come a New York realtà e fantasia si confondono, sei al di là dell’oceano e sei a casa tua, sei straniera e fai parte della stessa Storia, sei ricca, sei povera, sei immigrata, sei cittadina del mondo, sei provinciale e à la page, sei passato e presente a seconda dei punti di visuale. Ti scopri in vari ruoli, che è poi quello che la vita ci costringe ad essere. Ognuno ha la sua America e il suo film. E quando parti stai già col pensiero di ritornare, per riprenderti quello di te che ci lasci, forse proprio per avere la scusa di tornare.
Ma è tutta l’America che confonde le carte, perché di se stessa impronta immaginari tanto potenti che potresti anche non vederla mai e credere di averci vissuto.
Non conosco le terre dei cowboy, ma sono sicura che, se ci andassi, mi muoverei tra saloon, strade polverose, cappellacci, sceriffi e pistole con la disinvoltura di un’esperta. Parlo di disinvoltura mentale, perché la rappresentazione americana mi ha plagiato alla finzione verace, ma non è stata sufficiente a farmi imparare la lingua. Ed è qui che la realtà si prende la rivincita, negandomi l’uso essenziale della parola condivisa. Relegandomi a suggestioni, nostalgie, illusioni, déjà vu di una turista di carta e di celluloide, più che di ricerca e di scoperta.