“Volo di gabbiano”

di Elvira Rossi

Assisto ogni giorno al volo superbo di un gabbiano, il mio adorato Jonathan, che ha un’apertura alare d’incredibile estensione. Inizia sempre a volteggiare con gli altri fratelli, ma poi li stacca tutti e stupisce per le straordinarie acrobazie, che disegna nell’aria tra i palazzi cittadini. Nessuno dell’equipaggio riesce a competere con la sua abilità.

Compare sempre all’improvviso, in un’ora qualsiasi del giorno e dopo un’esibizione fuori dall’ordinario scompare e si dirige verso il mare.

Non si fa desiderare per molto tempo, infatti ritorna in fretta a sorvolare le strade comunali e con estrema rapidità raggiunge la cima di una vecchia casa e svanisce, sottraendosi allo sguardo dei curiosi e occasionali spettatori. Forse è lì che dimora, in alto tra i tetti, dove si apre un abbaino dalla copertura spiovente e con l’affaccio sopra un terrazzino, soffocato dalla fitta ombra di piante prospere di fogliame.

Il navigatore sosta brevemente tra le tegole consunte dal tempo.

Presto l’aria salmastra, che si espande fino a quell’altezza, diventa un’attrazione irresistibile e lo cattura, distogliendolo un’altra volta da quel nascondiglio, che i bipedi privi di ali possono solo intuire senza scorgere.

Jonathan si dirige ancora verso la costa e quando il sole è alto, come abbacinato e confuso dalla luce si adagia pigramente sugli scogli, saltellando goffamente come se la sua andatura terrestre  fosse ostacolata da quelle stesse ali, che rendono elegante e possente il volo. Solo di tanto in tanto si tuffa a fior dell’acqua, quando in superficie affiora un’imprudente alicetta.

Jonathan è animato costantemente da un’impazienza, che lo spinge a salpare dai tetti per approdare al vicino arenile e viceversa. Non ama la staticità della quiete e anela sempre a uno spazio differente e veleggia incessantemente tra il mare e la terra, come se li volesse dominare entrambi.

Che essere stupefacente! La sua vita è in un volo perenne e in una sfida continua con se stesso, si adopera per raggiungere le nuvole sempre le più distanti  dall’orizzonte. È un provetto marinaio celeste, che non si lascia intimorire né dalle mareggiate né dalle burrasche.

Sugli scogli, dove si era posato, non indugerà molto, quel forte richiamo lo trascinerà di nuovo tra i mostri di cemento.

Ritorna a sfiorare i cornicioni dei palazzi e si eleva al di sopra di tristi terrazzi invasi dalle antenne, fino a dileguarsi tra la sommità delle dimore. Il suo comportamento è davvero singolare. Perché si rimpiatta sempre tra i tetti? Sicuramente nasconde un segreto. Che abbia un nido e una compagna da proteggere? Jonathan tradisce la vitalità gioiosa tipica di un innamorato. Compie più volte lo stesso tragitto e tale consuetudine rafforza la mia convinzione che sia innamorato. Non è solo intrepido, è anche un amante fedele e passionale.

Solitamente vola alto, sfida le nuvole e gareggia con i venti, ma un giorno ho assistito a uno spettacolo strepitoso: planava verso il cielo, per poi catapultarsi in basso con un volo circolare. Più volte ha sfiorato l’altezza del primo piano di casa mia. Sembrava che si prendesse gioco di me, si allontanava  celermente e su, sempre più su, in alto verso l’infinito, poi ridiscendeva in picchiata, a velocità folle e con altrettanta furia risaliva. E io ero lì sul balcone, ansiosa di catturarlo con l’obiettivo a breve distanza.

Jonathan ama farmi i dispetti, eppure dovrebbe sapere che lo amo da molto tempo e intensamente. Sono sempre alla ricerca insaziabile di  libri e poesie, che parlano di lui. Non riesco a fare a meno di una sua immagine, ne ho sempre una a portata di mano. Tutte le notti sogno di volare con lui fino ai confini dell’Oceano. Tante volte l’ho rincorso su una spiaggia, per impossessarmi prepotentemente di uno scatto fotografico, da custodire nell’archivio dei ricordi. Non è raro che al tramonto mi rechi al porticciolo con la speranza di salutarlo e resto lì solo per ammirarlo. E mentre i miei occhi seguono la flessuosità delle sue movenze, la mia mente si abbandona alla leggerezza del sogno.

Da quel giorno straordinario il prodigio si è ripetuto varie volte.

Nelle traversate, quando solca l’atmosfera, sorvolando i casamenti urbani, Jonathan, pur amando l’altitudine, improvvisamente si abbandona e ritraendo le ali, si lascia precipitare verso il basso perpendicolarmente. Quasi all’altezza del mio terrazzo spiegando al massimo le vele piumate, rallenta la caduta e dopo una scaltra virata, per un breve tratto, procede in orizzontale, prima di saettare prontamente verso il cielo.

La ripetitività dell’incontro sicuramente è stata voluta da Jonathan, che a suo modo ha inteso esprimermi la sua riconoscenza per una fedeltà tanto smisurata.

Jonathan è diffidente nei confronti degli uomini e non si concede facilmente alla loro vista, se non a debita distanza. Ama sbalordirli, ma evita d’intrattenere con loro rapporti confidenziali. Solo a me ha riservato il privilegio di ammirare più da vicino l’esuberante magnificenza dei suoi slanci. Tuttavia la sua natura di vagabondo dell’aria non gli avrebbe consentito di atterrare tra gli umani, come sarebbe stato nelle mie aspirazioni.

Vorrei che gli uomini volassero alto come i gabbiani, invece troppo spesso volano basso, perdendo di vista il firmamento e le stelle.

Oggi stranamente Jonathan  non è venuto a farmi visita e mi è mancato molto. Ho assistito, però, a uno spettacolo inconsueto: uno stormo di gabbiani sconsolati ha attraversato l’etere con un’insolita e sospettosa lentezza. Si aveva l’impressione di un lungo e mesto corteo funebre. E tra di loro stranamente non c’era più Jonathan  a incitarli con il suo volo sublime.

Addio Jonathan! Ho compreso che non verrai più a salutarmi. Sei tu il gabbiano avvelenato da un uomo stanco di essere disturbato dall’andirivieni e dal gracchio dei maestosi volatili, che quotidianamente si aggiravano tra i tetti della sua vecchia abitazione. Ho sperato che si trattasse di una malinconica leggenda metropolitana, riportata da un giornale, ora so che è cronaca vera di una triste città di provincia.

Foto: Elvira Rossi