“Parlare con gli oggetti” di Maria Grazia Casagrande
“Guarda…cade una matita. Si rovescia anche il caffè…” – canta Paolo Conte nel brano ‘Gong- Oh’, un testo del ’92 cullato da ritmi incalzanti e ricolmo di immagini colorate, incantesimi sospesi e manciate di sensualità.
E ci sono giornate, invero, in cui tutto sembra aver perso il suo equilibrio: gli stipetti della cucina magicamente si schiudono, i quadri oscillano, gli oggetti cadono in terra da soli, e quando ti accingi a raccoglierli – e dunque t’inchini – inevitabilmente batti la testa contro lo sportello di cui sopra nel momento in cui ti rialzi…
E come non parlare della molletta che si nasconde: tu la cerchi e ti danni perchè eri sicurissima d’averla posata proprio li, dove stai guardando incredula quello spazio vuoto; ma ti e’ sufficiente voltarti un nanosecondo ed ecco che la mollettina ricompare, spostata appena poco più in là, quel tanto che basta per lasciarti sprofondare nel dubbio d’averla sistemata proprio tu in quel punto, piuttosto che si sia spostata da sola…
Ci sono giornate in cui gli oggetti sembrano vivere di vita propria, o forse hanno sempre questa proprietà ma noi ce ne accorgiamo solo in quei momenti in cui siamo più sensibili o meglio sintonizzati su Radio Fantasia.
Quand’ero bambina parlavo sovente con gli oggetti, convinta non solo che mi ascoltassero e mi capissero, ma addirittura che mi rispondessero.
La perdita di mio padre aveva forgiato in me un carattere solitario, ero diventata particolarmente taciturna e se proferivo verbo con gli adulti era solo per dar luogo a piccoli moti di ribellione, peraltro inutili..
E allora scendevo in cortile dove potevo chiacchierare con le prime margheritine, abbracciare gli alberi di nascosto e carezzare qualche gattino randagio obbligandolo ad ascoltare i miei discorsi confusi, fatti di rabbia e malinconia.
Ora, quando mi ritrovo a vivere per brevi istanti su quel pianeta immaginario dove la legge di gravità sembra aver perso le coordinate, ecco che mi vien di nuovo istintivo parlare con gli oggetti, e chieder loro dove si sono nascosti, perché mai sono caduti.
Mi concedo attimi di gioco che profumano d’infanzia, momenti lontani in cui tutto, ancora, era possibile.
Mi comporto come il gatto, che gioca con le ombre.
A volte lo faccio anche io, è grave?