“Mangiami. Sogno erotico di un maschio”

di Elena Fanelli

L’estate, in questa cittadina dell’entroterra pugliese, è sempre torrida.

Il sole batte, implacabile, soprattutto all’ora di pranzo.

Ė per questo motivo che le strade sono, praticamente, deserte: la gente preferisce stare in casa, vicino ai ventilatori, a cercare un po’ di refrigerio.

A me il caldo non dà fastidio, anzi.

Sono come una lucertola, felice quando posso stare al sole, seduto sulla mia sedia, con i miei occhiali scuri che mi permettono di osservare senza farmi notare. Sono nel posto ideale, nell’angolo di questa piazza che è il crocevia del nostro paese.

Ė qui che ferma il bus che ci collega alla stazione di Bari, la città più vicina, dove arriva la maggior parte dei turisti per poi proseguire verso la destinazione finale.

Pochi arrivano da noi, scoraggiati dalla mancanza di alberghi adeguati: esiste solo la pensione della signora Pina, un’arzilla settantenne poco propensa alla tecnologia.

Arriva, puntuale come sempre, alle ore 14; a scendere sono gli studenti che frequentano la scuola a Bari, ed il loro vociare spezza il silenzio della piazza.

Lei è l’ultima a lasciare il bus, ed il tempo si ferma.

Ė di una bellezza strepitosa, prorompente: lunghi capelli neri trattenuti da un cerchietto rosso circondano un volto perfetto, a forma di cuore; seni prosperosi e vita sottile, evidenziati da una maglietta nera a maniche corte; fianchi proporzionati e lunghe gambe agili, avvolti in jeans neri che arrivano alle caviglie; scarpe da ginnastica bianche; occhiali scuri, come i miei.

Ha con sè una valigia rossa, come il colore delle sue labbra, ed uno zaino.

Ha in mano un foglio, sembra una piantina. Si guarda in giro, indecisa su che strada prendere.

Il bus è ripartito, gli studenti sono rientrati nelle case, sembra che non ci sia nessuno che la possa aiutare. Poi mi vede ed il viso le si illumina mentre cammina verso di me.

“Buongiorno”, mi dice, “cerco la signora Pina, quella della pensione, potrebbe indicarmi dove si trova?”. “Bene arrivata”, rispondo, “è qui in vacanza?”. “Non proprio, lei è mia zia. Non la vedo da tanto tempo! Sono venuta ad aiutarla per la stagione estiva, mi aveva detto che mi avrebbe aspettato alla fermata ed invece non c’è”.

Mi offro di accompagnarla ma prima la invito a rinfrescarsi un po’, offrendole dell’acqua ed un gelato. “Ė la nostra specialità” le spiego “vengono dai paesi vicini per gustarlo.”

Da vicino, mi accorgo che ha degli occhi verdi bellissimi, da gatta; la pelle ha un leggero colore dorato, come l’ambra; ed indossa un profumo fresco.

Sceglie un cono, al gusto di panna e caffè, e si siede all’interno del locale per gustarlo.

Guardo, rapito, la sua lingua avvolgersi intorno al gelato e mi sembra di raggiungere l’estasi. Non riesco a toglierle gli occhi di dosso, e mi chiedo se lei sia consapevole dell’effetto che ha su di me.

Quanto vorrei mangiasse me invece del gelato!

Mi accorgo, all’improvviso, che lei ha finito e mi sta guardando con uno strano sorriso sulle labbra. Sorniona, mi si avvicina, fermandosi a pochi centimetri di distanza da me.

“Mangiami”, mi dice. E capisco di essere perso.