“Le belle immagini” di Simone de Beauvoir

Ritratto di Simone de Beauvoir
Chi si nasconde dietro quelle immagini che vedo far giravolte negli specchi? Forse assolutamente nessuno.
Come vedersi riflesse in uno specchio incrinato
di Valentina Dragoni
È quello che pensa Laurence, la protagonista di questo romanzo di Simone de Beauvoir che ho scelto di recensire per questo nuovo appuntamento con i Classici di Cultura al femminile.
Sicuramente non il più famoso scritto di questa autrice, Les belles imagines fu pubblicato nel 1966 quando Simone de Beauvoir era già uno dei cuori pulsanti della cultura e della scrittura europea.
Non nego che mi sono avvicinata a questa scrittrice e alle sue opere con un timore e un pregiudizio notevoli: non avendo mai letto nulla di lei non sapevo cosa aspettarmi, ma allo stesso tempo credevo invece di sapere già che cosa avrei trovato tra le sue pagine.
Rutilavano nella mia mente parole come Sartre, esistenzialismo, ateismo… argomenti e suggestioni che sentivo molto lontane da me e che creavano una sorta di barriera attraverso la quale riuscivo però a vedere qualcosa di estremamente interessante e affascinante.
Ho fatto allora un’operazione di pulizia: ho deciso di non prepararmi alla lettura, non mi sono informata sulla critica e ho preso questo libro in mano, lasciandomi guidare dalla storia e dalle immagini che poteva creare.
Una vita solo apparentemente perfetta
Le immagini del titolo sono quelle create da Laurence, giovane pubblicitaria che proprio per lavoro crea illusioni con le parole: si sa, nel mondo della comunicazione e del marketing niente conquista di più di un bello slogan che accompagna una fotografia ricercata. Anzi, spesso l’immagine basta da sola a suggerire un messaggio, un’idea, un’emozione.
Le emozioni però sono quelle che sembrano mancare alla protagonista, incatenata in una vita agiata che non sente sua, circondata da quel lusso e benessere che riempiono le sue giornate lasciandole allo stesso tempo inevitabilmente vuote.
I colori sembrano fin troppo luminosi intorno a lei, come in una delle foto patinate che seleziona per lavoro; i suoni sono invece ovattati, lontani, come lontane sono le persone che la circondano, delle quali non riesce a condividere l’entusiasmo né le opinioni.
E lì in mezzo lei, Laurence, che si chiede come mai non riesca a provare interesse per quel mondo che ha conquistato, per quel marito che sembra perfetto, per una vita che non le toglie nulla.
Sembra la noia che provano i ricchi, ormai saturi del loro benessere da esserne assuefatti, ma per Laurence è qualcosa che nasce più nel profondo, un senso di nausea che la coglie ogni volta che prova a guardare oltre quelle immagini.
Gioco di donne
È sempre stata un’immagine, lei.
Tutti sembrano fissi come le figurine in un album e Laurence è una tra le tante immagini, come lo è la madre, Dominique, energica e volitiva solo in superficie, una donna che ha fatto del recitare una parte il suo mestiere e della sua immagine la ragione della sua vita.
Ossessionata dalla solitudine, Dominique è una figura ingombrante per Laurence, con il suo bisogno di amore, di apparire giovane, di avere un posto in quella bella società che impiega meno di un attimo a liberarsi di una donna matura e senza un uomo perché
“Anche se si è fatta un nome, una donna senza uomo è una mezza fallita, una specie di relitto… Lo vedo come mi guarda la gente: credi a me, non è più affatto come prima”
Laurence, anche se non lo dice apertamente, le rimprovera di averla cresciuta impacchettandola in una bella confezione, pronta per la società che ne avrebbe fatto una donna di successo, moglie e madre. L’ha tenuta lontana da amicizie non adeguate, da ambienti non abbastanza raffinati, in parole povere dalla vita vera, da quella realtà che ora Laurence vorrebbe afferrare e non se ne sente capace.
Dominique ha rovesciato sulla figlia tutti i desideri di successo che non è riuscita ad imporre al suo ex marito, il padre di Laurence, il quale si è ritirato in una vita quasi monastica, fatta di filosofia e semplicità. Laurence stravede per questo padre-mentore, che sembra cibarsi solo di cultura e bastare a sé stesso, perché vede in lui un essere umano perfettamente consapevole del mondo, in grado di apprezzarne veramente la bellezza, di vederla davvero. Un uomo che non dipende dagli altri per la propria felicità,
Gli riconosce quel cuore che lei sente di non avere.
Perché il problema di Laurence non è l’incapacità di amare, ma quella di lasciarsi veramente andare alle emozioni. Vorrebbe farlo, brama emozioni, ma l’immagine che ha è diventata una corazza troppo dura da spaccare.
L’amante inutile e il marito freddo
Nemmeno la presenza di un’amante, Lucien, perdutamente innamorato di lei, riesce a scalfire la corazza di Laurence. Anzi, le attenzioni, la richiesta d’amore, le dichiarazioni appassionate dell’uomo sembrano annoiare se non addirittura infastidirla, tanto che decide di troncare la relazione proprio nel momento in cui Lucien chiede di più. Lui la vorrebbe per sé, ma lei è già lontana. O forse, non è mai stata vicina.
Tu non bevi, tu non t’infuri mai, nemmeno una volta ti ho vista piangere, hai paura di perderti. Questo io lo chiamo rifiutare di vivere.
Freddo è anche il rapporto con il marito, un uomo di successo e razionale che con la sua logica e le sue speranze futuristiche fa sentire Laurence fuori tempo, inadeguata perché incapace di vedere lo splendido mondo moderno e troppo concentrata su quel malessere intimo al quale non riesce a dare un nome.
O forse il nome lo ha sempre saputo, solo che dirlo ad alta voce lo rende reale.
Gridiamo, piangiamo, ci dibattiamo, come se nella vita ci fosse qualcosa degna di quelle grida, di quelle lacrime, di quei gesti convulsi. E non è nemmeno vero. Niente è irreparabile, poiché niente ha importanza. Perché non restare a letto tutta la vita?
La crepa nello specchio
Il punto di rottura avviene a causa (o meglio, per merito) della figlia Catherine: in lei, Laurence rivede se stessa ancora pura, pulita, libera dalle immagini che la società ci costruisce addosso, che ci appiccica come foglie bagnate dalle quali non riusciamo a spogliarci.
L’amicizia tra Catherine e Brigitte, una bambina poco più grande di lei ma molto matura, sconvolge la vita anche di Laurence: la figlia inizia a chiederle il perché della sofferenza nel mondo, della fame, delle ingiustizie. Laurence la sente urlare di notte, spaventata dagli incubi generati dall’angoscia e dalla paura per cose che non riesce ancora a spiegarsi e che nemmeno la madre riesce a chiarirle.
Laurence la sente urlare di notte, spaventata dagli incubi generati dall’angoscia e dalla paura per cose che non riesce ancora a spiegarsi e che nemmeno la madre riesce a chiarirle.
È lì che si apre la crepa nella vita statica di Laurence, ormai ingoiata nel buio della depressione: ella non vuole che la figlia diventi come lei, non vuole proteggerla dalla verità e metterla sotto una cupola di vetro dove non sentirà né vedrà la realtà.
Non permetterò che le facciano quello che mi hanno fatto. Cosa hanno fatto di me? Questa donna che non ama nessuno, insensibile alle bellezze del mondo, incapace perfino di piangere, questa donna che vomito.
Laurence mette un veto: sarà lei ad occuparsi della figlia, a seguire il suo sviluppo intellettuale e spirituale. Il suo vero atto d’amore è verso la figlia, che tenta di salvare da una vita fatta di apparenza: la donna insensibile non lo è poi fino in fondo e tenta di riscattarsi impedendo alla figlia di fare la stessa fine.
Educare una bambina non significa fare di lei una bella immagine.
Dentro e fuori: la scrittura, le voci, i temi
Mi rendo conto che nella recensione non ho raccontato molto della vicenda descritta da Simone de Beauvoir in questo breve romanzo, forse perché non sono importanti i fatti ma le voci che raccontano.
È quello che subito mi ha colpito della scrittura in questa opera: in continuo passare da una narrazione in terza persona a quella in prima dove è la stessa Laurence a parlarci, permettendoci di entrare senza troppi permessi nella sua mente, nelle sue riflessioni.
È a noi lettori che Laurence consente di rompere la bella immagine che ha costruito per sé, mostrandosi per quanto può nelle sue debolezze.
La vediamo spaventata e in collera con il marito, il quale non sembra capire (o forse non vuole) il disagio della moglie; la sentiamo riflettere sul narcisismo della madre, per la quale prova pietà e affetto allo stesso tempo.
E la seguiamo nel suo percorso di distacco dal padre, il quale sembra essere l’unico personaggio positivo, l’unica immagine bella dentro e fuori, ma che alla fine rivelerà le sue debolezze. L’uomo idealizzato dalla figlia finisce per deluderla, come l’hanno delusa tutti.
Ma credo che il romanzo lasci una porta aperta e forse è proprio questo odore di speranza che me lo ha fatto apprezzare tantissimo.
Sebbene Simone de Beauvoir racconti un tempo molto lontano e una società diversa dal mio mondo, in questo romanzo tocca temi di grande attualità, che si intrecciano tra loro come le voci in un coro; e Laurence è moderna quanto noi, con le sue insicurezze e le paure, la lotta per affermarsi come individuo e allo stesso tempo la paura di diventare qualcosa di freddo e bloccato.
Le immagini che lei costruisce diventano lo specchio della realtà che ha intorno a sé e andare oltre a questo teatro di marionette le costa tanto, la mette alla prova.
Non sappiamo se ce la farà, ma speriamo nel suo successo perché significherebbe che oltre lo specchio che riflette tante belle immagini piatte c’è una realtà che, per quanto dura, riesce ad emozionarci davvero.
Valentina Dragoni

Le belle immagini – ed. Einaudi (1968)
Riferimenti:
Simone de Beauvoir, “Le belle immagini” Einaudi Editore, Torino, 2005.