La sunèta di Rita Vecchi

Avevi imparato da autodidatta a suonare la sunèta (armonica a bocca), a dodici anni, per trascorrere piacevolmente le lunghe ore durante le quali dovevi custodire le mucche al pascolo. Ispirato dai canti di montagna che il tuo papà era solito proporre alla famiglia e agli amici, le tue prime esecuzioni furono proprio quelle melodie tradizionali delle vallate alpine.

In seguito alla tua adesione alla banda del paese, quale suonatore di clarinetto, migliorasti anche la conoscenza teorica delle note, di crome e biscrome, di tonalità e di ritmica e tutto ciò ti rese ancor più sicuro nel destreggiarti con la tua sunèta: le melodie risultavano più convincenti, la coloritura dei brani aveva assunto una maggior profondità e le tue esibizioni, estemporanee e inattese, erano diventate così avvincenti che anch’io cominciai a prestar loro attenzione, anche se, in piena preadolescenza, ero solitamente interessata ad altri generi di musica.

Solo pochi anni dopo il mio cuore si armonizzò con il tuo e anche la tua musica divenne sottofondo dei giorni sereni della nostra estate.

 

Una sera di fine d’agosto, quando la malinconia stringe la gola e non si ha voglia di parlare, gli occhi si perdono nella magnificenza del paesaggio per non indugiare in quelli dell’altro, temendo di trovarvi lo stesso panorama umido di lacrime… Le mani non si sfiorano nemmeno, perché non si vuole trasmettere all’altro il tremore causato dalla tristezza e allora, tu ricorri alla tua sunèta, per dar voce a quei sentimenti che non trovano parole.

Siamo in terrazza, l’aria è già fresca, ma non tremo per il freddo. Le note del tuo strumento risuonano, dolcemente malinconiche, si spargono intorno nella brezza notturna che percorre la Valle, salgono fino alle cime e poi ridiscendono, per trovare posto dentro di me. Sigillo la melodia con il lucchetto potente della memoria: anche questo sarà un ricordo prezioso che custodirò accuratamente.

L’emozione è forte, ma non voglio che tu mi veda commossa. Sento che la musica si affievolisce e poi tace del tutto. Non dici nulla. In silenzio vai a riporre il tuo strumento nella sua custodia.

Il concerto è terminato, l’estate è finita.

Da domani inizierà l’interminabile stagione della nostalgia, lontana da te e dalla struggente melodia della tua musica.

 

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