“La stanza di Sally” di Mery Carol
Contest Amarcord
La guida, con l’ombrello a stelle e strisce chiuso e puntato in alto, ci invita a seguirla. Il tempo stringe e lei vuole mostrarci un’ultima cosa:
«Una vergogna nazionale!» dice tra i denti.
Ci affrettiamo, studenti e docenti in fila, sul pavimento color erba dell’atrio e attraversiamo il portico con colonne e cupola in classico stile palladiano che il terzo presidente degli Stati Uniti D’America Thomas Jefferson volle per la sua villa di Monticello in Virginia, su un colle della sua sconfinata piantagione.
Il volto del grande presidente, padre fondatore della Nazione, è tra i quattro scolpiti nella roccia del monte Rushmore.
La villa di Monticello e l’Università della Virginia progettate dallo stesso Jefferson, sono state dichiarate patrimonio dell’umanità nel 1987.
La guida, impaziente, ci fa cenno di sbrigarci. Qualcuno del gruppo dà voce a una coppia di anziani neri che si sono accodati a noi ma stentano a tenere il passo.
La nostra guida si spazientisce e li blocca indicando loro un altro gruppo di turisti guidati da una ragazza di colore. Poi ci mostra l’orologio che ha al polso e punta l’ombrello a stelle e strisce verso i bagni.
C’è una lunga fila di persone in attesa e un grande cartello “WORK IN PROGRESS” indica uno stretto percorso da imboccare.
Tempo scaduto! La guida ci dice “Ciao!” e si dilegua.
Intanto i due anziani ci raggiungono solo per dirci, additando il cartello dei lavori in corso, che lì, proprio lì, era la stanza di Sally Hemings.
La mia irrefrenabile curiosità mi induce a informarmi.
Il nome di Sally Hemings figurava tra centinaia di altri schiavi e capi di bestiame nella dettagliata elencazione dei beni mobili e immobili di cui Thomas Jefferson era proprietario prima, durante e dopo la sua lunga presidenza degli Stati Uniti d’America.
La bambina, pelle color ambra, doveva essere graziosa e arguta se calamitò le concupiscenti attenzioni del padrone che ne fece la sua baby amante.
Appena adolescente, la trasferì dai tuguri degli schiavi in una piccola stanza della casa patronale.
In quella stanza miseramente arredata Sally lavorava da sarta accanto a un fumoso caminetto; cuciva e ricamava per la famiglia presidenziale e vi restò anche quando il presidente, a soli quarant’anni, rimase vedovo.
La giovane, bella e sagace Sally diede al potente uomo politico sicuramente sei figli; fu sempre a sua disposizione ma non ebbe mai alcun riconoscimento né fu mai affrancata.
Di nozze, neanche l’idea! In Virginia, all’epoca, i matrimoni misti erano vietati per legge.
Fu amore quello di Thomas Jefferson per la sua schiava?
Probabilmente sì, visto che non impalmò nessuna del nugolo delle signore che gli ronzavano intorno, e non allontanò mai Sally da sé.
Lei era il suo segreto che tutti, anche gli avversari più accaniti, fingevano di non conoscere. Era una vergogna tenuta e da tenere nascosta al pari di una relazione contro natura.
Dopo la morte di Jefferson, Sally Hemings continuò a vivere a Monticello nel culto del defunto amante-padrone.
La morte la colse ancora schiava nel 1835.
Trent’anni dopo la schiavitù fu abolita anche nello stato della Virginia e i matrimoni misti furono legalizzati solo nel 1957.
Una storia vergognosa per la nazione intera!
La misera stanza di Sally, prova tangibile di cotanta vergogna, finì sotto i colpi di piccone del più becero razzismo ipocrita e perbenista; fu ricoperta di piastrelle, wc e orinatoi per i turisti in visita alla casa museo.
La guida con l’ombrello a stelle e strisce, se fosse rimasta con noi ancora qualche minuto, forse, ci avrebbe detto che i lavori in corso sono lavori di restauro che riporteranno alla luce la stanza di Sally così com’era nel ‘700 e che la storia d’amore del presidente e la sua schiava, in nome della verità e della giustizia e contro ogni forma di razzismo, sarà raccontata alle scolaresche.
Ma forse aggiungerebbe tra i denti: «È una vergogna nazionale!»